Copy
Cari amici,
nel ringraziarvi per le numerose testimonianze d'amicizia e per aver espresso in molti desiderio di rimanere aggiornati sulle nostre attività, vi inviamo questa newsletter nella quale abbiamo raccolto articoli che speriamo vi possano interessare. Nella prima parte troverete delle informazioni relative agli aggiornamenti sulle attività Forestalp e  nella seconda parte argomenti riguardanti il mondo della scuola, l'ambiente, l'alimentazione, l'ecologia, il benessere.
 
Girate pure ad amici e conoscenti, i quali potranno iscriversi direttamente cliccando qui.
Per approfondimenti sulle nostre proposte ed altre notizie, potete visitare il nostro sitoWEB. Nel frattempo se avete piacere, potete seguirci anche attraverso la paginaFacebook di Forestalp. Per ricevere gli aggiornamenti sui nuovi contenuti, basta cliccare sul tasto mi piace, poi passare il cursore sul tasto “ti piace” e cliccare su “Ricevi le notifiche”.
 
Buona lettura e cari saluti.
"Educate i vostri figli alla meraviglia, alla bellezza che non si trova nei parchi giochi ma nei dettagli dei fiori, delle piante, della terra, degli animali.
Correrete il rischio di avere figli con vestiti sporchi, figli che vi contesteranno, ma saranno liberi.
E la libertà è una gioia".
B. Collevecchio
CIASPOLANDO CON LA FORESTALP E IL CAMOSCIO DEI SIBILLINI: GLI APPUNTAMENTI DI FEBBRAIO

WEEKEND 13-14 FEBBRAIO
DOMENICA 14 FEBBRAIO – Ciaspolata Piano di Pao-Macereto (Casali di Ussita)
escursione 10 € + (5 € affitto ciaspole)

WEEKEND 20-21 FEBBRAIO
“CIASPOLANDO AI PIEDI DEL BOVE” -
costo 20 €  + ( 10 € affitto ciaspole)
singola escursione 10 € + (5 € affitto ciaspole)
SABATO 20 FEBBRAIO – Ciaspolata pomeridiani al Monte Torrone (Frontignano di Ussita)
DOMENICA 21 FEBBRAIO – Ciaspolata/Escursioni sorgenti della Val Panico (Ussita)

DOMENICA 28 FEBBRAIO
“CIASPOLANDO NEL PROFONDO SUD DEI SIBILLINI”
costo 10 € + (5 € affitto ciaspole)
DOMENICA 29 FEBBRAIO – Ciaspolata ai Pantani di Accumoli (Forca Canapine)

DOMENICA 6 MARZO “CIASPOLANDO SUL LAGO”
costo 10 € + (5 € affitto ciaspole)
DOMENICA 6 MARZO – Ciaspolata al Lago Secco (Arquata del Tronto)

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
Forestalp 071 9330066 - info@forestalp.it
Il Camoscio dei Sibillini - 3282864307 - info@camosciosibillini.it

 

I costi comprendono: servizio di accompagnamento e visita guidata.
I costi non comprendono (se non specificato): pernottamento, pasti e noleggio di attrezzature non specificate.

Tutte le escursioni saranno attivate con un numero minimo di partecipanti e potranno essere annullate, rinviate, svolte solo in parte o su altre tipologie di percorsi, in caso di previsioni meteo non idonee all’evento stesso.

Si raccomanda puntualità e un corretto equipaggiamento!!!
Inoltre si raccomanda una reale conoscenza delle proprie capacità per andare in sentieri di montagna!

IL PERCHE' DELLE ATTIVITA' OUTDOOR NELLE PROPOSTE DELLA FORESTALP 
IL PERCHE' DELLE ATTIVITA' OUTDOOR NELLE PROPOSTE DELLA FORESTALP 
Si impara: il 10% di ciò che si legge , il 20% di ciò che si ascolta , il 30% di ciò che si vede, il 50% di ciò che si vede e sente il 70% di ciò che si discute con altri , l'80% di ciò di cui si fa esperienza diretta. L'apprendimento esperenziale è una forma di apprendimento attivo e partecipativo che coinvolge i ragazzi in esperienze reali. I ragazzi acquisiscono conoscenze dirette attraverso esperimenti e scoperte invece di ascoltare e leggere le esperienze di altri. La metodologia comprende un insieme di ATTIVITÀ OUTDOOR (Escursionismo, Mountain Bike, Nordic Walking, Climbing, Escursioni a cavallo e con l'ausilio di materiali che provengono dal mondo della natura, dal mondo dello sport o dal gioco, che si propone di stimolare e sviluppare la crescita personale, la capacità di lavorare in gruppo, il confronto con i propri limiti e risorse. Tutte le attività sono non competitive: la sfida è per migliorare se stessi, non per vincere sugli altri. Le attività outdoor mettono in gioco la persona in senso globale, coinvolgendone gli aspetti fisici, cognitivi, emozionali e relazionali.
GITE E VIAGGIO D'ISTRUZIONE PRIMAVERA 2016
E' ORA DI PROGRAMMAZIONE
Cominciare a programmare gite e soggiorni scolastici per la primavera 2016
Forestalp è un Tour Operator specializzato nella progettazione ed organizzazione di proposte per le scuole di ogni ordine e grado. Forestalp opera nel settore del turismo verde scolastico: viaggi di istruzione, gite di istruzione,  campi scuola ed educazione ambientale dal 1984: più di trentanni per un percorso professionale vissuto intensamente, lavorando a fianco di insegnanti e studenti provenienti da scuole di tutt'Italia.
Le nostre attività nascono dalla volontà di favorire un contatto con l'ambiente naturale stimolando allo stesso modo un maggiore interesse verso la tutela della natura e verso la qualità dell'ambiente in cui viviamo.
Forestalp è inoltre soggetto accreditato dal MIUR per la formazione del personale della Scuola 
Tutte le proposte sul nostro sito
LA SCUOLA DELLA TERRA
LA SCUOLA DELLA TERRA

