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Avete ragione, vi abbiamo fatto aspettare molto più del previsto. Eccoci (finalmente) col secondo appuntamento di Starcrash in cui prosegue la nostra riflessione sugli scopi e sul senso di fare una newsletter che tratti di scienza e fantascienza. Prima però, il nostro ricordo di Giulio Giorello.

Il metodo anarchico

Giorello, la scienza e la verità

Giulio Giorello ci ha lasciati pochi giorni fa, a 75 anni, probabilmente per i postumi della COVID 19. Molti lo hanno ricordato, molti altri ne conoscevano a malapena il nome, come può succedere a quanti sviluppino un ruolo anche centrale in un'area che però sfugge all'attenzione dei media e di parte dell'opinione pubblica.

Al di là di ricordarlo come maestro o compagno di viaggio (Giorello è intervenuto una mezza dozzina di volte negli ultimi anni in iniziative dell'Arci, dell'UAAR e dell’associazione “Storie di Scienza”, legata al comitato provinciale di Arci Varese), vale la pena spiegare per pillole chi fosse e perché fosse importante e anche amato da molti.

Classe 1945, laureato in filosofia e in matematica, aveva iniziato la sua carriera accademica come assistente di Ludovico Geymonat, l'unico pensatore italiano ad aver giocato un ruolo nel dibattito epistemologico internazionale nel '900. Geymonat, marxista, lanciò un ambizioso tentativo di conciliare la filosofia falsificazionista popperiana con l'elaborazione neo-marxista della scuola di Francoforte; il tentativo restò incompiuto ma proprio il fallimento di quel progetto contribuì a rilanciare fortemente il dibattito italiano e internazionale sul valore di verità della scienza, sul metodo e sulla certezza della conoscenza.

Giorello subentrò a Geymonat nella cattedra che il primo aveva indicato all'attenzione internazionale e fece esattamente ciò che i falsificazionisti predicano ma spesso evitano di fare: prese atto che la strada intrapresa dal predecessore era chiusa, trasse il massimo insegnamento da quel percorso e lo indirizzò verso nuovi obiettivi: il valore euristico dell'errore, la capacità cioè di imparare dagli sbagli, ma anche la loro inevitabilità. Nel pensiero di Giorello, fin da subito, la ricerca della verità appare come un obiettivo irrealistico e non interessante, il fuoco si sposta sulla ricerca di terreni comuni, di informazioni utili al progresso della ricerca, la filosofia della scienza diventa uno strumento pratico, efficace e preciso per accompagnare, guidare e favorire il progresso delle scienze.

Avvicinatosi alle teorizzazioni di Imre Lakatos e, in forma più critica, di Paul Feyerabend, Giorello divenne così il “Bertrand Russell italiano”, non solo per la sua idea pratica, concreta e finalizzata della filosofia, ma anche per le conseguenze che da essa discendevano: l'accettazione dell'errore comporta la difesa di chi lo commette, conducendo così a una rafforzata teoria della tolleranza, di cui si sforzò di cercare le origini storiche, individuandola come uno degli elementi peculiari della storia del pensiero europeo dalla Riforma protestante in avanti. In particolare, negli ultimi anni fu molto attivo nella difesa dei diritti, della laicità delle istituzioni, del pluralismo e del relativismo culturale, temi affrontati nelle sue opere più divulgative e spesso spiegati con umorismo.

Quando, parlando di Feyerabend in un circolo anarchico, gli venne chiesto se secondo lui quest'ultimo non fosse dunque un “anarchico ortodosso”, Giorello rispose: “dunque vogliamo discutere di ortodossia nell'anarchismo? Benissimo, a me indicate pure dove si va a prendere da bere e continuate voi”. (ms)

Scienza, democrazia e divulgazione

Prima parte

Come scrivevamo in apertura, proviamo ad esplorare le ragioni che ci hanno portato a creare questa newsletter. Per farlo occorre riprendere alcuni passaggi per noi significativi di quello che abbiamo definito come manifesto di questo progetto:

Pensiamo che la fantascienza vada difesa proprio da chi vuole relegarla ad un ruolo di rumore di fondo nella cultura contemporanea, cercheremo di capire quanta fantascienza c’è nel passato, nel presente, ma soprattutto nel futuro della scienza.

