- QUARTA ED ULTIMA PARTE -

Aspetti da considerare
Circa un centinaio di anni prima che il deposito forzato delle spade e delle altre ami venisse messo in pratica in Giappone, il re okinawense Sho-Shin-O, durante il trentesimo anno del suo regno, ratificò un tale atto nel Regno delle Ryukyu.

Inoltre, centocinquant’anni prima che Tokugawa Ieyasu, primo shogun del Giappone, obbligasse i propri daimyo (signori feudali) a risiedere a Edo, Sho-Shin-O ordinò agli aji di prendere residenza nel quartiere del castello di Shuri, al fine di poter esercitare un maggior controllo.

Infine, un secolo prima che gli Edo-kasatsu (forze dell’ordine del periodo Tokugawa) facessero ricorso al rokushaku-bo (bastone lungo sei piedi) ed al jutte (manganello in ferro) per il controllo dei civili, gli ufficiali della classe okinawense dei pechin avevano già strutturato il loro inconfondibile metodo di autodifesa, facendo ricorso a oggetti in uso nella vita quotidiana.
 
Una profonda influenza
È evidente che la cultura della piccola isola di Okinawa sia stata profondamente influenzata dal legame con il Regno di Mezzo e dalle altre culture straniere, inclusa quella giapponese.
L’editto di Sho-Shin finalizzato alla proibizione del possesso di armi e all’obbligo del loro deposito, emanato dopo l’unificazione dei tre regni e l’istituzione di un governo centralizzato, aveva fornito un chiaro incentivo ad approfondire la ricerca di mezzi di autodifesa civile alternativi ad uso delle forze dell’ordine.
Il legame con il Regno di Mezzo fornì i mezzi per soddisfare le loro ambizioni.

In seguito, con il governo centrale delle Ryukyu praticamente disarmato a seguito dell’occupazione di Okinawa del 1609, le tradizioni del combattimento civile assunsero un nuovo significato e vennero vigorosamente studiate, principalmente anche se non esclusivamente, dalla classe degli ufficiali pechin. Influenzate prima radicalmente dalla trasformazione politica, poi gradualmente dal sistema marziale dei samurai del clan Satsuma (jigen ryu), le arti del combattimento indigeno di Okinawa, in modo non dissimile da quanto accadde alle arti marziali giapponesi e cinesi, vennero ammantate da un rituale di segretezza.

Questo velo di segretezza ebbe vita breve dopo l’abolizione del Regno delle Ryukyu, avvenuta nel 1879.

In seguito, durante il periodo Meiji (1868-1912), parti di quelle tradizioni combattive (toudi ed okinawate) servirono come fondamenta per il ripristino, lo studio e la promozione di questi inestimabili fenomeni culturali. Oggi il karatedo, tradizione combattiva moderna giapponese, sport e attività ricreativa, rappresenta una sorta di microcosmo dell’eredità combattiva civile di Okinawa.

Miyagi Chojun (1888-1953) fondatore della tradizione karate goju-ryu, scrisse nella sua opera del 1934 dal titolo «Karatedo Gaisetsu» che indipendentemente da dove e quando il kenpo venne per la prima volta sviluppato, quel che è innegabile è che risalga a tempi antichi e che derivi dall’animosità che caratterizza la natura umana.

Attraverso la sostanza spirituale, questa antica tradizione combattiva civile trascese le barriere della brutalità comune e salì alla ribalta.

L’opinione provocatoria espressa da Tei Junsoku, uekata (grado ufficiale superiore alla classe dei pechin) del diciassettesimo secolo del distretto di Nago, è utile a rammentarci gli obblighi morali ed i princìpi che reggono questa tradizione combattiva: «…non importa quanto tu eccella nelle tradizioni combattive e negli studi scolastici, niente è più importante del tuo comportamento e dell’umanità dimostrati nella vita quotidiana».
 
Patrick McCarthy

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