di Patrick McCarthy
traduzione in italiano di Marco Forti
- PRIMA PARTE -
Dai tempi antichi, in quasi tutti gli ambiti di studio, l’uomo si è inevitabilmente sforzato di migliorare i propri standard di apprendimento ed i criteri per valutare accuratamente le proprie conoscenze ed abilità.
Il catalizzatore storico che ha spinto l’uomo a questo cambiamento risiede nella legge naturale di causa ed effetto; i cambiamenti sociali che si verificano nell’ambito di ogni generazione che vive un’evoluzione culturale ha spesso un impatto profondo sui metodi attraverso i quali la conoscenza viene impartita e conseguentemente valutata. È grazie alla comprensione di questo fenomeno che possiamo meglio afferrare come e perché si sono evoluti i metodi di insegnamento e di valutazione nell’arte del karate.
Una delle mie principali perplessità riguardo all’insegnamento odierno del karate-do riguarda la miriade di criteri inconsistenti attraverso i quali viene impartita la conoscenza e viene verificato il livello di abilità.
La presente analisi, non sono a conoscenza di altri studi in quest’area, ha rivelato che questa anomalia è collegata al primo sviluppo del karate-do nel Giappone degli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, alla mancanza di una direzione negli anni del dopoguerra ed al successivo sfruttamento commerciale. Se c’è una qualche verità nell’espressione secondo la quale «
il karate è afflitto dallo stesso problema che cerca di sradicare» allora una tale espressione deve descrivere il modo in cui l’arte veniva praticata da una generazione assorbita dal materialismo e dal totale disprezzo per l’autorità.
Indipendentemente da quanto frammentato e disorganizzato possa apparire il karate oggi, specialmente se confrontato con altre discipline combattive giapponesi, esso continua ad essere, nondimeno, una parte integrante di un qualcosa di più ampio: il
budo. Deve, per questo, essere riconosciuto come un microcosmo della cultura austera da cui proviene. Quale rappresentazione in miniatura di quella cultura, diventa necessario rendere più facilmente individuabile ciò che è giapponese, nello sforzo di meglio riconoscere come rituali antichi, ideologia sociale inflessibile e profonde convinzioni spirituali abbiano influenzato l’evoluzione del
budo in generale.
Tra le miriadi di pubblicazioni che ho visionato nel periodo in cui, in Giappone, stavo effettuando le mie analisi comparative tra oriente e occidente, ricordo in particolare tre libri che vorrei raccomandarvi. Il primo è una brillante pubblicazione di Edwin Reischauer, intitolata “
Storia del Giappone. Dalle origini ai giorni nostri”. Scritta da un ex ambasciatore statunitense in Giappone, professore pensionato alla Harvard University nonché una delle autorità per quanto riguarda storia e cultura del Paese del Sol Levante. La lettura del libro illuminante di Reischauer mi fece capire in modo molto chiaro in cosa la cultura della società giapponese non conflittuale contrastasse con quella occidentale. Il secondo libro è “
L’enigma della potenza giapponese” di Karel Van Wolferen del quale non potrei trovare parole a sufficienza per affermare quanto sia interessante. Nel descrivere i princìpi apparentemente illusori del “
wa” (letteralmente: pace, armonia), chiarisce risolutamente affermando che
wa non si riferisce ad un’armonia esistente, consumata, ma piuttosto all’esibizione ininterrotta di una disponibilità a sacrificare l’interesse personale a favore della tranquillità sociale. Il terzo è il noto “
Il crisantemo e la spada. Modelli di cultura giapponese” di Ruth Benedict. Probabilmente una delle più note antropologhe statunitensi di tutti i tempi, i suoi studi sul Giappone devono essere considerati lettura obbligatoria per tutti i praticanti del
budo giapponese. Per quanto ci siano miriadi di libri interessantissimi degni della vostra attenzione, vorrei raccomandarvi di leggere almeno queste tre pubblicazioni. Facendolo e studiando la storia, la cultura e la lingua giapponese, le barriere stereotipate che impediscono al karateka non giapponese di comprendere realmente l’arte scompaiono definitivamente.
