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Un caso editoriale dalla Corea del Sud, passando per Londra
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La vegetariana di Han Kang

Hai ragione. Le parole e i pensieri presto spariranno tutti.” 

Amleto_cranio

Sul treno per Padova, qualche giorno fa, ho finito di leggere “La vegetariana” di Han Kang (Adelphi Edizioni). Come avevo già detto sulla mia pagina Facebook, l’incipit è meraviglioso, come altre parti dell’opera.

“Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante. Per essere franco, la prima volta che la vidi non mi piacque nemmeno. Né alta né bassa, capelli a caschetto né lunghi né corti, colorito itterico e malaticcio, zigomi un po’ sporgenti: quella sua aria timida e giallognola mi disse tutto quello che mi occorreva sapere di lei. Mentre si avvicinava al tavolo dove la aspettavo, non potei fare a meno di notare le sue scarpe: un paio di scarpe nere, le più banali che si possano immaginare. E quel suo modo di camminare, né veloce né lento, a passi né grandi né piccoli.
Tuttavia, pur non avendo attrattive speciali, non presentava nemmeno particolari difetti, e quindi non ci fu ragione di non sposarci.” 


Le parole di Han Kang sono come sassi gettati sulla superficie di un lago: la increspano, e chi la osserva smette di guardare il riflesso sull’acqua e scorge quello che c’è sotto, mentre i cerchi si esauriscono. L’autrice cerca di dire, ma non dice ancora, cose grandi (come la violenza, e il tentativo di sottrarsi al suo giogo) con parole piccole.

La prosa è semplice, alle volte scade nella banalità delle frasi fatte, ma nonostante questo difetto (l’unico che mi ha disturbata) il lettore condivide l’inquietudine del marito, poi l’erotismo del cognato, infine la confusione, la rabbia, l’accettazione della condizione di Yeong-hye da parte della sorella.

Yeong-hye, la protagonista, non è mai la voce narrante del romanzo, e la cosa più vicina a lei che abbiamo è la descrizione del sogno che l’ha spinta a diventare vegana. Un sogno violento, sanguinoso, angosciante, che non vuole condividere con altri, perché non lo capirebbero. Perché non la capirebbero.

È l’autrice stessa che ce lo spiega: “La protagonista è sempre vista dagli altri, a cominciare dal marito. Il fatto che venga sempre vista dagli altri la rende soggetta a continui malintesi, anche da parte del lettore. Tutti gli sguardi in contrasto tra loro falliscono quando vogliono dirci la verità su qualcuno o qualcosa. Succede anche a Yeong-hye, quando smette di mangiare carne. Lo spazio vuoto di cui parlavo prima è fondamentale affinché il lettore resti libero di tracciare il “suo” personale volto della protagonista, che non racconta mai in prima persona. Voglio che sia il lettore a decidere quali sono le ragioni per cui Yeong-hye smette di mangiare carne e in virtù delle quali spinge fino all’estremo questa scelta”. (Rivista Studio)

La vegetariana è un bel romanzo, che rimpiango di non aver letto, però, nella versione di Deborah Smith, premiata al Man Booker International Prize, dato che Adelphi è stata così pigra da tradurre il libro dall’inglese e non dall’originale coreano.
Shame on you, Adelphi!

Alessandra
 

* L’immagine utilizzata nella newsletter è opera di Nobuyoshi Araki.

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