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Fumo di Londra
Fatti, analisi e racconti della settimana britannica 
Sabato 21 gennaio 2017
di Gabriele Carrer (@GabrieleCarrer, fumodilondra.com)

La «clean Brexit» ha distrutto il Labour
Il bye-bye di Theresa May all’Unione Europea manda in confusione laburisti ed europeisti. Il premier ed i conservatori volano nei sondaggi, mentre il Labour, confuso, arranca sempre più.

Settimana di grandi discorsi. Del primo, quello con cui il premier Theresa May ha annunciato la sua versione «clean» dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, abbiamo parlato diffusamente nell'edizione straordinaria della newsletter che martedì mattina vi ha anticipato quasi tutti i punti toccati nel discorso: uscita "dura" abbandonando la libera circolazione delle persone, il mercato unico e la Corte di giustizia europea. In poche parole, come da slogan della campagna ufficiale per la Brexit, «Vote Leave, Take Control», votare per uscire e riprendi il controllo. Stephen Booth, direttore del think-tank Open Europe, ha sottolineato come dalla lettura del piano in dodici punti presentato da Theresa May emerga una visione del ruolo del Regno Unito nel mondo globalizzato, coerente con la situazione interna del Paese. Ecco la «Global Britain» proposta dal del premier: come la farfalla del settimanale conservatore Spectator che dalla scatola europea che la teneva prigioniera si libera e spicca il volo.
May ha scritto anche un editoriale sul Sun ed è intervenuta a Davos. Ma dicevamo che la newsletter di martedì vi aveva anticipato quasi tutto. Già... Quasi. Mancava infatti un punto non secondario, anzi. Il primo ministro ha annunciato che una volta negoziata la Brexit gli accordi verranno sottoposti a voto parlamentare in entrambe le Camere (Comuni e Lord). Sul sito conservatore Conservative Home, Mark Wallace scrive che si tratterà di una decisione «prendere o lasciare». Ed è chiaro che lasciare accenderebbe le proteste del "voto popolare tradito" a pochi mesi dalle elezioni generali (nel 2019 il premier May vuole chiudere la pratica, l'anno dopo si tornerà alle urne).
Vediamo quindi le reazioni delle altre parti politiche. Sul Financial Times Sebastian Payne scrive della necessità  del premier di convertire i sostenitori del Remain in Brexiter anche un po' scettici perché l'unità è elemento fondamentale per realizzare una Gran Bretagna globale. Ma, continua, «l'opposizione non è più il Partito Laburista, che è diventato inutile e irrilevante, ma i nazionalisti che vogliono trainare nuovamente il Regno Unito in un mondo color seppia di splendido isolamento». Ecco il punto. Le divisioni della politica britannica non sono più tanto basate sui partiti ma su visioni differenti del mondo: apertura contro chiusura, liberalismo contro protezionismo. 
Con gli indipendentisti dell'UKIP che, dopo aver conquistato la Brexit, tentano ora con il nuovo leader Paul Nuttall una piccola rivoluzione per puntare ai feudi laburisti, il fronte Leave è compatto, almeno per ora. Non c'è stata invece alcuna rivolta del grande partito che incarnava fino a poco tempo fa l'europeismo britannico: il Labour. Il leader Jeremy Corbyn (durante la campagna referendaria accusato di scarso interesse per la causa del Remain dopo un passato da euroscettico), ha ordinato ai suoi di votare a favore dell'attivazione dell'articolo 50 che darà il via alla Brexit nel caso in cui la Corte Suprema dovesse confermare la necessità di un'autorizzazione parlamentare. La mossa ha fatto arrabbiare molti deputati laburisti, stufi della linea debole del leader sui temi fondamentali: si parla di almeno una trentina pronti alla scissione (Guardian). Enrico Franceschini, inviato a Londra di Repubblica, scrive che il Labour si è perso nel labirinto della Brexit.

L'unica voce laburista di rilievo che ha il coraggio di dire "dobbiamo restare nel mercato comune" è Sadiq Khan, ex-deputato e sindaco di Londra, che lo ha dichiarato, senza se e senza ma, alla conferenza del World Economic Forum a Davos. Previsione o perlomeno possibilità: dopo le prossime elezioni, Khan cercherà di diventare leader del Labour e imprimergli una svolta, risvegliarlo, salvarlo. Se ciò risulterà impossibile, formerà un nuovo partito, come ha fatto in Francia l'ex-ministro dell'Economia socialista Emmanuel Macron, ora indicato dai sondaggi come l'uomo in grado di battere tutti i candidati socialisti e andare al ballottaggio per le presidenziali. Che genere di svolta? Non un ritorno al blairismo, ma nemmeno un ritorno al passato: da meditare, in proposito, le parole del vicepresidente americano Joe Biden nella bella intervista che ha dato questa settimana al New York Times, "non c'è nulla che direi ai sindacati che non mi sentirei di ripetere alla camera di commercio", ovvero un partito progressista può anzi deve fare gli interessi degli uni e degli altri. Se vuole uscire dal labirinto e tornare a governare.