Nel descrivere il fine ultimo del
karatedo,
Funakoshi Gichin scrisse: «
l’essenza dell’arte non si trova nella vittoria o nella sconfitta ma piuttosto nel perfezionamento del carattere». Tuttavia nella cultura occidentale queste parole sono difficili da comprendere, anche nei periodi migliori. A far risuonare la saggezza delle parole di
Funakoshi e del
budo in generale fu
Suzuki Daisetsu, il noto prelato
zen. Nella sua illuminante prelazione al libro del 1953 di Eugene Herrigel “
Lo zen e l’arte del tiro con l’arco”,
Suzuki riassunse il contrasto tra come il
budo viene studiato rispettivamente in Giappone e in occidente. Egli scrisse: «
una delle caratteristiche maggiormente significative dello studiare le arti marziali in Giappone consiste nel fatto che non sono concepite per finalità utilitaristiche ma piuttosto per allenare la mente e portarla infine in contatto con la realtà ultima». Tale allenamento, pertanto, sembra adattarsi alle circostanze sociali non conflittuali caratteristiche del Giappone in contrapposizione al modo con cui le arti del combattimento vengono studiate in occidente.
Il bisogno reale dell’uomo di difendersi risale all’avvento dell’umanità stessa, considerata l’animosità che ne caratterizza la natura. Incapace di vivere in armonia con la natura e con i suoi simili, i conflitti interiori hanno da sempre costituito la principale fonte dell’umana debolezza. La saggezza raggiunta attraverso indicibili confronti hanno permesso all’uomo di comprendere che se non fosse stato in grado di scoprire e superare la fonte delle proprie debolezze sarebbe rimasto spiritualmente superficiale e destinato a vivere una vita di dolore e sofferenza. Quando una sottocultura dell’uomo riuscì finalmente a produrre un corpo filosofico attraverso il quale governare il proprio comportamento morale ed abbracciare gli insegnamenti profondi ed introspettivi dei saggi, la vita dell’uomo cambiò. Così profondo fu il cambiamento da trasformare la sua vita facendola diventare il prodotto della sua arte marziale tanto quanto la sua arte marziale diventava il prodotto della sua vita.
Con un limitato punto di vista non è possibile comprendere ogni situazione nella sua interezza, per non parlare dell’enormità della vita. Il
budo insegna a trascendere le animosità e ad abbracciare lo splendore del momento. Se e quando appreso correttamente, il
budo insegna anche a realizzare l’importanza di vivere in armonia con la natura e con i nostri simili. Gli antichi ma profondi rituali ci insegnano aspetti importanti della vita in generale, gli ostacoli che ciascuno di noi di certo dovrà affrontare, come superarli e cosa aspettarci alla fine di tutto. Ciò premesso lo studio del passato ci aiuta a comprendere il presente ed il futuro. La storia si ripete sistematicamente e bisogna essere preparati alle sfide. Questa preparazione è particolarmente importante per affrontare e superare gli inevitabili fallimenti personali. Se non vogliamo ripetere gli errori della storia non abbiamo altra scelta se non quella di studiarne le lezioni ed applicarne i princìpi.