È nata nella Terra dei fuochi, dove “ci ribelliamo da molti anni, invisibili agli occhi dei grandi media”, da una famiglia di contadini che ha resistito alle lusinghe della speculazione edilizia e alle minacce della camorra. Forse è per questo che quando è diventata preside di un istituto di 19 plessi a San Giovanni a Piro (Salerno), Maria de Biase ha cominciato insieme a docenti, genitori e ragazzi a trasformare la scuola in uno strepitoso laboratorio di autoproduzione e di riciclo, dove coltivare orti sinergici e fare merenda con pane e olio sono azioni quotidiane. L’idea di apprendimento, tra saper fare e fare insieme, rompe così schemi educativi e confini di legalità, riscopre la sintonia con le categorie spazio e tempo “che in natura non corrono ma scorrono”. Con il racconto dell’esperienza della sua scuola, Maria aderisce alla campagna “Ribellarsi facendo“
di Maria de Biase
Sono arrivata da Marano di Napoli a San Giovanni a Piro nell’estate del 2007, avevo in tasca la nomina a dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo del piccolo paese del Cilento e nell’animo la voglia di ricominciare. Mi lasciavo alle spalle oltre 25 anni di lavoro come insegnante nell’hinterland a nord di Napoli, anni di lavoro spesi nei progetti di educazione alla legalità in realtà devastate dal degrado e dalla cultura mafiosa. Scappavo dalla frenesia delle emergenze, dalle discariche, dai veleni, dall’insopportabile violenza che pervade ogni aspetto della vita umana di quelle zone.
Sono figlia di contadini, nata e vissuta sempre in campagna, in una azienda agricola che, negli ultimi decenni, ha continuato a resistere ai continui attacchi del cemento, alle lusinghe della speculazione edilizia, alle minacce della camorra. Mi portavo dietro l’amore per la terra che avevo respirato nella mia famiglia, l’orgoglio di non aver accettato di far parte di una modernità barbara e arrogante. Ho sempre studiato, mi sono interessata di urbanizzazione delle zone rurali, e la terra dove sono vissuta mi ha fornito la materia prima per approfondire il fenomeno. Ho osservato le conseguenze della cementificazione selvaggia, il potere dei geometri, la perdita di “identità” delle comunità rurali, la negazione di ogni bellezza. Negli anni ho accumulato tante conoscenze ma anche tanto dolore per lo scempio che avveniva sotto i miei occhi. Terra dei veleni, terra dei fuochi viene definita. La terra che i miei nonni, i miei genitori, hanno coltivato con impegno e determinazione, permettendo a me e ai miei fratelli di studiare e di vivere con onestà e dignità è stata inesorabilmente attaccata, violata e contaminata.
Ma, evidentemente, la terra è anche una dimensione esistenziale che mi porto dentro, della quale non mi sono liberata nonostante avessi l’impressione che i miei studi e il mio lavoro mi avessero portata lontano dalle attività del mondo rurale.
Quando ho superato il concorso per dirigente scolastico avevo la possibilità di avere una sede vicino casa, continuando a lavorare nella dimensione illegalità dove, per altro, avevo acquisito notevoli esperienze. Ma ho voluto cambiare completamente vita, avevo voglia di misurarmi con una normalità che non avevo mai sperimentato. Volevo mettere in campo le mie capacità, la mia preparazione, lontano dal dolore di un’appartenenza che sentivo sempre più pesante. Una piccola casa con giardino di mia proprietà, il posto di preside, vacante da quell’anno, mi hanno convinta a scegliere di trasferirmi a Scario, la frazione marina di San Giovanni a Piro. Sono partita lasciandomi alle spalle una grande casa, solida e comoda, tanti amici, mi sono portata poche cose, qualche libro, il mio gatto e un sacco di sogni.
Didattiche centrate sulla ruralità
Ho raccontato tutto questo non per autocelebrarmi ma per spiegare da dove viene il mio impegno per le attività didattiche centrate sulla ruralità, nutrite dal timore che ciò che ho vissuto possa accadere ancora anche in luoghi sani come il Cilento.
I docenti ma anche tutta la comunità avevano delle grandi aspettative sulla nuova dirigenza ma erano esattamente contrarie ai miei propositi. Per loro ero la preside in arrivo da Napoli, giovane, moderna, avrei di sicuro portato delle novità urbane e certamente avrei favorito delle attività più nuove e più “civili”! Che grande delusione deve essere stato per loro ascoltare i principi a cui avrei legato tutte le attività della scuola. Infatti, i laboratori avrebbero avuto una connotazione eco-centrica e avrebbero ruotato intorno all’educazione alla ruralità. Sono stati, quindi, attivati, fin dal primo anno, laboratori di riciclo, di recupero di vecchi manufatti, di compostaggio domestico, intreccio di salice e ginestra per la costruzione di cestini e oggetti di uso comune, e vero pezzo forte… la costruzione di un orto sinergico!
In questi anni la scuola è cresciuta tanto su questi temi, da quel primo momento in cui Antonio De Falco e Angelo Avagliano ci formavano sull’agricoltura sinergica abbiamo fatto tanta strada e stiamo continuando ad andare avanti. Un anno fa abbiamo avuto la fortuna di ospitare una conferenza di Jairo Restrepo Rivera che ci ha sedotto parlandoci di agricoltura organica. Alla fine del suo discorso ha detto che una “escuelita asì puede cambiar el mundo”.
Orti che coltiviamo insieme
Abbiamo tanti orti che coltiviamo insieme, docenti, alunni e genitori, gli ortaggi vengono consumati nelle mense dove sono limitati i prodotti surgelati, dove è stato eliminato l’usa e getta, si utilizzano piatti di ceramica, bicchieri di vetro e si beve l’acqua in brocca. Abbiamo aderito alla strategia rifiuti-zero di Paul Connet. Non sono permesse le merendine confezionate, né altro cibo spazzatura, si fa merenda con pane e olio (prodotto da noi con le olive degli alberi millenari nei giardini delle scuole), pane e broccoli, pane e marmellata, insalate varie, finocchi, frutta secca. Tutto sano, biologico, autoprodotto o offerto dalle famiglie. Nessun rifiuto, niente sprechi. La scuola ha proposto corsi di onoterapia e di permacultura, laboratori di produzione del sapone con l’olio esausto che la scuola raccoglie, laboratori sulle R magiche. Sono stati piantati una trentina alberi da frutto autoctoni che cominciano ad alimentare i bambini della scuola. È nata l’eco-merenda (video in coda).
Gli alunni di quinta elementare, insieme alle maestre costruiscono presso le famiglie che ne fanno richiesta compostiere domestiche, le curano e ne seguono le fasi. A scuola vengono accolte tutte le proposte che ci permettono di lavorare sui laboratori centrati sull’ambiente, sulla difesa del territorio, sul recupero delle tradizioni, sull’ecosostenibilità. Riconosciamo la sobrietà e la solidarietà come valori da insegnare e praticare a scuola.
Qualche anno fa abbiamo aderito al movimento Transition Town, stimolando tutti a lavorare sui temi del cambiamento e della resilienza. Sono arrivati i riconoscimenti da tutta l’Italia per il nostro lavoro e per le buone pratiche che portiamo avanti. Siamo nel Cilento, dove è nata la dieta mediterranea, all’interno del Parco Nazionale. Ci aspettiamo che le istituzioni intervengano e adottino il nostro buon esempio. Per ora tutti tacciono.
Fin da subito cambiarono anche le mie abitudini, nel piccolo giardino di casa mia, insieme ai nuovi amici costruimmo una compostiera e un orto sinergico. Un’attività che da allora porto avanti con sempre maggiore impegno e passione. Autoprodurre il mio cibo mi ha insegnato un nuovo stile di vita che mi ha permesso di cambiare radicalmente approccio all’alimentazione, alla salute, al benessere. Ho recuperato calma ed attenzione, rifuggo dal superfluo e dal chiasso, vivo una vita fatta di lavoro, di semplicità, di silenzio, di studi e di tanta sana solitudine.
Preside terra-terra
Intanto a scuola, se da una parte si costituiva un buon gruppo di docenti e di personale che mi stavano vicino e mi sostenevano, dall’altra tanti mi erano ostili e boicottavano le attività e, nella migliore delle ipotesi, si dichiaravano perplessi. Sono stata definita “terra-terra” da qualche collega che riteneva così di offendermi! Invece l’appellativo di preside terra-terra è diventato, negli anni, quello che meglio mi definisce.
La maggior parte dei docenti è orgogliosa del proprio ruolo che rappresenta uno status sociale stimato e prestigioso. Stiamo parlando di una società, quella cilentana, che ha sofferto per secoli povertà e isolamento, legata a un’economia agricola e pastorale che a stento garantiva la sopravvivenza. I docenti, rappresentano una classe sociale che, a costo di enormi sacrifici, si è affrancata dalla povertà e dalla precarietà rientrando a pieno titolo nel ceto impiegatizio, lavoratori dal salario sicuro. Io, che invece gli ripropongo, a scuola, un mondo dal quale si erano con fatica liberati non vengo immediatamente approvata. La sfida è proprio questa. Con queste attività non si ritorna indietro ma si è nel proprio tempo, nella contemporaneità. Coltivare la terra, a scuola, favorisce l’acquisizione di una consapevolezza verso attività connesse al cambiamento, riposizionando la figura del contadino che abbandona l’immagine di povertà e di arretratezza e riconquista dignità con le sue competenze culturali, formative, sociali e tecnologiche.
Rompere gli schemi scolastici
Prendendosi cura dell’orto sinergico ci si prende cura anche di se stessi e degli altri, in totale comunione, con effetti positivi, poiché esso è la metafora dello stare insieme. Curare l’orto insegna agli alunni modalità virtuose da trasmettere e diffondere agli adulti e alla cittadinanza locale. Li aiuta a superare lo sterile schematismo dei saperi preconfezionati in favore di apprendimenti dotati di senso e di efficacia. Gli alunni e i docenti scoprono e recuperano: l’aiuto reciproco, la condivisione, la solidarietà, l’apprendere con allegria e applicare, quanto osservato in natura, alle personali relazioni umane, rompendo gli schemi scolastici, favorendo i rapporti interpersonali, superando i pregiudizi e rivelando le risorse altre di ognuno. In questi anni ho osservato sempre con attenzione i bambini che si prendono cura dell’orto e non mi è sfuggito il piacere del toccare, dell’odorare, di tutti i sensi attivati. Con i docenti abbiamo notato l’apprezzamento da parte dei ragazzi di avvicinarsi ed entrare nelle conoscenze attraverso modalità diverse che superano lo schematismo dell’eccessivo uso del cognitivo in cui l’alunno non è più solo testa ma conosce in tutta la sua interezza di corpo ed anima, cervello ed emozioni. I ragazzi coltivando l’orto hanno l’opportunità di scoprire la dimensione dell’attesa, parola quasi sconosciuta dai ragazzi, che insegna la pazienza, e la sintonia con le categorie spazio e tempo che in natura non corrono ma scorrono.
In un momento come questo, di crisi e di precarietà una scuola che realizza orti appare come una forma di resistenza contro l’omologazione dei gusti e l’appiattimento degli apprendimenti. Molti ragazzi recuperano speranza e ipotizzano nuovi percorsi e progetti per il loro futuro di contadini contemporanei. So che è un processo lento e faticoso ma sento che la scuola è un’istituzione che più di tutte può stimolare i giovani a intraprendere strade differenti, lontane dallo sviluppo e dal progresso ma verso esistenze più sane ed umane. Tutto è possibile grazie alla passione di tanti docenti, genitori, collaboratori scolastici e sostenitori esterni.
La crisi internazionale, il disorientamento sulle cose da fare, la riscoperta dell’importanza del fare fanno riemergere i progetti di confine, i progetti che hanno scommesso sulla speranza dell’improbabile.
FONTE
 
