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Fumo di Londra, 11 ottobre 2018
«Cento settimane per dirsi addio». Episodio #79

Come la Brexit cambierà l’antiterrorismo europeo
Condivisione di informazioni e cooperazione delle forze di polizia: il «no deal» sarebbe un problema

Il 7 luglio 2005 è stato l’11 settembre 2001 britannico. Dopo decenni di terrorismo firmato Ira, quel giorno Londra e il Regno Unito conobbero il terrorismo di matrice islamista. Una serie di esplosioni in tre treni della metropolitana e in un autobus: 56 morti, inclusi i quattro attentatori, e circa 700 feriti. Perse la vita anche Benedetta Ciaccia, trentunenne romana, unica vittima italian di quegli attentati rivendicati da Al Qaeda, la stessa organizzazione terroristica che architettò l’attacco alle Torri Gemelli. Sei anni dopo quel «7/7» (7 luglio), ci fu l’assassinio del giovane fuciliere Lee Rigby, decapitato da due uomini di origine nigeriana convertitisi all’islam e vicini all’organizzazione salafita Al-Muhajiroun, bandita dal Regno Unito nel 2005. Nel 2016 un suprematista bianco uccise, una settimana esatta prima del referendum sulla Brexit, la deputata laburista Jo Cox. L’anno scorso, a marzo, l’attentato di Westminster: un islamista uccise investendole con l’automobile quattro persone. A maggio la bomba alla Manchester Arena: un ventiduenne islamista si fece saltare in aria causando la morte di 22 persone tra cui diversi bambini e adolescenti che uscivano dal concerto di Ariana Grande. Il 3 giugno l’attentato al London Bridge: otto morti causati da tre islamisti a bordo di un furgone. Sedici giorni più tardi, un gallese si lanciò contro la folla che usciva dalla moschea di Finsbury Park, a Nord della capitale britannica, chiusa nel 2003 perché ritenuta la culla della jihad britannica e poi affidata a imam moderati.

Le difficoltà nei colloqui sulla Brexit il Regno Unito e l’Unione europea rappresenta una sfida per entrambe le parti in termini di sicurezza e stabilità. E se a un accordo non si dovesse arrivare a causa dell’inconciliabilità tra le posizioni europea, britannica (con il partito al governo spaccatissimo sulle modalità di uscita), irlandese e nordirlandese, si spalancherebbero le porte allo scenario peggiore: il «no deal». Che avrebbe ripercussioni sull’antiterrorismo e sulle forze di polizia: in particolare richiederebbero sforzi senza precedenti, come evidenzia un rapporto del Soufan Center, la condivisione delle informazioni e l’intelligence tra il Regno Unito e l’Unione europea. Il rapporto sottolinea come la condivisione di informazioni tra i Paesi membri dell’Ue su questioni come terrorismo e criminalità - per quanto sia ben lungi dall’essere perfetta (basti pensare agli errori di comunicazione in merito agli spostamenti di molti membri di cellule terroristiche di Parigi e Bruxelles collegate al cosiddetto Stato islamico) - è preferibile all’alternativa alla quale sarebbe costretto il Regno Unito in caso di «no deal», cioè alla moltitudine di accordi bilaterali (che, non va dimenticato, vanno negoziati e non è sempre facile).

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In quel caso, inoltre, il Regno Unito rischierebbe di trovarsi senza un accesso diretto alle informazioni e con grandi difficoltà, anche burocratiche, nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. Era il 18 settembre quando il National Police Chiefs’ Council, il corpo che coordina le attività delle forze di polizia britannica, lanciava l’allarme. Certo, non ha avvertito che ci sarebbe un aumento della criminalità o del terrorismo, ma che le attività di contrasto sarebbero molto più difficili, soprattutto dal momento che i sistemi attualmente in uso sono ormai rodati e vengono costantemente perfezionati. Sara Thornton, numero uno dell’Npcc, ha affermato che «gli strumenti Ue esistenti consentono al Regno Unito di rispondere rapidamente e in modo intelligente al crimine e al terrorismo nel Paese e nell’Ue - ci rendono più pronti a proteggere le persone». Ha poi aggiunto che «le alternative che stiamo ipotizzando, laddove esistono, sono più lente, più complesse burocraticamente, in definitiva meno efficaci».

Pensando al mandato d’arresto europeo si capisce ancora di più ciò che il «no deal» sulla Brexit potrebbe significare. Il mancato accordo, infatti, si porterebbe dietro lo smantellamento dei protocolli e dei sistemi esistenti, che verrebbero sostituiti da una struttura ancora da mettere in piedi e che alcuni esperti prevedono senza molti dubbi «più bizantina» e non adatta allo scenario contemporaneo in cui. Grazie al mandato di arresto europeo (Mae), il Regno Unito arresta circa otto persone con Mae non britannico per ogni persona arrestata con Mae britannico. E il «no deal» costringerebbe il Regno Unito a escogitare nuovi sistemi che dovrebbero replicare ciò che già esiste. Perché il sistema del mandato di arresto europeo, nonostante i suoi difetti, è ancora, secondo gli esperti del settore, migliore a qualsiasi alternativa realizzabile a breve termine.

Gli esperti di intelligente concordano su un fatto: la recente diminuzione di attentati nell’Unione europea è figlia della cooperazione delle forze di polizia e dei servizi di intelligence dei 28 Paesi. Così, ora che uno dei 28 sta per lasciare il giro, l’ipotesi una Brexit senza accordo rischia di rendere i recenti sforzi inutili, creando ostacoli alla condivisione di informazioni tra le agenzie.

Ciao, ci sentiamo giovedì prossimo. Come sempre, vi lascio qualche suggerimento di lettura.
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