Sull'Independent, James Moore ha proposto una scissione del Labour per consentire ai remainers di allearsi con i Liberals e con l’Snp (il Partito Nazionale Scozzese), creando una coalizione poco convenzionale ma coesa per la permanenza della Gran Bretagna nell’UE (vedi Linkiesta/EuVisions).
Basta dare un'occhiata ai sondaggi (ultimo di YouGov per il Times) per capire la situazione attuale per i laburisti che perdono terreno mentre i conservatori, che pur devono gestire la patata bollente della Brexit, crescono.

  • Conservatori 42 (+3)
  • Laburisti 25 (-3)
  • Liberal-democratici 11 (=)
  • UKIP 12 (-1) 
Il grafico qui sotto sull'andamento nell'ultimo anno è ancora più preoccupante per la sinistra britannica (Business Insider/UK Polling Report data). Tutto questo mentre, rivela il Telegraph, Corbyn rischia di segnare un nuovo record negativo: diventare il primo leader dell'opposizione a perdere un'elezioni suppletiva dopo 35 anni. Stiamo parlando del seggio di Copeland, una (ex?) roccaforte laburista nel nord dell'Inghilterra, lasciato vacante a fine dicembre da Jamie Reed, grande avversario interno di Corbyn (per saperne di più su Copeland c'è questo post sul blog).
 

Le notizie e le curiosità della settimana.

Ancora qualcosa su Brexit e i discorsi. Di Brexit e del discorso di Theresa ho parlato con Alan Patarga a Tgcom24 e con Daniel Moretti su Radio Cusano Campus (qui e qui). Ora, paragonate le reazioni della stampa britannica (carrellata sul blog Fumo di Londra) con quelle della stampa europea (Independent e The New European). Dopo l'annuncio del premier May la sterlina è tornata a crescere. Il perché lo spiega Vito Lops sul Sole24Ore. Perché, invece, c'è ancora poca chiarezza nei piani Brexit lo spiega Phastidio. Infine, i quattro scenari per l'Europa dopo la Brexit li messi in fila da Ilaria Maselli per EurActive.com: non benissimo.

Ancora una cosa su Theresa. Ho cercato di decifrare il conservatorismo di May chiedendo a tre esperti (Richard Carr, Ryan Shorthouse e Robert Colvile) che hanno analizzano le scelte e la visione politica del premier britannico. Il mio pezzo per il Foglio 

Special relationship. Dalle mosse di Trump e May possiamo scoprire le future sfide dell’occidente, dice il direttore de La Stampa Maurizio Molinari a SkyTg24, al termine del discorso di insediamento del quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Approcci simili per May e Trump nella lotta alle diseguaglianze e nel superamento del multilateralismo internazionale. Secondo Fraser Nelson, direttore del settimanale britannico conservatore Spectator, con Trump ritorna il protezionismo e gli Stati Uniti si ritirano dal libero mercato: c'è un posto vuoto a cui la Gran Bretagna può e deve puntare.

Westmonster. «Pro-Brexit, pro-Farage, pro-Trump, anti-establishment, anti-open borders, anti-corporatism». Sono le caratteristiche di Westmonster, il sito di notizie nato giovedì. Lo racconto sul blog Fumo di Londra. L'articolo di apertura è stato firmato dall'ex leader indipendentista Nigel Farage che ora, tra radio, tv ma anche Casa Bianca, è ovunque per insegnare il mondo che cambia e l'establishment che ancora non si è svegliato, dice lui. 

Cambiamo registro (finalmente?)...

Stanno boicottando il Daily Mail. Come raccontava il Foglio qualche settimana fa, è in atto una protesta contro i "giornali di destra". Si chiama «Stop funding hate» la campagna che chiede ad altre grandi aziende, come Waitrose, John Lewis e Marks & Spencer, di ritirare la pubblicità dai giornali conservatori. La Lego, il gigante danese delle costruzioni per bambini, ha troncato il suo contratto con il quotidiano britannico Daily Mail. Ed oggi le zone Daily Mail-free stanno prendendo piede in tutto il Regno Unito (Indy100).