LA QUERCIA DI PINOCCHIO

La quercia di Pinocchio in lizza per essere l'albero più bello d'Italia

L'albero simbolo della storia di Pinocchio può ricevere un importante premio.
 
Siamo leggermente distanti dalla provincia di Pistoia e da Collodi, ma comunque la notizia è davvero carina ed importante. Perché c'è un legame fra Gragnano, piccola località facente parte del comune di Capannori, e Carlo Collodi e Pinocchio.
Il legame è nel "verde", è in quella quercia che è la più fotografata d'Europa oltre che essere già un bene paesaggistico nazionale. Perché proprio quella quercia secolare è in lizza, e le votazioni termineranno fra pochi giorni, per divenire l'"Albero dell'anno". Un esemplare che è lì, presso Villa Carrara di Gragnano, da oltre 600 anni e che la leggenda narra sia l'albero ai piedi del quale il burattino Pinocchio, nella celebre storia di Carlo Collodi, seppellì i suoi famosi denari.
Un legame reso possibile dal fatto che l'autore, da bambino, passava proprio lì le sue vacanze estive e quindi gli è rimasto dentro il legame.
E la quercia, ovviamente, è famosa in tutto il mondo proprio come Pinocchio. Un simbolo del territorio pistoiese e della Toscana, quella che noi definiamo verde ed autentica. E che lo potrà diventare ancora un pochino di più se questa votazione andrà davvero a buon fine.
FONTE
 
L'ARTE DI ASPETTARE

L'arte di aspettare

Stabilire un piano, preparare tutte le azioni necessarie da svolgere, prevedere possibili scenari e cambiamenti nella strada per raggiungere un obiettivo sono capacità importanti per poter attuare progetti, risolvere compiti complessi, non solo nei giochi di strategia ma anche nella scuola, nella vita quotidiana. Accanto a queste considerazioni, bisogna ricordare che siamo esser sociali, e che quindi tutto ciò che facciamo in qualche modo influenza altre persone (e viceversa). Dunque nella pianificazione, anche di un semplice gioco, bisogna considerare le possibili reazioni ed azioni degli altri. Giovanni, un alunno di classe V che ha giocato alle attività proposte da Mind Lab, a un certo punto ha detto: “il nostro piano non può esser basato sull’ipotesi che forse l'avversario non giocherà troppo bene, che potrebbe distrarsi, che potrebbe non vedere qualcosa... dobbiamo giocare pensando sempre che il nostro avversario sia il miglior giocatore del mondo!".
Gli amici dell’anziano, nella partita del video, forse hanno tante cose da imparare da Giovanni. Il vecchietto invece è automonunito: ha in mente ogni singolo dettaglio del suo “film”, pianifica tutto con precisione, non sembra disturbato dal fatto di perdere le sue preziose risorse (pedine) una dopo l’altra. Le soddisfazioni arrivano quando tutto sembra perduto: il vecchietto prende le pedine dell'avversario e mostra con movimenti decisi che la sua strategia è vicente. Tutto ciò non sarebbe potuto accadere se l'anziano non avesse saputo aspettare il momento giusto per gustare la vittoria e il piacere della vittoria...

A chi sa attendere, il tempo apre ogni porta

Arriviamo così allora alla seconda lezione che traggo dal video. La gratificazione differita, cioè rimandare la gratificazione per ottenere ciò che si desidera, è uno degli aspetti importanti dei giochi di pensiero, particolarmente quelli di strategia. Ma può essere utile anche nella vita di tutti i giorni e anche scuola. Per questo nei laboratori con Mind Lab cerco di far capire ai ragazzi l’importanza di quella che chiamo attesa utile, cioè la capacità di aspettare per creare le condizioni e le opportunità migliori da cogliere, nel momento più opportuno.
Tuttavia i bambini sono più inclini ad agire senza valutare né le conseguenze vicine né quelle più lontane delle loro azioni. Spesso non è facile per loro considerare una mossa, una perdita o un’azione qualsiasi come un investimento per un risultato di maggior valore del futuro. Eppure un pensiero simile li aiuterebbe nella gestione dei compiti, dei giochi, dei rapporti con i pari. Che fare?

