E veniamo alla penultima puntata di Verso Le Politiche 2018. Nelle ultime settimane ho analizzato le strategie politiche dei principali schieramenti. Ne mancava uno, di cui parlerò oggi: il centrosinistra. Prima di iniziare, però, voglio ringraziare vecchi e nuovi lettori: gli spunti che mi date sono sempre tanti e rispondervi è un piacere. Grazie, davvero.
Sembra passato un secolo dal 4 dicembre 2016, data in cui il 59% degli italiani bocciò la riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi e da buona parte della dirigenza del Partito democratico. Nei mesi successivi, sono stati quattro gli avvenimenti che hanno sancito il cambio di passo nella proposta politica e nella strategia comunicativa del Pd. Andiamo a vederli insieme.
Le dimissioni di Renzi e il Governo Gentiloni.
Il primo sono state le dimissioni di Matteo Renzi, alle quali è seguita la nomina di Paolo Gentiloni alla Presidenza del Consiglio il 12 dicembre 2016. Gentiloni, inizialmente dipinto come Presidente pro tempore, ha invece governato fino al termine della legislatura, costruendo consenso attorno alla sua figura grazie al tratto distintivo che lo caratterizza: l'operatività silenziosa. La forte esposizione mediatica di Renzi è stata sostituita da un profilo per certi versi opposto, ma efficace.
La nomina di Marco Minniti.
Il secondo è la nomina di Marco Minniti al Ministero dell'Interno. L'impatto di questa scelta è stato fortissimo. Sicurezza e immigrazione, temi altamente spinosi e complessi, sono stati presi in carico da una figura del tutto diversa rispetto a quelle che, in passato, il centrosinistra aveva espresso. Un Ministro pragmatico, che non usa i social, con una visione ben precisa del ruolo del proprio schieramento: "la sinistra deve costruire un futuro libero dalle ossessioni, affrontando i problemi invece di nascondere la testa sotto la sabbia". In termini elettorali, Minniti ha sostanzialmente chiuso il rubinetto dei voti che uscivano anche a causa della poca credibilità di chi lo aveva preceduto.
La nascita di un partito a sinistra del Pd.
Terzo avvenimento chiave è stato la nascita di Mdp, subito dopo la fuoriuscita dal Pd della minoranza antirenziana. Dopo anni trascorsi a discutere internamente, Bersani e compagnia hanno deciso di creare una nuova forza a sinistra del Partito democratico. Mdp è poi confluita in Liberi e Uguali, cartello elettorale che vede in Pietro Grasso il proprio leader (more or less) e che si presenterà sotto un unico simbolo alle prossime elezioni. Parte rilevante della vecchia minoranza è tuttavia rimasta all'interno del Pd (si pensi, ad esempio, a figure come Andrea Orlando o Gianni Cuperlo).
La rielezione di Renzi.
Alla nascita del nuovo soggetto politico, è seguito il quarto evento importante: la rielezione di Matteo Renzi alla segreteria del Partito democratico. Renzi ha ottenuto quasi il 70% dei voti (su 1.850.000 votanti), riprendendo il controllo del partito. La portata della vittoria gli ha successivamente permesso di avere l'ultima parola nella scelta dei candidati per le Politiche del 2018, la stragrande maggioranza dei quali è vicina al segretario. Ciò ha creato malumori interni e fatto nascere il sospetto che vi sia la volontà di formare una forza di stampo macroniano nella fase post elettorale.
La forza di Gentiloni.
Nei mesi successivi al Congresso il segretario del Pd ha cambiato gradualmente rotta in termini di scelte comunicative. Renzi ha cercato di valorizzare la squadra di Governo espressa nel corso degli ultimi anni, puntando soprattuto sui punti di forza di Paolo Gentiloni e provando ad estenderli al resto del Partito.
Si è sostanzialmente entrati nella fase in cui il Pd si è presentato come "forza tranquilla", sia attraverso le parole dei suoi massimi esponenti, sia utilizzando i canali social non ufficiali.
"La force tranquille" fu uno slogan utilizzato da François Mitterand nella campagna elettorale del 1981, coniato dal pubblicitario Jacques Séguéla. L'obiettivo dello slogan era duplice: tranquillizzare l'elettorato moderato, esprimendo al contempo la forza di Mitterand e della sua coalizione. In realtà, a detta dello stesso Séguéla, quello slogan non fu decisivo per la campagna: le rilevazioni sondaggistiche precedenti alle affissioni davano già Mitterand davanti a Valéry Giscard d'Estaing. Servì, in ogni caso, a rafforzare la figura di Mitterand nei sette anni seguenti.
Parlare di forza tranquilla dopo la fase della rottamazione ha rappresentato per il Pd a trazione renziana una sorta di inversione a U. Si è trattato di una di quelle scelte che richiedono tempo prima di essere assimilate dagli elettori. E il tempo, con le elezioni alle porte, non gioca a favore di nessun partito.