Mediaset prova a rilanciare la pay-tv e lo fa da Londra. Premium è da tempo un tasto dolente per Mediaset: grandi investimenti, ritorni ancora da vedere. Si studia un modello "aperto" con la messa a disposizione del canale ad altri operatori (Repubblica). Analisi, visioni e patriottismo di Phastidio su Mediaset, una storia molto italiana.

Un grosso ricco matrimonio russo - a Londra. Lo racconta Franceschini su Repubblica: Irene Kogan e Daniel Kenwey hanno 19 anni e si sono sposati l'altro giorno a Londra. Non sarebbe una gran notizia, a parte l'età leggermente precoce degli sposini per andare a nozze, se non fosse per come il padre della sposa, l'uomo d'affari russo Valerij Kogan, ha organizzato il matrimonio, affittando un intero albergo di lusso, il Landmark Hotel, e assoldando Elton John e Mariah Carey per cantare al banchetto. Prezzo totale dell'evento, secondo i tabloid: 3 milioni e mezzo di sterline, pari a oltre 4 milioni di euro. La festa è durata nove ore e il paparino, o meglio Paperone, ha convinto anche Antonio Banderas a fare gli auguri alla coppia. Della serie: gli eccessi degli oligarchi venuti da Mosca non finiscono mai.

I lupi? Salvano la vita. Una ragazza sopravvissuta ad un stupro racconta a Metro come un branco di lupi l'ha salvata dall'anoressia. 

Pallone. Altro che Brexit, il Manchester United è il club più ricco al mondo. La classifica Deloitte per i ricavi 2015/16: gli inglesi meglio di Barcellona e Real Madrid (La Stampa). C'è poi uno studio di World in Motion e GK1 Management che mostra come Claudio Bravo sia il peggior portiere tra le prime 6 squadre della Premier. Ne parla Undici.


Newsstand. 
Ieri Trump è diventato il 45° presidente degli Stati Uniti d'America. Lo Spectator racconta il suo «you're fired» pronunciato con Theresa May al suo fianco e rivolto ad Angela Merkel: il ritorno della «special relationship» tra USA e Gran Bretagna. I progressisti del NewStatesman guardano all'inizio dell'era Trump cinguettante su Twitter e su declino della Grande Repubblica. L'Economist racconta che cosa attendersi dall'amministrazione Trump e, tra le altre cose, anche il problema delle banche italiane.


Le migliori letture della settimana.

  • Il liberismo tornerà di moda. Effetto del protezionismo trumpiano: moltiplicazione dei profeti del libero mercato. Ragioni per essere ottimisti. Il direttore Claudio Cerasa sul Foglio.
  • La globalizzazione è cattiva. Ancora? Dall'intervista di Trump al Times sull'Europa, alla strategia di Corbyn, fino alle dichiarazioni di Bersani: tutti felicemente protezionisti. Il direttore Federico Sarica su Studio.
  • Come le statistiche hanno perso il loro potere - e perché dovremmo aver paura di ciò che verrà. Una long-read del Guardian sulle difficoltà dei dati. Un esempio? Nel Regno Unito una ricerca ha dimostrato che il 55% della popolazione ritiene che il governo stia nascondendo la verità sul numero di immigrati che vivono nel paese. 
  • La passione di Di Canio. Intervista di Federico Sarica (sì-sì, sempre lui, è bravo che ci posso fare?) per Undici a Paolo Di Canio, voce della Premier League su Sky: la passione per l'Inghilterra, la televisione, la voglia perdurante di panchina.

Un grazie, qualche suggerimento.
Grazie a Francesco Costa, vicedirettore del Post e curatore di una newsletter sulle elezioni americane. Nella sua ultima uscita (ci si iscrive qui) Francesco consiglia questa newsletter sulle cose britanniche assieme ad «altri progetti italiani che sono nati nel corso dei mesi anche sull'onda di questo: una newsletter e una pagina Facebook sulle elezioni francesi, una newsletter sulle elezioni tedesche».
Grazie Francesco! Se volete potete sostenerlo, in nome del suo lavoro degli ultimi diciannove mesi e di quello che porterà avanti per tutto il 2017 tra newsletter e podcast, facendo una piccola donazione.
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«Dove andrà a finire la nostra Inghilterra?», si chiedeva l'anziano nel film di Alberto Sordi.
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