Scegliere, preferire

Per rispondere alla domanda posta sopra, proviamo a farcene un'altra: che cos’è un investimento, in realtà, per un bambino? Spesso è semplicemente una perdita, un sacrificio di risorse che non dà nessuna soddisfazione nel momento dell’investimento. Non è facile far capire un bambino che “quello a cui rinunci ora, non preoccuparti, verrà ripagato”, perché il bambino non vede l’effetto immediato e può scoraggiarsi.
Non si scoraggia solo se capisce profondamente che la perdita è funzionale ad ottenere una gratificazione, un risultato, un'emozione di maggior valore della perdita stessa. 
Pietro, 7 anni, ha capito il meccanismo: “fare i miei compiti venerdì pomeriggio per lunedì è un sacrificio perché potrei guardare la TV dopo la scuola. Preferisco però rinunciare a quel tempo davanti alla TV per poter giocare all’aperto tutto il sabato e la domenica con i miei amici”. La capacità dell’attesa utile, con tutti i sacrifici che richiede, implica determinazione e autodisciplina e non si sviluppa da un momento all’altro. Come ci lascia intuire l'affermazione di Pietro, occorre avere un obiettivo preciso in testa, perseguirlo con cura, aver fatto degli errori e aver imparato qualcosa dagli errori medesimi.

Giochiamo ad aspettare?

Pietro ci insegna che l'attesa utile viene percepita come tale dai bambini quando acquista significato per loro  (non per la mamma, non per la maestra, non per altri). E un piccolo fatto mi ha confortata in questa direzione. Voglio raccontarvelo.
In una classe prima, i bambini giocavano Chicken cha-cha-cha, un memory particolare di Mind Lab. I bambini stavano litigando per decidere chi dovesse iniziare il gioco. Invece di intervenire con forza, ho condiviso un piccolo segreto con loro: "in questo gioco, per cominciare, è meglio essere l’ultimo che il primo...". Lì per lì non hanno dato troppo peso alle mie parole, ma alla fine del gioco mi hanno dato ragione: "Chi inizia per primo può contare solo su quel che gli dice la sua carta, invece l'ultimo ha le informazioni di tutte le carte degli altri!". Quando hanno ripreso a giocare, tutti gareggiavano per essere "l'ultimo".
Certo, la battuta dei bambini e il successivo comportamento non testimoniano la comprensione piena dell’attesa utile, ma confermano che un bambino, una volta trovato il significato dell'aspettare, può trovare anche la determinazione e la volontà per intraprendere il cammino dell'attesa. Il nostro ruolo come docenti è di accompagnarlo su questa strada, aiutandolo a porsi domande e obiettivi, a osservare e correggere gli errori con pazienza, lungimiranza, senza dimenticare... la voglia di vincere.
FONTE
PER NON MORIRE DI SMOG BISOGNA FARE SCELTE DRASTICHE

«Per non morire di smog bisogna fare scelte drastiche»

Lo dice da tantissimo tempo e lo ribadisce oggi, a fronte di livelli di inquinamento fuori controllo. Il meteorologo Luca Lombroso è per «scelte drastiche da subito».
Gli enti locali affrontano l'emergenza bloccando per un giorno, due giorni, sette giorni le auto e sollecitando i cittadini ad abbassare il riscaldamento. Per il resto si muove poco altro. Come interpreta queste misure? Quale ritiene sia il ruolo di inceneritori, emissioni industriali, emissioni da traffico veicolare al di fuori dei centri cittadini?
«L’inquinamento urbano ed anche extraurbano (non dimentichiamo che l’aria non ha confini e che in piccoli borghi di campagna l’aria non è poi così migliore che in città) dipende principalmente dal traffico e dagli impianti di riscaldamenti domestici, quindi dalla produzione di energia elettrica da fonti fossili. In parte dipende anche dalle pratiche agricole intensivi e per circa il 3% dal ciclo dei rifiuti. Ci sono tante ragioni per abolire gli inceneritori, ma riguardo lo smog il primo settore dove intervenire, con provvedimenti drastici, preventivi e non curativi, è il traffico. Non dimentichiamo che l’auto non solo inquina ma anche uccide; il mio istruttore di guida mi diceva che l’auto è un’arma impropria e la patente un vero porto d’armi! E la soluzione non è sostituire le auto con auto meno inquinanti, ma ridurre drasticamente il traffico, anche le auto più moderne inquinano, serve una mobilità diversa, dolce e sostenibile. Poi un altro settore fondamentale di intervento è l’edilizia residenziale, commerciale e di servizi. Gli edifici costruiti fino a pochi anni fa sono dei veri colabrodo energetici e fonti di inquinamento. Vanno aboliti ovviamente gli sprechi, a partire dai negozi con le porte aperte d’inverno col soffio caldo e d’estate con quello freddo, ma non è solo questione di sprechi ma soprattutto di efficienza energetica. E oggi abbiamo tutti i mezzi per costruire, e ristrutturare, edifici rendendoli meno energivori. I provvedimenti attuati non sono inutili, ma insufficienti e tardivi. Non è possibile aspettare un mese di alta pressione per limitare il traffico, va fatto ai primi sintomi di alta pressione, e non solo in città ma anche nelle autostrade».
Intanto sui tg (ma solo a volte, per non preoccupare troppo gli spettatori) passano le immagini delle tragedie estemporanee, le alluvioni, i tornado, ma anche le temperature eccezionali e le siccità che stanno distruggendo intere aree del mondo. Dunque: inquinamento fuori controllo, misure inefficaci per modificare la situazione, cambiamenti climatici in atto, devastazioni. Dove sta il filo rosso che permette di leggere, se è possibile, questi accadimenti come legati tra loro?
«Colgo la domanda per chiarire due cose. La prima riguarda la Cina. Prima di criticare lo smog altrui, pensiamo a risolvere il problema a casa nostra! Peraltro in Cina non avviene altro che quello che succedeva in occidenti, si pensi allo “smog di Londra” nel dicembre 1952, ma anche all’inquinamento che causava le piogge acide e altri problemi in Italia, Germania ed Europa fino agli anni 1980. Ora la situazione da noi è relativamente migliorata, questo è vero, ma non certo in modo sufficiente. Inoltre è migliorata in modo immorale. Nel senso che abbiamo spostato le produzioni più inquinanti appunto in Cina e in genere nei paesi poveri, che producono, in fin dei conti, per soddisfare i nostri bisogni (superflui) di consumi a basso costo e per uso e getta. Riguardo gli eventi estremi che fanno notizia in questi giorni, essi dipendono dai gas serra, che non sono inquinanti diretti mentre lo smog dipende dall’inquinamento vero e proprio. C’è da dire però che agire per limitare i gas serra ha benefici enormi anche sull’inquinamento urbano, mentre non è del tutto vero il contrario. Nel senso che anche se rendiamo perfetta (cosa impossibile fisicamente) una combustione, eliminando ossidi di azoto, benzene, polveri fini, ecc. dalla combustione di prodotti petroliferi (e ancor più di carbone e anche del gas “naturale”, termine fuorviante e per nulla ecologico) si sprigionerà sempre CO2».
E’ reduce da Cop21. Quale il primo pensiero quando guarda fuori dalla finestra di casa e vede la cappa di smog della Pianura Padana?
«Che siamo un esempio di superamento dei limiti; i politici danno la colpa dello smog al fattore geografico e alle condizioni meteo. Ma il primo è un dato oggettivo su cui nulla possiamo fare, altro che spianare il passo del Turchino come proponeva un concorrente di Portobello. Il secondo, il fattore meteo, un aspetto contingente, una concausa che agisce sulla vera causa. Lo sviluppo della Pianura Padana non è compatibile coi limiti fisici della nostra area. Così scarichiamo i problemi, sotto forma di smog e cambiamenti climatici, sulle categorie più deboli, su altri popoli e su altre generazioni. Quanto meno fermiamoci, non dobbiamo accentuare questa situazione costruendo nuove autostrade, nuovi inceneritori e cementificando».
Quale il primo pensiero, e non solo, quando pensa alle scelte dell'attuale governo in tema di politiche ambientali?
«Contraddittorio. A fronte di segnali nella giusta direzione, si pensi in Emilia Romagna al PAIR, Piano Aria Integrato Regionale, o alla promozione delle fonti rinnovabili che comunque ha portato a buoni risultati (fino al 40% di elettricità da fonti rinnovabili la scorsa estate nelle giornate più soleggiate e ventose), si continua a pensare a nuove autostrade e perfino a ricerche petrolifere in zone altamente antropizzate o in mare».
Stiamo attraversando o no una situazione di emergenza assoluta dalla quale non si sa come uscirà, se vivi o morti? E se sì, di quale leva c'è bisogno per "sollevare" il mondo? Come svegliarci?
«Il risultato di Parigi COP 21 è incoraggiante come segnale, insufficiente come azioni. Delle azioni mancanti, dicono le Nazioni Unite, devono farsi carico i livelli subnazionali, regioni, città , imprese e società civile. Si può fare molto, lavorando insieme e da subito. Comunque difficilmente, ritengo, rispetteremo l’obiettivo, ambizioso, di limitare il riscaldamento globale entro 2°C al 2100, praticamente impossibile stare entro i 2°C. Dunque dovremo convivere con un mondo diverso».

