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Archeide Magazine #11/2017:
“La normalizzazione dei tassi
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Magazine n.12
del 30 agosto 2017

“La normalizzazione dei tassi"
Il tasso di interesse fissato dalla Banca Centrale Europea (BCE) nelle operazioni di rifinanziamento principale è oggi allo 0%. Ciò significa che la BCE offre prestiti ad una settimana alle banche commerciali dell’Eurozona (alle Deutsche Bank, Intesa ed Unicredit di turno) al tasso annuale dello 0%. Inoltre la BCE garantisce alle banche che questi prestiti siano potenzialmente illimitati con l’unico vincolo che ogni banca deve depositare presso la BCE o presso organismi da essa designati dei titoli a garanzia per l’ammontare concesso.
 
La BCE ovviamente non valuta tutti i titoli a garanzia allo stesso modo, più i titoli sono rischiosi più la BCE applica un “haircut” (un taglio) al valore nozionale del titolo e richiede ulteriori garanzie per collateralizzare un prestito. Gli Haircut tendono quindi ad aumentare passando dallo 0,5% sui titoli di stato con rating A- o superiore con scadenza fino ad un anno, al 46% dei Bond Bancari BBB- con scadenza superiore ai 10 anni. In sostanza se una banca vuole ottenere un prestito ad una settimana di 100 milioni di Euro dalla BCE può postare in garanzia 100.5 milioni di titoli di stato a breve con rating superiore ad A- (100 diviso 1 meno 0.5%), oppure 185 milioni di Bond Bancari BBB- (100 diviso 1 meno 46%), ma in qualsiasi caso la BCE, se ci sono le garanzie adeguate, è disposta a concedere i finanziamenti per quantità illimitate.
 
Perché questo è importante? Perché così facendo, la BCE riesce a collegare i tassi di interesse sui titoli a breve e con poco rischio al tasso di rifinanziamento target scelto. Se i tassi su un Titolo di stato tedesco a breve salgono sopra lo 0% target della BCE, allora le banche hanno convenienza ad andare a prestito dalla BCE settimanalmente allo 0% ed investire la liquidità ottenuta in titoli di stato tedeschi. Questo fenomeno tende quindi ad “attaccare” i tassi sugli strumenti privi di rischio ai tassi di finanziamento della BCE.
 
In realtà quindi il tasso della BCE è il tasso massimo che ogni settimana può raggiungere un titolo di stato a brevissimo termine con rating superiore a A-, se la BCE alza i tassi di riferimento il meccanismo porta ad un contestuale e speculare rialzo dei tassi a breve sui titoli di stato a basso rischio.
 
Questa è la politica monetaria tradizionale, ovvero il modo con cui i banchieri centrali hanno cambiato il costo del denaro nell’economia da decenni e il metodo con cui si cerca di stimolare o raffreddare la crescita e l’inflazione in un’area monetaria ed economica.
 
Tuttavia dalla crisi del 2008 ed ancor più dalla crisi del debito dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), è diventato via via palese che questo metodo di condurre la politica monetaria è necessario, ma non sufficiente per garantire una corretta trasmissione dei tassi target delle banche centrali ai tassi di interesse di mercato. Infatti i tassi sui titoli di stato tedeschi hanno un’importanza solo marginale per il costo del capitale nell’Area Euro, ben più importanti sono i tassi a medio lungo termine sui Bond bancari ed i rendimenti dei bond di quegli stati che hanno un rischio di credito maggiore: questi tassi infatti hanno una più stretta correlazione con i tassi di interesse che poi le banche applicano ai prestiti concessi alle imprese ed alle famiglie dell’area euro.
 
Proprio perché questi titoli hanno un haircut più elevato quando vengono utilizzati dalle banche in garanzia alle operazioni di rifinanziamento settimanale, il “cap” posto dal tasso di interesse della BCE non funziona perfettamente: le banche non possono andare a prestito per 100 ed investire tutti e 100 in questi titoli, ma devono mettere più titoli come collaterale, lasciandole esposte a potenziali perdite e crisi di liquidità nel caso in cui il controvalore di questi titoli scenda e loro non abbiano più la capacità di rimborsare il prestito alla BCE. Più la scadenza e la rischiosità aumenta più il tasso sui titoli eleggibili avrà quindi uno “spread” positivo rispetto al tasso target della BCE dello 0%.
 
Talvolta questo spread può diventare elevato, come è successo durante la crisi del debito dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), e rendere il canale di trasmissione della politica monetaria inefficiente. Nel 2011 i tassi sui BTP a 10 anni erano sopra al 6%, quando i tassi di riferimento principale della BCE erano allo 0.75% e, quel che più importa, i tassi sui BTP erano del tutto scollegati rispetto ai potenziali aumenti o alle riduzioni del tasso target: la politica monetaria tradizionale non funzionava più.
 
