Elementi da considerare
Un centinaio d’anni prima che un decreto simile venisse preso in considerazione nella madrepatria giapponese,
Sho-Shin-O proibì il possesso privato e la conservazione delle armi da guerra. Centocinquant’anni prima che
Tokugawa Ieyasu (primo
shogun giapponese) imponesse ai propri
daimyo (signori feudali) l’obbligo di stabilirsi a
Edo (
Tokyo),
Sho-Shin-O diede ordine ai propri
Aji (capi distretto) di ritirarsi dalle proprie fortezze e prendere residenza nel distretto del castello di
Shuri, rafforzando in questo modo il controllo su di loro.
Appena un secolo prima che gli
Edo-Kasatsu (ufficiali delle forze dell’ordine del periodo
Tokugawa, 1603-1868) introducessero l’uso del
rokushaku-bo (bastone da sei piedi) e del
jutte (manganello d’acciaio), gli ufficiali della classe dei
pechin delle
Ryukyu praticavano un sistema di autodifesa che impiegava strumenti in uso nella vita di tutti i giorni.
Lo studio delle tradizioni del combattimento serviva efficacemente a formare un corpo forte e in salute, uno spirito indomito ed un carattere onorevole. Così, le tradizioni combattive di origine cinese vennero praticate principalmente, ma non solo, dai giovani subordinati della zona del distretto di
Shuri e dalla comunità cinese originaria del
Fujian, stabilita a
Kuninda.
Soggiogata dai samurai
Satsuma all’inizio del diciassettesimo secolo,
Okinawa venne radicalmente influenzata da forze antropologiche giapponesi ma riuscì a mantenere i contatti con la Cina. Le tradizioni del combattimento okinawensi/cinesi, evolute secondo un ferreo rituale di segretezza, si riaffacciarono pubblicamente durante il periodo
Meiji (1868-1912).
Storia moderna
Con l’abolizione del
Bakufu Tokugawa (governo militare che guidò il Giappone dal 1603 al 1868) la restaurazione
Meiji traghettò il paese dal feudalesimo alla “democrazia”. Di conseguenza la struttura delle classi, il portare le spade, lo stipendio annuale ed il proverbiale
chonmage (tipica acconciatura), finirono negli annali della storia, così come accadde agli altri fenomeni sociali che rappresentavano le forze dittatoriali del feudalesimo.
A causa dell’incapacità di sfuggire al maschilismo e al timore di perdere la propria identità omogenea a cause dell’influenza straniera, buona parte dei princìpi fondamentali del Giappone ne riflettevano le ideologie feudali. Le forme di
bugei (arti marziali), perpetuando antiche tradizioni e allo stesso tempo incoraggiando lo sviluppo di nuovi passatempi e ricreazioni culturali, divennero una forza strumentale alla formazione della storia del Giappone moderno. Basati su usanze antiche, ideologie inflessibili e profonde convinzioni religiose, le interpretazioni moderne del
budo giapponese rappresentavano qualcosa di più di una forma di ricreazione culturale. Nella sua nuova impostazione socio culturale, il
budo serviva, in molti modi, quale strumento attraverso il quale incanalare il
kokutai[1] (sistema di governo nazionale), introdurre i precetti del
shushin e perpetuare il
nihonjinron, o peculiarità dell’essere Giapponese.
Il fenomeno moderno del
budo, basato su sport e ricreazione, promuoveva un profondo rispetto per le virtù, i valori ed i principi riveriti nel
bushido feudale - “la via del guerriero” - che, tra le altre cose, incoraggiava la volontà di combattere fino alla morte o anche di togliersi la vita se necessario. Entrambi gli ibridi
kendo e
judo incoraggiavano lo
shugyo (austerità) e guadagnarono ampia popolarità in quell’epoca di crescente militarismo.
Il
budo moderno, supportato dal
Monbusho (Ministero dell’Educazione), prosperò nel sistema scolastico giapponese. Adottato da un’aggressiva campagna militarista, il
budo moderno veniva spesso pubblicizzato come la via attraverso la quale “uomini comuni acquisivano un coraggio straordinario”. In questo modo
kendo e
judo servirono allo scopo di produrre corpi forti e abili e promuovere uno spirito combattivo indomito per la macchina bellica giapponese.
Ryukyu Kenpo Karatejutsu
Con la trasformazione di Okinawa in prefettura giapponese, i militari vi promossero una vigorosa campagna di arruolamento volontario. Due dei primi giovani esperti, riconosciuti per le esemplari condizioni fisiche dovute al loro allenamento nel
Ryukyu kenpo karatejutsu (nel corso della valutazione medica per la campagna di arruolamento del 1891) furono
Hanashiro Chomo (1869-1945) e
Yabu Kentsu (1866-1937).