Siamo per una new wave culturale fantascientifica che riconosca e nobiliti il suo ruolo centrale nello sviluppo e formazione del pensiero scientifico grazie alla sua spinta verso l’ignoto dei confini del pensabile. Vogliamo recuperare la sua spinta verso la modernità del pensiero scientifico e della cultura.

Serve una scienza esponenzialmente nuova che esca dalla trappola delle risposte lineari.

Per fare ciò dobbiamo abbracciare la complessità ed avere un approccio a livello di ecosistema, ma soprattutto abbiamo bisogno di essere visionari

Per noi la fantascienza non è solo un semplice passatempo, ma un potente strumento con cui ripensare l’esistente, immaginandoci mondi diversi e alternativi; uno strumento per pensare a un futuro differente da quello che molti danno per scontato. 

E per fare questo abbiamo bisogno della scienza: per capire la complessità della nostra realtà e districarci al suo interno.

È ovvio, perciò, che Starcrash non parli solo di fantascienza ma anche, soprattutto, di scienza. Insomma, ci troviamo nell’ardua posizione di fare della divulgazione scientifica, direttamente o indirettamente.

E questo impegno non è affatto banale. Oggi, tanti si improvvisano divulgatori e nel marasma del web è possibile trovare tutto e il contrario di tutto. Come essere sicuri che certe informazioni siano attendibili? Sappiamo se le fonti sono state validate? Come interpretare i dati?

Fare divulgazione scientifica richiede di assumersi delle responsabilità rilevanti a causa delle sue ricadute etiche, sociali e politiche (soprattutto in democrazia - su questo ritorneremo più avanti). La divulgazione, per il suo fondamentale ruolo informativo, è un impegno di cui ci si deve far carico senza sottovalutarlo. Ma quali sono questi aspetti etici, sociali e politici?

Divulgare la scienza significa comunicarla, rendendola accessibile a chi non è esperto, ma cercando, allo stesso tempo, di non snaturarla o deformarla. 

È fondamentale fare una buona comunicazione, presentando i dati nel modo corretto, controllando sempre le fonti e ciò che si comunica. Da qui ricaviamo la prima implicazione etica della divulgazione scientifica: il divulgatore si impegna a fare quella che potremmo chiamare una divulgazione onesta.

Questa espressione va intesa nel senso che le informazioni che vengono divulgate devono essere di “prima mano” (cioè è lo specialista stesso di un certo campo che divulga il contenuto delle sue ricerche) o, al massimo, di “seconda mano” (in questo caso il divulgatore – che può essere sempre uno scienziato, oppure anche un giornalista scientifico – legge, comprende e divulga le ricerche di qualcun altro).

Solo in questo modo si può essere sufficientemente sicuri che le informazioni siano attendibili, che vi sia stata validazione delle fonti e che – da non sottovalutare – l’argomento, e quindi i dati, siano stati capiti e possano venir presentati nel modo corretto.

Esiste poi una “divulgazione” (le virgolette sono d’obbligo in questo caso) basata su informazioni di “terza mano”, se non addirittura di “quarta”. In questo caso i divulgatori riciclano informazioni, dati o, peggio, interpretazioni teoriche, leggendo altri articoli divulgativi e mettendo insieme alla bell’e meglio le diverse notizie. Queste forme di divulgazione raramente hanno alla loro base un controllo delle fonti e praticamente mai si basano sugli articoli scientifici originari.

Purtroppo, la divulgazione di “terza o quarta mano” non è diffusa solo su siti di complottisti, ma anche sulle grandi testate giornalistiche nazionali. La divulgazione scadente e imprecisa andrebbe boicottata o denunciata pubblicamente, a causa del danno sociale che genera.

Per approfondire la questione, un consiglio di lettura sul blog che tutti gli appassionati di paleontologia e dinosauri dovrebbero conoscere.

Un ornitorinco sa mettere a dura prova le strutture concettuali troppo rigide.