FONTE
PERCHE' SECONDO LA SCIENZA E' IMPORTANTE SAPER SCRIVERE IN CORSIVO

Perché secondo la scienza è importante saper scrivere in corsivo


 
L'insegnamento del corsivo sta  piano piano sparendo dai programmi scolastici.
In Finlandia dal prossimo anno non sarà più obbligatorio imparare a scrivere a mano. Negli Stati Uniti il Common Core State Standards, istituto che fornisce le linee guida per l’omogeneità dell'insegnamento nella scuola pubblica, ha eliminato l'obbligo del corsivo.
 
In Italia è ancora materia di studio, ma rispetto al passato ha perso d'importanza. Inoltre a casa i bambini imparano dai genitori a digitare su tablet e smartphone e non vengono indirizzati alla scrittura su carta. Il risultato è che i ragazzi sanno digitare velocemente un testo sulla tastiera del pc o del  tablet, ma non sono quasi più in grado di scrivere in corsivo.
 
Ma gli esperti avvertono: secondo alcuni studi la mancanza dell'uso del corsivo può avere effetti negativi sullo sviluppo del cervello. 
E negli Stati Uniti si è aperto un vero e proprio dibattito sul corsivo e sulla sua importanza. Tanto che nove Stati, fra cui California e Massachusetts, lo hanno reinserito come materia di studio a scuola. 
 
Nella ricerca della pedagogista  Stephanie Müller è emerso che il  70% dei bambini che escono dalla materna non hanno i prerequisiti per imparare il corsivo. La causa è la mancanza di manualità e fisicità. “Oggi non si gioca più in strada, non ci si arrampica sugli alberi, non ci si allaccia le scarpe, non si corre e salta, non si infila un ago. Si premono tasti, o si tocca uno schermo, tutte cose che richiedono l’uso di altri muscoli rispetto a quelli per tenere in mano una penna, e che non consolidano la coordinazione necessaria a scrivere in corsivo” dice l'esperta.
 
In una ricerca dell’Università dell’Indiana, condotta dalla psicologa Karin Harman James, è risultato che la scrittura manuale è in grado di attivare importanti processi cognitivi.
“I bambini capaci di scrivere a mano, hanno fatto registrare un’attività neuronale molto più sviluppata rispetto all’altro gruppo testato, comprovando l’importanza della produzione manuale di segni bidimensionali" dice James. 

Un altro risultato importante a favore del corsivo viene dallo studio di Virginia Berninger dell’Università di Washington: “In termini di costruzione del pensiero e delle idee,  c’è un rapporto importante tra cervello e mano. La scrittura manuale legata accende massicciamente aree del cervello coinvolte anche nell’attività del pensiero, del linguaggio, e della memoria” dice l'esperta.

In conclusione  questi studi evidenziano che l'importanza del corsivo va oltre la sua  utilità pratica, risultando cruciale nello sviluppo e nella crescita dei bambini.
Leggi anche: 12 strategie per favorire lo sviluppo mentale del bambino

"Rivalutare il corsivo non è né anacronistico, né innovativo: è semplicemente attuale e funzionale alla crescita armonica della persona. Il corsivo (dal latino “currere”, che corre o scorre) è moderno, semplice ed efficace, fatto per valorizzare la mano, perché “andare di corsa” è tipico della mano.
Inoltre, dal punto di vista grafologico, il corsivo è personale e rivela l’identità di chi scrive, le sue attitudini, le potenzialità relazionali e affettive, rendendo gli scritti della persona un documento storico." dice la pedagogista Cristina Pendola.
 
Secondo Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'età evolutiva, la perdita del corsivo potrebbe essere alla base di molti disturbi dell'apprendimento. "Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole, scrivere in stampatello vuol dire invece sezionarlo in lettere, spezzettarlo, negare il tempo e il respiro della frase. E il corsivo così come lega le lettere lega i pensieri" dice l'esperto.
Leggi anche: 10 cose che migliorano l'apprendimento scolastico
 
 Fa riflettere che il più grande innovatore del mondo digitale all'università avesse scelto di seguire proprio un corso di bella calligrafia. Questo pioniere era Steve Jobs che nelle aule del Reed College, prima di fondare la Apple, imparò a scrivere in corsivo, con eleganza, senza errori né sbavature. 
Fonte
 