In seguito, la mera possibilità che questo fenomeno combattivo okinawense/cinese poco conosciuto potesse contribuire a migliorare l’efficacia militare giapponese, come nel caso di
kendo e
judo, fece sì che venisse predisposto uno studio per valutarne il potenziale.
All’inizio del ventesimo secolo venne promossa una campagna per introdurre il
Ryukyu kenpo karatejutsu, quale forma di esercizio fisico, nel sistema scolastico di Okinawa e questo obbligò gli amministratori a rivederne sostanzialmente gli scopi. Rimuovendo molto di quel che era considerato troppo pericoloso per i bambini in età scolare, l’enfasi venne spostata dall’autodifesa al benessere fisico, promuovendo la pratica dei kata ma evitando di trasmetterne le applicazioni. Così facendo, senza trasmettere i segreti nascosti dell’autodifesa, il reale significato dei kata venne oscurato mentre si originava una nuova tradizione.
Gli storici impegnati nella ricerca sul
karate ora concludono che questo periodo di transizione rappresenti la fine dell’arte segreta di autodifesa e la nascita di un fenomeno unicamente ricreativo. Tale fenomeno venne introdotto nella madrepatria adeguandosi alle forze del conformismo giapponese e trasformandosi in una nota disciplina competitiva.
Il Karate-do: un microcosmo della cultura giapponese
Konishi Yasuhiro (1893-1983), esperto di
jujutsu e noto insegnante di
kendo, aveva studiato
Ryukyu kenpo karatejutsu prima della sua introduzione formale in madrepatria. Insieme ad
Otsuka Hironori (fondatore del
Wadoryu jujutsu kenpo),
Konishi fu largamente responsabile del movimento di modernizzazione che rivoluzionò il
Ryukyu kenpo karatejutsu.
Konishi sensei, che aveva studiato direttamente con
Funakoshi Gichin, Motobu Choki, Mabuni Kenwa e
Miyagi Chojun, definì il
karatejutsu, se confrontato con
judo e
kendo, come una disciplina incompleta.
Konishi affermò francamente che il
karate moderno venne forgiato esattamente nello stesso modo di
kendo e
judo. Lo spirito combattivo degli antichi guerrieri
samurai, fondamentalmente le varie scuole di
kenjutsu e
jujutsu, fornirono l’infrastruttura sulla quale si sviluppò il fenomeno del
budo moderno.
Il
kendo venne creato utilizzando i concetti fondamentali delle più eminenti scuole di
kenjutsu, così come i principi più profondi del
jujutsu servirono da basi per la creazione del
judo.
Un vecchio
kotowaza (proverbio) giapponese descrive perfettamente come le cose o persone “differenti” (inteso come non in armonia con il principio
wa) vengano forzatamente riportate al conformismo o bloccate dalle onnipotenti forze culturali giapponesi:
deru kugi wa utareru, vale a dire il chiodo che sporge viene immediatamente ribattuto.
Forze culturali
Se comparato a
kendo e
judo, l’umile disciplina del
Ryukyu kenpo karatejutsu, unica quale era, rimase, secondo gli standard giapponesi, incolta e priva di un’adeguata organizzazione o “unicità”. In breve, non abbracciava il principio del
wa e pertanto non era giapponese.
Contrariamente a
kendo e
judo, il movimento del
karatejutsu non aveva un’uniforme formale per la pratica e non prevedeva una struttura competitiva. Il curriculum di insegnamento variava da persona a persona e non c’erano standard organizzati per valutare accuratamente i diversi gradi di competenza. Il
Ryukyu kenpo karatejutsu era, come si può immaginare, soggetto a critiche, rivalità e opposizioni xenofobe durante i primi tempi della sua introduzione da
Okinawa alla madrepatria
.
I criteri
Il periodo di transizione non fu immediato né privo di opposizioni. Incluse una fase di giustificazione, un periodo in cui le animosità erano ventilate ed il vento del dissenso portò con se i semi della riorganizzazione. Era un tempo in cui gli usi stranieri (gli Okinawensi venivano apertamente discriminati ed il sentimento anti-cinese era dilagante) venivano metodicamente respinti e sostituiti dall’introduzione di convinzioni omogenee.
Il
Butokukai (organo nazionale giapponese per le tradizioni combattive) propose l’adozione di un’uniforme standard per la pratica e chiese di sviluppare ed implementare un curriculum di insegnamento univoco. Chiese inoltre di definire standard consistenti per la valutazione dei vari gradi di abilità, come nel
kendo e nel
judo, nonché l’adozione del sistema
dan/kyu (introdotto da
Kano Jigoro).
