Dopo il referendum in Grecia, l’unica certezza è che per il popolo greco ha prevalso l’OXI, il no alle condizioni imposte dai creditori internazionali. Cosa succederà adesso non è possibile prevederlo.
Ma il significato politico di quanto è successo, pur annunciato alla vigilia, è già di portata storica.
Ha fatto molto bene l’Unità (bentornata finalmente!) a pubblicare in prima pagina le parole in cui Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, più di settat’anni fa, distinguevano tra progressisti e conservatori delineando la prospettiva di una Europa unita e federale. 
Un orizzonte che in questi giorni sembra essere tornato tristemente lontano, non meno di quanto potesse apparire allora. Di fronte al voto greco si può chiudere (o aggravare) la fase dell’egoismo degli stati che si è aperta esattamente dieci anni fa con un altro “no”- quello davvero contrario all’Europa - detto dai francesi al progetto di Costituzione. Tocca anche a noi scegliere una direzione.
Spesso si dice che ciò che manca è una Europa politica, da contrapporre a quella tecnocratica. Non è così: un’Europa politica c’è eccome, parla tedesco, olandese, finlandese… e utilizza semmai la struttura burocratica per portare avanti un preciso programma, specchio di altrettanto chiari rapporti di forza che - vorrei ricordare a tutti noi - sono da un decennio almeno monocolore a destra. 
Le elezioni europee dello scorso anno hanno confermato questa tendenza, rendendo necessaria una nuova mediazione. Oggi, per cambiare, vanno cambiati questi rapporti di forza e vanno messe in pratica azioni per la crescita e lo sviluppo. Forse il “no” greco darà finalmente una mano.
Le stesse famiglie dei “conservatori” e dei “progressisti” appaiono poi molto meno distinguibili e molto più confuse, preda delle rispettive politiche interne.
La stessa famiglia socialista fin qui è stata in gran parte incapace di avere una visione unitaria e di prospettiva. L’Italia, in questo, potrà dare un contributo determinante solo se interpreterà fino in fondo il suo ruolo come paese  del Mediterraneo europeo.
L’agenda, per il caso ellenico, è chiara: una immediata ripresa delle trattative che prenda seriamente atto degli errori fatti (da entrambe le parti), riconosca l’esito della consultazione popolare e riparta su un mandato politico radicalmente nuovo. 
C’è una significativa differenza tra le responsabilità dei governi (passati e presenti) e quelle dei popoli: scene di disperazione come quelle che abbiamo visto nella patria della nostra cultura classica, non dovranno più accadere. 
O si chiarirà finalmente che parte integrante degli obiettivi dell’intera Unione, oggi più di ieri, deve essere la capacità di ripresa dell’economia greca, e che questa si basa anche sulla sostenibilità sociale delle misure che dovranno essere messe in campo, oppure la tenuta europea si romperà ben prima che la cura uccida il paziente, portando i suoi effetti ben al di là dell’area-Euro. 
La “lava incandescente delle passioni popolari” di cui parlavano Spinelli e Rossi è indubbiamente tornata a scorrere. Ora serve la politica lungimirante e responsabile, capace di  riallacciare i fili tra i popoli e solidificare le nuove basi di una diversa costruzione europea: finalmente più giusta, equa, solidale, unita. 
Quasi il 70% dei giovani tra i 18 ed i 25 anni ieri ha votato no. Non credo sia per ingenuità né perché abbiano poco da perdere, come qualcuno ha scritto. Ma perché hanno tutto da guadagnare: il proprio futuro, in un futuro comune. Dobbiamo volerlo insieme a loro.
Qui di seguito invece trovate un po' di altre questioni su cui non si smette di lavorare quotidianamente, a cui ho provato a contribuire, e che mi fa piacere condividere con voi .
Un caro saluto.