Le altre forze della coalizione.
L'approvazione del Rosatellum - all'interno del quale, come ben sappiamo, oltre un terzo dei parlamentari viene eletto in collegi uninominali - ha portato il Pd a trovare degli alleati con i quali condividere un percorso programmatico e provare a portare a casa il più alto numero di collegi possibile.
L'alleato più importante in termini di immagine e di potenziale peso elettorale è senza dubbio +Europa. Movimento guidato da Emma Bonino, tra le figure con il più alto tasso di fiducia in Italia, +Europa è cresciuta nei sondaggi fino ad essere quotata vicino al 3%, soglia che, come sappiamo, permetterebbe a questa forza di entrare in Parlamento anche in quota proporzionale.
Le ragioni del consenso di +Europa sono due. La prima è la natura della proposta politica, legata alla realizzazione di quel sogno chiamato Stati Uniti di Europa, a una gestione economica responsabile e a un allargamento dei diritti civili e sociali in grado di colmare il gap italiano con le maggiori democrazie (qui trovate l'intero programma). La seconda è la capacità di raccogliere il voto di protesta nei confronti del Partito democratico. In parole povere, l'elettore che oggi non vuole votare né per Renzi né per D'Alema, vota Bonino. Occorre ricordare che il raggiungimento del 3% sottrarrebbe seggi al Partito democratico (cosa che non accadrebbe se +Europa ottenesse tra l'1% e il 2,99% dei voti, come prevede il Rosatellum).
Civica Popolare e Insieme.
Le altre due liste della coalizione di centrosinistra sono Civica Popolare e Insieme. La prima è guidata dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e vuole rivolgersi a quel pezzo di Italia moderata che il Pd non è in grado di intercettare. Vede al suo interno figure un tempo vicine a Berlusconi, come Pier Ferdinando Casini (candidato all'uninominale a Bologna, come ben sa chi segue #RomanzoUninominale).
Insieme, che è invece di chiaro stampo ulivista, ha di recente ricevuto l'endorsement di Romano Prodi. I sondaggi stimano entrambe le liste intorno all'1%, soglia da superare per poter trasferire i propri voti al resto della coalizione. Sotto quella soglia i voti delle due liste sarebbero utili soltanto per la parte uninominale, mentre per la quota proporzionale andrebbero persi.
(Romano Prodi e Giulio Santagata)
Le proposte del Pd.
Tornando al Partito democratico, la sua campagna elettorale vede un bilanciamento tra messaggi che esaltano i tanti risultati ottenuti (dal Jobs Act alle Unioni Civili, passando per la legge sul Biotestamento, fino ad arrivare al Dopo di noi) e le nuove proposte, queste ultime quasi sempre in continuità con le azioni di governo precedenti (qui trovate le 100 cose fatte e le 100 cose da fare).
(un estratto dei 100 punti)
Allo stesso tempo, il Pd ha provato a rafforzare l'immagine di forza responsabile, distinguendosi dagli altri soggetti in campo. Un tema centrale, in questo senso, sono stati i vaccini: la contrapposizione con il Movimento 5 stelle (e con la Lega) salta subito agli occhi.
Gentiloni candidato Premier?
Al di là delle proposte programmatiche, una domanda sorge spontanea: come mai Gentiloni, nonostante gli alti livelli di fiducia, non è mai stato presentato come candidato Premier della coalizione? I motivi di questa scelta sono essenzialmente due. Il primo riguarda il sistema elettorale in vigore, che prevede l'indicazione del candidato Premier solo per i partiti e non per la coalizione (tra l'altro, come sappiamo, il Presidente del Consiglio non viene eletto dal popolo).
Il secondo è relativo a una questione di opportunità: preservare Gentiloni in vista del dopo elezioni. Non è tuttavia da escludere che Renzi utilizzi la carta dell'indicazione della candidatura negli ultimi giorni di campagna elettorale.
Nel complesso, queste elezioni saranno uno spartiacque per il Partito democratico. Metro di paragone sarà il risultato ottenuto dal Pd di Bersani alle Politiche del 2013. A tal proposito, si cita sempre il dato della Camera, in cui il Pd raggiunse il 25,43%. Ci si dimentica, però, di ricordare cosa accadde in Senato: qui i voti furono 8.646.034. E cioè il 27,44%.
Come abbiamo visto, le incognite sulle altre liste della coalizione sono tante. E potrebbero non mancare le sorprese, soprattuto sul fronte +Europa. Staremo a vedere.
Ci risentiamo nel weekend per l'ultima puntata di Verso Le Politiche 2018. Al suo interno ci sarà un'analisi esclusiva sull'andamento delle conversazioni online in vista del voto del 4 marzo.
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