Doveva inoltre essere sviluppata una struttura competitiva sicura, attraverso la quale i praticanti potevano testare la propria abilità ed il proprio spirito combattivo, come nel
kendo e nel
judo. In effetti il
Ryukyu kenpo karatejutsu era, come affermato da
Konishi Yasuhiro, strutturato ad immagine di
kendo e
judo. Così come dodici pollici formano un piede, il piano consisteva nel creare un set di standard universalmente accettati come nel
judo e nel
kendo.
Non si dimostrarono meno esigenti le potenti forze del nazionalismo, combinate con il diffuso sentimento anti-cinese. Insieme spinsero il movimento del
karatejutsu a riconsiderare un prefisso più appropriato per rappresentare la disciplina, sostituendo l’ideogramma che lo identificava con la Cina. Nel perseguire la transizione il movimento del
Ryukyu kenpo karatejutsu avrebbe inoltre abbandonato il suffisso
jutsu rimpiazzandolo con il termine moderno
do, come nel
judo e nel
kendo.
Il kara di karate-do
L’ideogramma originario poteva essere pronunciato sia “tou” che “kara”.
Kinjo Hiroshi afferma che fino al periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale i maestri di
karate Uchinanchu (Okinawensi) si riferivano generalmente al
karate con il termine
toudi.
Utilizzato per la prima volta dall’insegnante di
Kinjo sensei, Hanashiro Chomo(1869-1945) nel suo libro del 1905 intitolato
karate kumite, il nuovo ideogramma identificava l’arte come un sistema di autodifesa con cui era possibile soggiogare un avversario utilizzando le sole mani “vuote”.
Il nuovo prefisso
kara rappresenta il vuoto (come in mani vuote), e su un piano più profondo richiama la dottrina buddista relativa all’emancipazione spirituale del mondo interiore, così come l’uso del suffisso
do.
Così la disciplina plebea del
karatejutsu di
Okinawa trascendeva il legame fisico di brutalità comune per diventare una forma del
budo moderno, abbracciando quel che era giapponese. Come altre discipline culturali giapponesi, il
karate-do divenne un altro veicolo attraverso il quale veniva canalizzato il principio tutto giapponese del
wa. Da qui il termine innovativo
karate-do (via del
karate) sostituiva definitivamente il termine
toudijutsu (arte del
toudi).
Funakoshi Gichin, in merito all’ideogramma
kara di
karate-do, scrisse “così come una valle silenziosa riporta ogni minimo suono, così chi segue il
karatedo deve essere in grado di rendersi vuoto trascendendo egocentrismo e avidità. Rendersi vuoti all’interno ma retti all’esterno. Questo è il vero significato del termine
kara”.
Per quanto il nuovo termine
karate-do, ottenuto utilizzando i due nuovi ideogrammi (
kara e
do), non sia stato riconosciuto ad
Okinawa fino al 1936, il
Dai Nippon Butokukai lo ratificò nel dicembre del 1933 quando il
karate-do venne infine riconosciuto come
budo giapponese moderno. Oggi molti storici ritengono che il
Ryukyu kenpo karatejutsu, come introdotto in madrepatria in quei primi giorni, fosse al meglio un efficace, ma disorganizzato, metodo di autodifesa.
Il
Butokukai ritenne che i miglioramenti avrebbero portato ad una singola coalizione sotto la sua egida, come accaduto al
judo e al
kendo. Tuttavia lo sviluppo del
karate-do venne messo in secondo piano dalle avversità legate all’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Fu così che l’introduzione di un insieme universale di standard, già presente in
kendo e
judo, non si attuò.
Molti credono che quando il
Butokukai ed altre organizzazioni considerate fomentatrici del militarismo vennero chiuse nel 1945, quando il Giappone si arrese incondizionatamente alle Forze Alleate, anche l’idea di sviluppare il
karate-do come disciplina unitaria, come
judo e
kendo, sia stata abbandonata. Tuttavia il
karate-do, come il
judo ed il
kendo, godette di una inaspettata popolarità grazie alla sua versione sportiva, nata nel sistema scolastico.
Nonostante la crescente popolarità il
karate-do era destinato a mantenere la sua individualità viste le differenze di opinioni, le animosità personali e le forti rivalità. Il
karate-do non riuscì mai a trasformarsi in tradizione univoca, come
judo e
kendo, al contrario si svilupparono miriadi di interpretazioni eclettiche. Fenomeno questo che, nel bene e nel male, continua ancora oggi.
FINE TERZA PARTE
NOTE:
[1] Fondamentalmente kokutai e shushin rappresentano la diligenza, il conformismo, la dedizione alla produttività di massa, la stretta aderenza all’anzianità, l’idolatria verso l’imperatore e l’imperitura lealtà verso la propria organizzazione o azienda.