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CO-WORKING DA LONTANO


Come cambiano gli spazi in città - pt.1

 

Non è possibile scrivere su Milano senza parlare di lavoro. La città della Madonnina è sempre stata identificata come il cuore imprenditoriale del paese. Se nel secondo dopo-guerra la Pirelli e la Falck la facevano da padrone, negli anni ’80 è scoppiata la mania di Piazza Affari. Come ogni epoca, anche quella attuale ha un simbolo identificativo. Milano si è trovata a riadattarsi e reinventarsi negli ultimi anni e gli spazi di co-working hanno invaso la città con scrivanie condivise, corsi per start-up e una nuova idea di lavoro. Nella frenesia di stare al passo con le atre capitali europee e mondiali, anche nel capoluogo lombardo le società di co-working si sono moltiplicate in maniera esponenziale, un’aggregazione di persone e idee che ha permesso di creare legami lavorativi stretti. Però, la vicinanza tra “compagni di scrivania” è stata messa a dura prova dal coronavirus. In un momento in cui tutti gli spazi di co-working sono chiusi, i principali fornitori di questo servizio si stanno preparando per la riapertura a maggio e per sopravvivere alla crisi economica che investirà la società dopo la fase più dura del Covid-19.

Il co-working non è però nato nella Pianura Padana. L’idea iniziò a circolare tra i giovani della West Coast statunitense all’inizio del nuovo millennio. L’esigenza di uno spazio lavorativo e quella di diventare sempre più digital nomad non andavano d’accordo, almeno per quanto riguarda la concezione classica di lavoro. Così, i primi esempi di condivisione – fisica e delle conoscenze – iniziarono a essere sperimentati a San Francisco. È stato necessario aspettare fino al 2008 per vedere i primi esempi di co-working in Italia. Da lì, il nuovo concetto di spazio di lavoro è esploso nelle maggiori città italiane, Milano e Roma in testa. Solo nella città della Madonnina gli spazi di co-working nati tra il 2008 e 2017 sono stati più di 90, e messi insieme hanno raggiunto una superficie di circa 60mila metri quadrati. Oltre agli spazi nati negli ultimi anni, le nuove modalità lavorative introdotte dalle multinazionali – tra queste lo smart working, modalità già in auge prima del coronavirus e resa “famosa” da quest’ultimo – hanno incentivato la creazione di nuovi spazi e, soprattutto, di nuovi servizi. Proprio la condivisione di servizi, e non solamente l’affitto di una scrivania, sono stati alla base del boom dei co-working. Di pari passo con l’espansione capillare di questa concezione dello spazio lavorativo, tanti giovani studenti e freelance hanno invaso i locali di Milano con computer e tablet, facendo storcere il naso a tanti ristoratori. “Molte persone si fermano durante il giorno per lavorare nel nostro locale – spiega Roberto Marone, uno dei soci di Sarpi Otto a Chinatown – abbiamo dovuto limitare la disponibilità, altrimenti questa tipologia sarebbe stata il 100% della nostra clientela.” Con l’espansione degli spazi di co-working, in tanti sono stati ispirati dalle modalità di lavoro lontani da casa e ufficio, talvolta evitando di pagare abbonamenti e tasse di iscrizione a uno spazio di lavoro condiviso e preferendo usufruire dei locali meneghini. “Io capisco benissimo l’esigenza di tante persone – aggiunge Marone, mentre spiega fasce orarie e modalità secondo le quali è possibile lavorare da Sarpi Otto – però questa pratica rischia di diventare un danno economico mostruoso per ristoranti e bar.”
L'ingresso di Sarpi Otto a Milano 
Quando è stata indetta la quarantena obbligatoria a Milano e in tutta la Lombardia, il settore del co-working ha chiuso i battenti dei suoi spazi di lavoro. Le scrivanie sono rimaste vuote, gli eventi rimandati a data da destinarsi e i gestori hanno iniziato a pensare a come rilanciare il settore una volta che la pandemia sarà finita. Tra le problematiche più diffuse, c'è quello di districarsi tra ordinanze e normative. “Da quando è esploso il problema del coronavirus abbiamo ricevuto diverse direttive sia regionali sia nazionali – racconta Luca Diodà, amministratore e co-fondatore di YoRoom a Milano – e il più delle volte queste indicazioni si confondevano e contraddicevano tra loro.” YoRoom ha chiuso i battenti nei primi giorni di marzo per mettere in sicurezza clienti e dipendenti e, nel periodo di quarantena forzata, i soci dello spazio di co-working hanno iniziato a pensare a cosa dovrà cambiare dopo che in Italia inizierà ufficialmente la Fase 2. “Lo spazio probabilmente dovrà cercare di adattarsi dove possibile – aggiunge Diodà – chiaramente non potremo spostare i muri per allargarci, ma diminuiremo la capienza.” Prima che Covid-19 colpisse l’Italia, dagli spazi di YoRoom a Isola passavano migliaia di persone ogni mese. Lo spazio di co-working ad oggi conta circa 150 clienti fissi tra uffici privati e postazioni condivise. A questo, si aggiungono due sale eventi con una capienza totale di oltre 100 persone. Come sottolineato da uno dei fondatori di YoRoom, “gli eventi occupavano i nostri spazi dedicati per circa 4 giorni su 7 ogni settimana, ora non sappiamo nemmeno quando le persone potranno tornare ad incontrarsi per conferenze e incontri.” Nei piani di YoRoom, gli spazi eventi verranno possibilmente dedicati ai clienti fissi per permettere a tutti di tornare alla normalità. Come questa realtà imprenditoriale, anche tante altre società milanesi sono al lavoro per adattare i propri spazi al periodo post-virus e rendere il co-working sempre più un servizio fruibile a 360 gradi.
Gli spazi di lavoro condivisi di YoRoom a Isola 
L’impatto di Covid-19 su tutte le attività commerciali ha spinto a riadattarsi in versione digitale. Sono stati tanti gli spazi che hanno organizzato eventi virtuali per continuare a interagire con i propri clienti anche lontani dalle scrivanie. In un fiorire di riunioni su Zoom e una scelta quasi illimitata di corsi online, anche le società di co-working hanno colto la sfida. Sul web si sono susseguiti eventi per sostenere e ampliare i processi di digitalizzazione, incontri per scoprire come sfruttare al meglio i servizi web e anche tanti momenti in cui discutere di quale sarà il futuro della propria attività. Sull’argomento, Luca Diodà è stato titubante, sottolineando la vera potenzialità degli spazi di lavoro condiviso. “Già molti co-working fanno corsi online e offrono servizi digitali – spiega il fondatore di YoRoom – però faccio fatica a capire come queste modalità possano implementare i servizi che noi offriamo, il vero valore aggiunto degli spazi di co-working è costituito dalla socialità che si crea tra i vari clienti e dalle relazioni che si sviluppano sia in campo lavorativo sia personale.” Proprio su questo aspetto, bisognerà combattere la battaglia più grande dopo il coronavirus. L’equilibrio tra spazi aperti al pubblico e socialità dovrà essere bilanciato con la sicurezza sanitaria. Però, detto alla milanese, prima o poi ci "romperemo le balle" anche di Zoom e, quando potremo, torneremo a frequentare i luoghi di lavoro.

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