IL MAGICO POTERE DEL RIORDINO

Il magico potere del riordino


Il suo libro si intitola “Il magico potere del riordino”, è il suo breviario. In quelle pagine la giapponese Marie Kondo espone, spiega ed esemplifica come funziona la filosofia del riordino liberandosi dagli oggetti anziché accumularne.
Il talento di Marie Kondo è sempre stato, fin da bambina, quello di riordinare: oggetti, spazi, abiti, libri, documenti, utensili. Insomma, qualunque cosa. Da piccola era, per lei, un vero e proprio pensiero fisso: riordinare la sua stanza, quella dei genitori e dei fratelli, la biblioteca scolastica, qualunque cosa le capitasse a tiro. Quello che era un talento innato è diventato poi un lavoro vero e proprio e questo libro è la testimonianza della filosofia di vita che ne è alla base.
I suoi “adepti” vanno dalle casalinghe ai manager d'azienda, dai single alle famiglie e tutti riportano l'esperienza del riordino col metodo “Konmari” come qualcosa che ha dato una svolta alla loro vita: “Mi sono licenziata e ho aperto l'attività tutta mia che sognavo fin da bambina”, “Sono riuscita a distinguere con chiarezza le cose di cui avevo bisogno e il risultato è stato che ho lasciato mio marito e ora mi sento meglio”, “Sono stata contattata da una persona che avrei sempre voluto incontrare”, “Sono felice perché da quando ho riordinato molti affari sono andati bene”, “Non riesco ancora a capacitarmi di quanto la mia vita sia migliorata solo buttando della roba”, “Senza rendermene conto ho perso tre chili”.
Sembra che il riordino, quindi, non abbia solo a che fare con lo spazio fisico in cui ci troviamo a vivere ma che sia capace di attivare forze ed energie bloccate dentro di noi. Riordinare significa riuscire a vedere, nello spazio creato, una luce nuova che ci fa vedere finalmente chi siamo e che cosa davvero vogliamo.
Marie ha messo a punto un sistema tutto personale per riordinare una volta per tutte i nostri spazi senza ricadere in quello che lei chiama “effetto boomerang”, cioè il rischio di ritrovarsi daccapo dopo poco tempo. Il suo metodo è descritto nei minimi particolari, comprende poche regole e buttare via senza pensarci troppo tutto ciò che non ci serve è la prima regola fondamentale. “Accumuliamo le cose materiali per lo stesso motivo per cui mangiamo: soddisfare un desiderio. Comprare in maniera compulsiva e mangiare e bere in eccesso sono solo tentativi di alleviare l'ansia”.
Buttare, quindi, è il primo passo perché non ci rendiamo conto di quanto la nostra vita sia disordinata e appesantita a causa della grande quantità di oggetti inutili o inutilizzati di cui ci circondiamo. Si tratta di vagliare uno per uno gli oggetti della nostra casa e valutare se ancora quell'oggetto ci parla, ci emoziona o è in qualche modo significativo o utile per noi. Dopo fatto questo è necessario lasciar andare tutti gli oggetti che non ci danno più nulla. Non si tratta esattamente di buttare via ma di accompagnare, salutare e ringraziare i nostri oggetti, uno per uno, per il lavoro svolto. Si scoprirà così che dalla nostra casa usciranno decine, quando non addirittura centinaia, di sacchi della spazzatura strapieni di cose che ingombravano la nostra casa ma soprattutto il nostro spazio mentale.
Il segreto è, sostanzialmente, nell'eliminare e nel non ricomprare. Perché il rischio, dopo il riordino, è proprio quello di sentirsi improvvisamente “in dovere” di doverci circondare ancora di cose che non ci servono.
In realtà “Il magico potere del riordino” è un libro sul distacco, sulla separazione con la quale quasi tutti noi abbiamo difficoltà. Lo spazio in cui viviamo corrisponde in qualche modo al nostro spazio interiore che, se affaticato, ostacolato e soffocato dal “troppo” non potrà esprimersi liberamente rendendoci più leggeri e più felici.
"La prima cosa che faccio quando vado da un cliente è salutare la sua casa. Mi inginocchio sul pavimento al centro della casa e mi rivolgo a lei nella mia mente... le chiedo aiuto nel creare uno spazio in cui la famiglia che ci abita possa trascorrere una vita felice. Poi mi inchino." Marie Kondo è stata per alcuni anni una sacerdotessa scintoista. E questo si sente in quello che scrive. Tratta oggetti e spazi con assoluta sacralità e rispetto, come fossero animati e dotati di una loro consapevolezza e sensibilità: “accatastare le cose una sull'altra è doloroso per quelle che si trovano sotto”, “Quando buttate una cosa, non sospirate dicendo: "Oh, non l'ho mai usato... o "Mi dispiace non averti mai utilizzato", ma salutate quelle cose con gioia: "Grazie per avermi trovato" o "Fate buon viaggio. A presto!"
Il libro, tuttavia, è anche un manuale assolutamente pratico per tenere le cose in ordine e ritrovarle sempre. Le spiegazioni sono dettagliatissime per come piegare i vestiti, per quali appendere e secondo quale ordine disporli negli armadi e nei cassetti a disposizione. Poi tocca agli oggetti, alla catalogazione di carte e documenti e, per ultimi proprio perché più importanti e delicati, i ricordi e le fotografie.
Francamente, ci sono persone a cui il riordino non interessa affatto e vivono liberi e felicissimi anche in un mondo caotico e circondati da oggetti sostanzialmente inutili. Ma se sentite la necessità di pulizia, spazio, vuoto, ordine mentale perché siete in un momento di cambiamento e momentaneo disordine, se avete il desiderio di mettere a fuoco il vostro talento e non ci riuscite, se sentite un pressante bisogno di leggerezza e un impellente richiamo al voltare pagina sia dentro di voi che fuori di voi, se semplicemente volete riuscire a organizzare una volta e per sempre la vostra casa o il vostro ufficio in modo semplice ed efficace, questo è sicuramente un libro da leggere.
FONTE
 
LA GRAMMATICA DEL CAMMINARE

La Grammatica del Camminare

 

Camminare rappresenta uno stile di vita salutare e comporta numerosi benefici ambientali, eppure le statistiche rivelano che le persone camminano sempre meno.

Esistono animali che corrono e saltano, animali che strisciano o scavano. In questo insieme diverso di movimenti coordinati che permettono al corpo di spostarsi sul suolo, i nostri antenati già un milione e mezzo di anni fa camminavano in posizione eretta. Ma senza andare troppo in là nel tempo, agli arbori dell’umanità, limitiamoci alla nostra età biologica…
La prima conquista dell’uomo, ossia l’azione del camminare, si prospetta già in tenera età. Il movimento è l’esperienza primaria di conoscenza del mondo su cui si evolve il nostro corpo: fin da neonati cerchiamo con gli occhi gli oggetti, desideriamo toccarli per percepirne le dimensioni e le proporzioni.
Prima esploriamo il lettino in posizione supina, trascinando la pancia, aiutandoci con le braccine, un’azione complicata, da passarci delle mezzore. Poi cresciamo, ci avviciniamo al nostro primo compleanno e la curiosità ci porta ad esplorare uno spazio ben più ampio di una semplice culla: la nostra casa.
Muovendoci a carponi conquistiamo nuovi spazi, con l’andatura a quattro zampe tipica degli altri mammiferi. Poi barcollando e sostenuti dalla mano del genitore prende il sopravvento la posizione eretta e la voglia di bipedismo. A passi incerti ci spostiamo dal punto A al punto B, dal tavolo alla sedia, quasi sempre inciampando. Una vera impresa all’inizio. Finché imparata la gamma di movimenti principali ci accorgiamo che è più semplice e meno faticoso farsi trasportare tra le braccia di papà e mamma.
Poi con fierezza siamo noi ad accompagnare quel signore anziano, il nonno, che con gambe malsicure e instabili ci ricorda tanto noi, quando camminavamo lentamente e barcollando stringevamo forte la mano del papà.
Spinti dalla curiosità ci interessiamo a quello che ci circonda, prepariamo il nostro zainetto, lo riempiamo di una merendina, un cappellino, due giochi e via, alla scoperta di insetti, sassi luccicanti, fiori, pigne, funghi, ecc. Alla fine cresciamo e quasi dimentichiamo la consapevolezza psico-corporea acquisita con l’adolescenza. È l’involuzione, il patatrac!
Così per spostarci dal punto A al punto B, da casa all’ufficio, troviamo più spedito e riposante usare due o quattro ruote motorizzate. Fortunatamente, in tanti di noi torna a galla il desiderio di muoversi, magari durante il weekend, scopriamo così che è utile e bello camminare. Lasciamo a casa le ansie quotidiane e liberiamo la mente lungo un sentiero nel bosco, in montagna o in campagna, costeggiando le rive di un lago, attraverso le vie di borghi antichi. Senza correre. Lo diceva anche il grande Leonardo “…che ti move, o omo, ad abbandonare le proprie tue città, a lasciare li parenti e amici, ed andare in lochi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo?…”.