Il problema della divulgazione onesta, tuttavia, ha radice più profonde e affonda direttamente nella pratica scientifica. Infatti, anche fare scienza ha le sue implicazioni etiche e il problema della scienza onesta è sempre dietro l’angolo.

Orrore! Abbiamo appena detto che l’attività scientifica ha implicazioni etiche? Stiamo mescolando il piano teoretico con quello etico? Stiamo forse dicendo che la responsabilità delle bombe atomiche su Nagasaki ed Hiroshima ricada sugli inventori della meccanica quantistica?!?

Fermi tutti, facciamo un passo indietro. 

L’attività quotidiana dello scienziato (lì nel laboratorio a cercare cose – proteine, particelle subatomiche, stelle – o dietro a uno schermo a fare conti) è un lavoro come tanti altri: come  il panettiere impasta e sforna il pane, così lo scienziato si pone domande sui fenomeni della realtà e cerca risposte tramite esperimenti ed osservazioni.

Chiaramente, alcune scoperte scientifiche hanno un impatto sociale molto più marcato di altre (ad esempio, la scoperta dell’energia atomica), tuttavia non si può incolpare uno scienziato di come queste vengano utilizzate dalla società (c’è chi massacra i propri simili a martellate in testa, ciò rende forse l’invenzione del martello un’invenzione funesta?). Senza dimenticarci, comunque, che gli scienziati, in quanto individui e in quanto cittadini, possono sempre manifestare il proprio disaccordo verso determinati usi delle loro scoperte.

Quindi, se veramente volessimo attribuire la colpa dell’invenzione della bomba atomica agli ideatori della meccanica quantistica, tanto varrebbe risalire direttamente alle origini e dare la colpa a Leucippo e al suo allievo Democrito e alla loro benedetta invenzione del concetto di “atomo”, laggiù nel lontano secolo quinto prima di Cristo.

Ma ovviamente questo è assurdo.

Perciò, quando parliamo di “implicazioni etiche della scienza” intendiamo altro. Anche il lavoro del panettiere ha questo tipo di implicazioni etiche: il panettiere si impegna ogni giorno a sfornare del buon pane, cioè del pane che soddisfa precise norme igieniche, alimentari, di salute e che le persone possono acquistare con la ragionevole sicurezza di non contrarre malattie o avere un qualunque altro problema (come ingerire una scheggia di vetro).

Allo stesso modo lo scienziato, quando entra nel laboratorio o quando si siede dietro a un computer, si impegna (consapevolmente o inconsapevolmente) a fare della buona ricerca scientifica. Si impegna cioè a seguire determinati protocolli di ricerca, testando e ritestando i propri risultati; a validare le proprie fonti; a non manipolare i dati e gli esiti delle proprie ricerche, presentandoli nel modo più trasparente possibile, e consentendo ai suoi colleghi di vagliare e, nel caso, sottoporre a critica le sue conclusioni. Tali aspetti formano quella che abbiamo chiamato scienza onesta.

È su questi elementi che si fonda la ricerca, soprattutto sulla condivisione dei risultati, perché la scienza è un’opera collettiva a cui partecipa l’intera comunità scientifica. La scienza non può essere fatta da individui chiusi nella propria torre d’avorio.

La scienza onesta, quindi:

  1. è basata sulle osservazioni sperimentali, non di un singolo individuo, ma dell’intera comunità di scienziati che operano in un dato campo;
  2. deve essere aperta al giudizio intersoggettivo e alla discussione pubblica dei risultati. Il momento critico è necessario per l’avanzamento della conoscenza scientifica, in quanto «di fronte a un determinato problema, lo scienziato propone, a titolo di prova un qualche tipo di soluzione – una teoria. Questa, in ogni caso, viene accettata dalla scienza solo provvisoriamente; ed è peculiare del metodo scientifico il fatto che gli scienziati non risparmieranno fatiche per criticare e controllare la teoria in questione» [1]. Così «le osservazioni e gli esperimenti reiterati fungono, nella scienza, da controlli delle nostre congetture od ipotesi» [2]; controlli in cui è coinvolta, come detto, la comunità scientifica tutta.