Per eliminare la mancanza di convergenza dei tassi sui titoli di stato dell’Europa periferica e sui bond bancari ai tassi di politica monetaria, la BCE è stata costretta ad attuare delle operazioni straordinarie. Per prima cosa ha introdotto delle operazioni di rifinanziamento a più lungo termine, prestando alle banche con le stesse modalità precedentemente descritte, ma a scadenze più lunghe (6 e 12 mesi). Ha poi diminuito gli Haircut su alcuni tipi di titoli ed ha aumentato gli strumenti eleggibili come collaterale permettendo alle banche di utilizzare come garanzia anche i prestiti alle piccole e medie imprese. Ed infine ha deciso di acquistare nel mercato secondario titoli obbligazionari emessi da stati ed imprese dell’area Euro: il famoso Quantivative Easing o QE.
 
È ormai a tutti chiaro che tra tutte le operazioni di politica monetaria non convenzionale quella che ha avuto il maggior effetto è stata senza dubbio il QE. Con il QE la BCE può intervenire attivamente per guidare non solo i tassi a breve, ma anche i tassi a medio lungo termine degli strumenti che acquista. Pensiamo per esempio al caso del 2012 quando il rendimento del BTP a 10 anni era al 6% con i tassi target di politica monetaria allo 0.75%: in questo caso la BCE ha potuto contattare le banche commerciali che possedevano BTP a 10 anni e comprarglieli, pagandole accreditando nei conti correnti che queste banche tengono presso di lei dei soldi elettronici appositamente creati per l’operazione. Più la BCE comprava BTP a 10 anni, più questi titoli diventavano scarsi nel mercato secondario e più il loro prezzo aumentava ed il loro rendimento a scadenza scendeva. Ripetute operazioni di questo tipo hanno quindi avuto l’effetto di comprimere gli spread tra tasso target e BTP ed hanno reso lo stimolo monetario nuovamente efficiente.
 
Perché scriviamo tutto questo? Perché oggi dopo quasi 10 anni di continui tagli dei tassi target a breve termine e dopo oltre 2.000 miliardi di Euro di acquisti di titoli tramite il QE ed altri 750 miliardi di operazioni di rifinanziamento a lungo termine, il terreno potrebbe essere pronto per un’inversione della politica monetaria.
 
A fine anno, se l’economia europea continua a migliorare a questo ritmo e non vi saranno shock esterni significativi, la BCE potrebbe interrompere il QE. Mentre già nel primo trimestre 2018 potrebbe decidere di attuare una politica monetaria restrittiva. In questo caso le opzioni possono essere due: o la BCE continua a mantenere a bilancio i titoli di stato acquistati e alza i tassi di interesse a breve termine (strada scelta dalla FED americana), oppure decide di venderli, mantenendo però i tassi a breve vicino allo zero. In entrambi i casi sarebbe il primo passo verso una normalizzazione della politica monetaria.
 
Le implicazioni per i portafogli sono molte, ma una in particolare sarà importantissima: se la politica monetaria sarà “in via di normalizzazione” anche il mercato dei Bond a basso rischio dell’area Euro dovrà pian piano normalizzarsi, ciò vuol dire tassi di interesse in territorio positivo ed in rialzo.
 
Il grafico sotto riportato è una semplificazione dell’andamento del rendimento dei titoli di Stato Tedeschi, una sorta di “10 year Bund for dummies”.
Oggi i tassi di interesse che offrono i Bund a 10 anni sono sotto allo 0,5%, ciò equivale a dire che gli investitori sono disposti a prestare per 10 anni il loro denaro allo stato tedesco in cambio di un rendimento nominale dello 0,5%; questi tassi sono a tutti gli effetti tassi straordinari e sintomatici di un regime di crisi. Se e quando si tornerà alla normalità allora i tassi sul Bund a 10 anni dovranno pian piano tornare in area 2%, un tasso di rendimento che permette agli investitori di coprire con il proprio investimento almeno l’inflazione media attesa (2% è il target della BCE). Non è un caso che i rendimenti del medesimo titolo di stato americano sia da più di 2 anni in un range che va dal 1,5% al 2,5%.
 
Va da se che un aumento dei rendimenti sul Bund porterebbero all’aumento dei rendimenti anche di tutti i titoli corporate investment grade emessi in Euro, con conseguenze estremamente negative per i portafogli con elevata durata finanziaria. Per dare un ordine d’idea orientativo sul possibile effetto di una normalizzazione dei tassi sui portafogli, basti pensare che con una componente obbligazionaria del portafoglio con una durata media di 8 anni, un aumento dei tassi dallo 0.5% al 2% porterebbe ad una diminuzione del prezzo delle obbligazioni del 12%. Chiaramente in questa situazione gli investitori che non volessero prendersi la perdita, sarebbero costretti a rimanere intrappolati nella posizione con ritorni nulli per otto anni, il tempo necessario per portare i titoli a scadenza.
 
Operativamente quindi, oggi come non mai, un’esposizione elevata a bond in Euro oltre i 5 anni risulta sconsigliata. Tuttavia è altresì vero che il processo di normalizzazione della BCE sarà in ogni caso lungo e difficoltoso, e strategicamente potrà essere conveniente ricominciare ad accumulare Bond a medio lungo quando i tassi sui Bund a 10 anni si riavvicineranno al 1,5%/2%.
Ufficio Studi Finanziari
Archeide SCF Srl

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