Camminare per sopravvivere

Camminare per tanti di noi è un esercizio outdoor piacevole, sano, il modo ideale per godere la natura; per altri invece è un’attività naturale indispensabile alla sopravvivenza.
In Africa anche i più giovani cambiano presto i punti di riferimento: non più dal tavolo alla sedia, ma dal villaggio alla sorgente più vicina, percorrendo decine di chilometri al giorno per potersi dissetare. Donne e bambini trasportano taniche gialle piene d’acqua da pozzi lontani alle case dove vivono migliaia di persone che non hanno accesso diretto a fonti d’acqua bonificata.Nell’Africa sub-sahariana l’acqua potabile è un privilegio di pochi e il 18% della popolazione deve camminare per ore prima di raggiungere la propria fonte di vita quotidiana.
Una realtà sconosciuta ai più, l’Occidente sembra interessarsi maggiormente alle nuove tecnologie del benessere anziché agli scenari futuri legati alle fonti primarie per la vita: nel 2020 la popolazione mondiale avrà a disposizione 30 miliardi di dispositivi per comunicare, circa 3 a persona, cifre inimmaginabili solo fino a 15 anni fa, ma non potremo cibarci e dissetarci di pc, tablet e smartphones giusto?
Fortunatamente non tutto il genere umano più progredito è indifferente alle popolazioni di regioni dove è addirittura difficile se non impossibile l’accesso ad un bene così fondamentale qual é l’acqua. L’architetto Arturo Vittori, immune alla piaga dell’indifferenza, nel corso di un viaggio in Etiopia ha assistito al pellegrinaggio quotidiano di donne e bambini dal villaggio ai pozzi con il solo obiettivo di procurarsi l’acqua potabile. Tutti i giorni, tutti i mesi, tutti gli anni, camminano per una esistenza intera non per diletto ma per sopravvivere. Ebbene, Arturo Vittori ha ideato “un albero della vita” che si basa su un principio elementare della fisica… Se volete soddisfare la vostra curiosità e apprendere meglio il funzionamento di questa struttura vi rimando all’approfondimento di Massimo Clementi: Warka Water: l’albero della vita che disseta il mondo!
FONTE
 
L'AGRICOLTORE CHE HA FERMATO IL DESERTO IN AFRICA

L’agricoltore che ha fermato il deserto in Africa

Si può combattere contro il deserto, coltivando una foresta e rendendo fertili delle aree brulle e inospitali? A quanto pare, sì, come ci insegna la storia di Yacouba Sawadogo, un contadino del Burkina Faso che da oltre trent’anni combatte contro la desertificazione utilizzando un’antica pratica agricola africana.
Siamo nel Sahel, un'ampia fascia geografica che si estende a sud del Sahara e che segna il passaggio dal deserto alla savana. Si tratta di un’area ad alto tasso di desertificazione, spesso segnata da prolungati periodi di siccità e da drammatiche emergenze alimentari, e in cui il suolo è estremamente povero, sia a causa del clima che per via dell'abuso di alcune pratiche, quali l’agricoltura intensiva e la pastorizia.
Quando, intorno al 1980, Yacouba Sawadogo ha iniziato a lavorare la terra "a modo suo", i suoi metodi erano così “strani” da suscitare l’ilarità e lo scherno degli altri contadini. L’agricoltore, infatti, aveva scelto di far rivivere, aggiornandola, una tecnica agricola antica e a basso costo, quella delle fosse zai, che consiste nello scavare nel suolo secco e brullo dei microbacini in grado di trattenere l'acqua. Per questo, Yacouba aveva cominciato a produrre tanti fori sul terreno, aumentandone le dimensioni rispetto a quanto previsto dalla pratica tradizionale e riempiendoli poi di compost (in massima parte di foglie e letame).
La pratica delle fosse zai prevede che i terreni vengano preparati durante la stagione secca, in modo che, nel corso della stagione delle piogge, i fori pieni di compost catturino l’acqua, trattenendo l’umidità e le sostanze nutrienti per renderle disponibili anche nei mesi successivi e permettere la semina delle diverse specie vegetali.
Grazie a questo metodo così semplice, Yacouba Sawadogo è riuscito a migliorare la qualità dei propri terreni e a convertire un’area completamente brulla in un bosco di oltre dodici ettari, che ospita più di 60 specie di alberi, accanto a cereali e a erbe medicinali. Di fronte a risultati così evidenti, gli altri agricoltori della regione hanno dovuto ricredersi e molti di loro si sono decisi ad adottare la “strana” tecnica di Yacouba, aumentando il numero di terre tornate produttive.
Yacouba li ha istruiti personalmente, creando, nella sua fattoria, un laboratorio aperto ai visitatori, in modo da diffondere il più possibile le sue conoscenze.
"Voglio che il programma di formazione sia il punto di partenza di molti scambi proficui in tutta la regione." - ha dichiarato in proposito – “Se si rimane nel proprio piccolo angolo, tutte le conoscenze che si hanno non saranno di alcuna utilità per l'umanità."
La sua storia è raccontata in un documentario realizzato nel 2010 dal regista britannico Mark Dodd, il cui titolo è, significativamente, “L'uomo che ha fermato il deserto”. Il film, che mostra anche le difficoltà e l’ostracismo che Yacouba ha dovuto affrontare all'inizio della sua avventura, ha contribuito a farlo conoscere meglio al mondo e a diffondere in altre aree del continente africano l’impiego delle sue tecniche (non solo la pratica delle fosse zai, ma anche quella dei cordons pierreux, delle micro-dighe che, trattenendo l’acqua, ne facilitano l’assorbimento da parte del terreno).
Nonostante il successo del film e la fama raggiunta sia a livello locale che internazionale, Yacouba Sawadogo si trova ancora oggi a dover lottare per salvaguardare la sua opera. Una parte della foresta che ha fatto rinascere e dei suoi terreni, infatti, gli è stata espropriata, annessa alla vicina città di Ouahigouya e inclusa in un progetto governativo di espansione urbana.
Per questo, l’agricoltore e la sua numerosa famiglia – a cui in cambio delle terre è stata offerta, a titolo di compensazione, la proprietà di un piccolo lotto – hanno ingaggiato una battaglia legale e stanno raccogliendo dei fondi per riacquistare l'intera proprietà. Nel frattempo, l'opera di Yacouba continua in altri terreni aridi dell'area, con l'obiettivo di farli tornare produttivi.
"Se tagliamo dieci alberi ogni giorno e non riusciamo a piantarne neppure uno all’anno, ci avviamo verso la distruzione.”  continua a ripetere, e non possiamo non essere d'accordo con lui.
FONTE
 