Insomma, in un senso molto preciso, la ricerca scientifica è, in generale, una delle più alte forme di democrazia applicata: chiunque – idealmente – può commentare e sottoporre a critica i risultati altrui, se lo fa usando argomentazioni robuste (logiche o fattuali).

Tuttavia, accade raramente che le osservazioni e gli esperimenti vengano ripetuti più volte da differenti ricercatori, infatti «per ragioni di costi, di mancanza di tempo e così via, l’osservazione o l’esperimento sarà eseguito solo da pochi rappresentanti della giuria scientifica, e tutti gli altri dovranno fidarsi del resoconto degli osservatori e sperimentatori ‘attivi’» [3].

Questo fatto, in ogni caso, non preclude la possibilità che tali osservazioni vengano, almeno potenzialmente, ripetute o che le conclusioni siano messe in discussione, come effettivamente qualche volta accade.

Purtroppo, però, nella realtà della pratica scientifica corrente spesso capita di osservare o di sentire raccontare di modalità, consuetudini o strutture di potere che distorcono o, peggio, nullificano, l’aspetto democratico della ricerca scientifica.

Alcuni esempi di ciò sono

  1. il meccanismo incancrenito della pubblicazione su riviste attraverso peer review (revisione dei pari) che, frequentemente, invece che scremare e aumentare la qualità degli articoli pubblicati, tende a ritardare lo scambio di informazioni tra ricercatori o, peggio ancora, non riesce a filtrare studi che si dimostrano in seguito errati o fraudolenti;
  2. l’applicazione perversa delle logiche di mercato alla ricerca che spinge i ricercatori a impazzire (letteralmente) per aumentare la propria produttività, pubblicando articoli ad un ritmo serrato (spesso con risultati approssimativi o di nessuna rilevanza) per avere più visibilità, tutto a causa di un’idea distorta di merito e meritocrazia;
  3. le lobby di potere, come centri di ricerca, università o semplicemente singoli scienziati, che possono vantare un accesso facilitato o privilegiato alle riviste più prestigiose e con visibilità più alta.

A questi esempi si possono aggiungere tutte le ben note storture e idiosincrasie del mondo accademico.

Per chi fosse interessato ad approfondire la questione, concludiamo questa prima parte della nostra riflessione con due segnalazioni molto interessanti.

La prima mostra come proprio questo periodo di eccezionalità che stiamo vivendo stia scardinando molte delle “cattive” pratiche consolidatesi nel mondo della ricerca. Il coronavirus sembra spingere i ricercatori verso una scienza più aperta, più collaborativa, più critica. Insomma, una scienza più onesta e democratica.

La seconda, invece, illustra gli effetti collaterali di quei meccanismi distorti, figli della società del consumo e del capitalismo sfrenato, che affliggono il mondo dell’accademia e quello della ricerca. (ejf)

La riflessione prosegue nel prossimo episodio, nelle vostre caselle mail tra circa una settimana. Non ci saranno ritardi, promesso.

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Animal style by Demdike Stare
IN QUESTO EPISODIO DI STARCRASH ABBIAMO CITATO:

[1] K. Popper, What is Dialectic? (1940), ed. italiana “Che cos’è la dialettica?” in Congetture e Confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica traduzione di Giuliano Pancaldi, il Mulino, Bologna, 1972, pag. 532.

[2] K. Popper, Philosophy of Science: a Personal Report (1957), ed. italiana “La scienza: congetture e confutazioni” in Congetture e Confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica traduzione di Giuliano Pancaldi, il Mulino, Bologna, 1972, pag. 96.

[3] D. Gillies, G. Giorello, Philosophy of Science in the Twentieth Century. Four Central Themes (1993), traduzione italiana La filosofia della scienza nel XX secolo a cura di Matteo Motterlini, Laterza, Bari-Roma, 2018 (5° ediz.), pag. 157.
Redazione interplanetarista: Guglielmo Albanese, Emanuele J. Fontana, Simone Grillo.
Il contributo su Giulio Giorello è stato scritto da Mauro Sabbadini, Presidente di Arci Varese.
Illustrazioni di Thelma Scott. Vuoi collaborare? Scrivici a starcrash@circologagarin.it
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