Nel
budo ci viene insegnato che non c’è nulla di sbagliato nello studiare i metodi altrui ma non si deve dimenticare la legge universale di causa ed effetto. Gli insegnanti migliori rispettano tutti gli allievi, li difendono conto la loro stessa influenza, forgiano le condizioni che conducono alla creatività ed impartiscono la conoscenza come se fosse una chiave magica per dischiudere i segreti che si trovano dietro quelle porte che solo gli allievi possono decidere di aprire. Create, migliorate e perpetuate solo da coloro che ne hanno percorso l’arduo percorso, alcune cose devono essere insegnate da un maestro, il
budo è una di quelle. È una tradizione che riassume risposte sistematizzate a scenari abituali di conflitto interno ed esterno e che non possono essere studiate indiscriminatamente. Tuttavia, proprio quando il
budo viene studiato sommariamente, cosa che accade molto spesso, le profonde tradizioni culturali sono ridotte a poco più che sport, sicuramente sfidante e gratificante, ma pur sempre solo sport. Affermare che se si è in grado di colpire bene con pugni e calci, proiettare qualcuno che pesi il doppio o colpire un bersaglio equivalga a conoscere il
budo sarebbe come sottintendere che leggere, scrivere e far di conto costituiscano apprendimento, o ancora che un coltello, un cucchiaio e una forchetta costituiscano la cena! Il noto matematico francese Jules Henri Poincaré ha riassunto efficacemente lo studio indiscriminato quando, nel 1905, scriveva: «
la scienza è basata sui fatti tanto quanto una casa è costruita con mattoni, ma una mera collezione di fatti non è scienza, così come un ammasso di mattoni non è una casa».
L’ignoranza è la madre dell’imprudenza. L’autoelogio, l’arroganza ed il bisogno di criticare gli altri sono questioni legate all’ego e sono sempre state considerate strumenti degli impostori che intendono farci credere il contrario di quel che è. Il ramo che sopporta il maggior peso è sempre il più basso ed il vero
budoka si comporta sempre in modo modesto. La maestria ha poco a che fare con l’età, il sesso, la religione, la nazionalità e persino il lignaggio delle proprie istituzioni, per quel che conta. Ha, invece, a che fare totalmente con la conoscenza, l’abilità e la maturità. La conoscenza precede le abilità reali e l’esperienza fornisce le fondamenta su cui si sviluppa la saggezza.
Tokugawa Ieyasu, il più potente
shogun (generalissimo) del Giappone feudale, disse: «
il fagiano si riconosce dalle sue piume, la tigre dai suoi artigli, il guerriero dal suo carattere».
Gli standard comuni di graduazione usati nel
budo sono basati sulla comprensione e sulle prestazioni, vale a dire sull’acquisizione di conoscenza e sulla dimostrazione di abilità. Per quanto i valori ed i princìpi del
budo restino immutati, lo stesso non si può dire delle personalità di coloro che hanno il compito di impartirne gli insegnamenti.
Sia che si tratti dei calci e dei pugni del
karate, delle proiezioni e delle tecniche di corpo a corpo del
judo, delle infinite azioni sferiche dell’
aikido, delle parate e dei potenti colpi di baionetta del
jukendo, della ferocia delle spade in bambù del
kendo, del maneggio dell’alabarda del
naginatado, dei lampi del freddo acciaio dello
iaido, della ripetitività dei rituali collegati al lancio di una freccia del
kyudo, si tratta comunque di strumenti fondamentali con cui garantire una vita sana, promuovere il benessere fisico, migliorare il carattere e l’autostima e forgiare uno spirito indomito, elementi costitutivi di una vita densa di significato.
Il
budo è una disciplina moderna costruita su antichi rituali, su un’ideologia sociale inflessibile e su una profonda convinzione spirituale.
A tal fine non ci possono essere compromessi, nessuna scorciatoia e, soprattutto, non è necessario reinventare la ruota. Tutto ciò che serve è riconoscere che le leggi universali non possono essere modificate, ma devono essere rispettate per poterne ricavare benefici. Ci sono tanti tipi di
budo quanti sono i sentieri che portano sulla cima di una montagna; ma così come esiste un’unica luna che può essere ammirata da coloro che ne raggiungono la vetta, così anche nel
budo, per coloro che raggiungono la maestria, esiste un unico messaggio da apprendere. Il
budo ci aiuta a capire che la fonte della debolezza umana è interna, non esterna. Quindi, il viaggio deve essere interiore, non esteriore. È lì che si trova il vero nemico, ed è quello il primo luogo in cui tutte le battaglie devono essere combattute e vinte.
- FINE PRIMA PARTE -
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