GESTORI CERCANSI PER CASE CANTONIERE

Gestori cercansi per case cantoniere

ALTO GARDA – Tre case cantoniere gardesane nel progetto pilota per il recupero di questi edifici. Sono quelle di Salò, Toscolano Maderno e Limone. Ecco cosa potranno diventare.
Disseminati su tutto il territorio nazionale, inutilizzati da tempo, alcuni di questi edifici torneranno a nuova vita. Quattro si trovano nel Bresciano, tre dei quali sul Garda (l’altro a Ponte di Legno). Si tratta delle case cantoniere di Salo, Toscolano Maderno e Limone (tutte sulla Gardesana Occidentale).
Diventeranno edifici strategici dal punto di vista turistico, con un occhio di riguardo al movimento vacanziero sostenibile, quello che non corre e si ferma ad esplorare il territorio, i boschi, le strade secondarie, i borghi nascosti. Rinasceranno insomma come ostelli, ristoranti, locande, b&b, punti informativi, ciclofficine, luoghi di promozione e vendita dei prodotti tipici, starting point per attività sportive e altro ancora.
Questo destino è riservato a 30 delle 1.244 case cantoniere sparse sul territorio nazionale, caratteristici edifici dall’inconfondibile color rosso pompeiano che un tempo erano le abitazioni dei “cantonieri”, figure istituite nel 1830 per mantenere e controllare un “cantone” stradale. Un patrimonio immobiliare in cerca di una nuova destinazione, visto che meno della metà delle case cantoniere (607) sono attualmente utilizzate dall’Anas come sedi operative, magazzini, uffici, ecc. Le altre potranno essere riqualificate.
È per lo meno quanto si prefigge il progetto di recupero e valorizzazione promosso da Anas, ministero per i Beni Culturali, ministero delle Infrastrutture e Agenzia del Demanio, finalizzato a trasformare le vecchie cantoniere in luoghi di valorizzazione e promozione del territorio (lo scorso 16 dicembre la firma dell’accordo alla presenza dei ministri Delrio e Franceschini, del presidente Anas Vittorio Armani e del direttore dell’Agenzia del Demanio Roberto Reggi).
La fase pilota del progetto prevede che, partendo da un primo portafoglio di 30 case, si inizi a riqualificare le strutture, mettendole poi a bando ed affidandole in gestione a privati. Le 30 cantoniere selezionate si trovano soprattutto lungo due direttrici importanti per la vacanza slow: la via Francigena e il tracciato dell’Appia Antica. Ma anche in zone ad alta vocazione turistica, come appunto la riviera bresciana del Benaco e Ponte di Legno. Anas si farà carico della ristrutturazione degli immobili e definirà gli standard di servizi che potranno ospitare.
Secondo il progetto dell’Anas ogni casa cantoniera potrà offrire una serie di servizi “base” con una qualità e un costo standard, a cui si aggiungerebbero altri servizi e beni specifici della struttura e del territorio. La gestione dovrebbe essere un’opportunità per giovani imprenditori selezionati sulla base della capacità e dei progetti.
Tutte le info sul sito www.casecantoniere.it.
 FONTE
PINO MUGO: PROPRIETA', BENEFICI E UTILIZZI IN CUCINA
 

Pino mugo: proprietà, benefici e utilizzi in cucina

Il pino mugo è noto da tempo immemorabile per le sue proprietà benefiche: noto anche come pino nano, possiede infatti proprietà espettoranti e antinfiammatorie che ne fanno una tra le più apprezzate piante officinali.

Questa conifera si sviluppa prevalentemente sotto forma di cespuglio sempreverde e gli oli contenuti nei suoi rametti ne fanno una delle piante officinali più preziose, nonché varietà vegetale protetta dalla legge.
Il pino mugo (Pinus mugo) è un arbusto spontaneo particolarmente diffuso sulle zone montuose dell’Europa centrale, da noi presente in particolare nelle Alpi, dove cresce nella fascia tra i 1.500 e 2.600 metri, caratteristica che ne fa una delle poche piante in grado di crescere in alta montagna, insieme a piante come il larice o il faggio. Amante della luce e delle basse temperature, costituisce una delle barriere più efficaci contro scivolamenti, slavine e frane dei terreni sui costoni rocciosi più inclinati.
Il suo aspetto è difficilmente confondibile: si tratta del più piccolo tra i pini presenti in Italia (da qui il nome di pino nano), è assai cespuglioso, con diversi rametti che si incurvano verso l’alto, caratteristica che lo rende simile ad un candelabro.

Pino mugo proprietà

Le gemme e i germogli di pino mugo sono molto utilizzati in fitoterapia e cosmesi naturale per via dell’alta concentrazione di oli aromatici e speziati che si trovano al suo interno. Per le loro proprietà espettoranti e antinfiammatorie,  tali oli possono essere utilizzati sia per via aerea (inalazioni) per liberare bronchi e polmoni dal catarro, sia diluiti nel bagno caldo per godere dell’azione balsamica, sia frizionati sul corpo per combattere dolori articolari e reumatismi. Spesso l’olio di pino mugo viene addizionato in emulsione a quello di mandorla o di oliva fino ad ottenere un composto profumatissimo e benefico in grado di alleviare contratture, distorsioni, affaticamenti muscolari e contusioni.
 
Per il suo gradevole aroma, l‘essenza di pino mugo è utilizzata in diverse formulazioni e profumazioni per ambiente: rilassante e gradevole come una ventata di fresco profumo di bosco, è l’ideale per ritemprarsi dopo una giornata stressante e ritrovare il giusto equilibrio tra psiche e corpo.
 

Pino mugo in cucina

Volete una bella ricetta che preveda l’utilizzo di questo ingrediente? Eccola qui! Con il pino mugo si preparano grappe, oli e sciroppi ed è proprio la ricetta di uno sciroppo di pino mugo che vedremo.
Durante le vostre passeggiate ad alta quota, ricordate che potreste approfittarne per raccogliere qualche pigna di pino mugo (ricordate sempre che la specie è protetta quindi non strappate germogli, gemme o ramoscelli) che vi torneranno utili per preparare un ottimo sciroppo naturale, un vero e proprio toccasana per combattere mal di gola e tosse durante i mesi invernali.
Per riuscirci vi basteranno:
  • 1 manciata di pigne
  • zucchero
Preparazione. Mettete le pigne in un barattolo e unitevi lo zucchero fino a riempire quasi completamente. Chiudete bene con tappo ermetico e riponete il contenitore in un luogo ben soleggiato per alcuni giorni. Quando lo zucchero si sarà sciolto completamente, travasate in un altro barattolo l’olio così ottenuto aiutandovi con un colino. Il vostro buonissimo sciroppo è pronto per essere utilizzato!
 
La curiosità: le storie e le leggende che hanno per oggetto il pino mugo sono diverse, eccone una particolarmente interessante. Vista la straordinaria resistenza alle intemperie, fin dall’antichità i montanari erano convinti che il pino mugo custodisse un principio magico, una forza straordinaria che provarono ad estrarre distillando l’olio essenziale contenuto nel suo legno. Un’antica leggenda altoatesina narra le vicende di Trehs, una strega della Val Sarentina, esperta di proprietà magiche delle piante. Durante la notte delle streghe,  Trehs gettava nel fuoco i rami di pino mugo per sprigionare energia e liberare gli spiriti e ne utilizzava l’olio in prodigiosi unguenti con cui curava i mali dei contadini.
 
 FONTE

 
Copyright © 2016 Natura in Movimento Società Cooperativa, All rights reserved.


Want to change how you receive these emails?
You can update your preferences or unsubscribe from this list

Email Marketing Powered by Mailchimp