Una serata al bancone del bar
Dalla Milano da bere alle miscelazioni futuriste
“Ciao, mi fai un gin tonic e un Negroni?” potrebbe essere la frase più utilizzata a Milano, quantomeno nelle notti di divertimento e balera del venerdì sera. Dalla "Milano da bere" degli anni '80 agli innumerevoli locali che hanno aperto lungo i Navigli negli ultimi anni, il capoluogo meneghino è sempre stato la capitale di apertivi e cocktail bar. Nel corso degli ultimi anni, locali storici e a conduzione famigliare hanno spesso faticato a tenere il passo della concorrenza, mentre nuovi bar hanno aperto bottega offrendo non più una bevuta, ma un’esperienza a 360 gradi, puntando su partecipazione ed estetica, oltre al gusto della loro proposta.
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Il Ginrosa in Galleria San Babila.
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Percorrere via Plinio a Milano in una serata tra settimana è paragonabile a un piccolo viaggio nella storia. Se non fosse per i telefoni che vibrano costantemente in tasca, la differenza con un mercoledì sera del 1989 non sarebbe poi molta. In lontananza le vetrine poco illuminate del Bar Basso, storico locale milanese che ha dato i natali al Negroni sbagliato, mentre a pochi passi di distanza le luci blu elettrico del Bar Doria, luogo da cui sono passati molti volti noti degli anni ’70 e ’80. L’insegna del Doria è rimasta tale, ma l’atmosfera che vive al suo interno non è più quella delle serate con Loredana Bertè e Renato Zero nelle notti di quasi quattro decadi fa. Il Bar Doria ha aperto i battenti nel lontano 1961 e dal 1971 è sempre stato gestito dalla famiglia Bulbarella. Prima con il “Cavaliere” Nereo Bulbarella, in abito e guanti bianchi dietro al bancone a servire e inventare cocktail come la “Bomba Fragola”, ora con il figlio Maurizio e la signora Tamara, moglie dello storico gestore del bar, ancora a fare la spola tra bancone e cassa. Il Bar Doria è stato un dei centri nevralgici della Milano da bere, un'icona delle serate di molti “figli di papà” negli anni '80 e, ancora prima, un locale che ha visto e vissuto proteste studentesche e attentanti politici, oltre che servito da bere ai protagonisti della mala milanese.
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Tamara Bulbarella alla cassa del bar Doria.
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“Siamo qua da quando io avevo sette anni – racconta Maurizio Bulbarella, gestore attuale del Bar Doria, mentre prepara il cocktail rosa che ha fatto la storia del bar – la Milano da bere era tutta qua, tra noi e il Bar Basso”. Parole in cui la nota malinconica risulta molto marcata, specialmente quando bisogna fare un confronto con l’attuale nightlife milanese. “Fino a tre anni fa non avevamo bisogno di organizzare eventi perché la gente veniva indipendentemente – spiega Bulbarella – poi di punto in bianco ci siamo trovati con il locale vuoto al venerdì sera e allora abbiamo iniziato a farci delle domande”. L’aumento di offerta di locali sulla piazza milanese e il cambiamento progressivo di abitudini dei consumatori ha fatto in modo che il Bar Doria cominciasse un cambio di rotta e di proposte. “Un giorno sono arrivate tre ragazze per un aperitivo e mi hanno chiesto se fosse possibile festeggiare il compleanno con un deejay amico loro – spiega il gestore del Doria – così abbiamo iniziato a creare weekend differenti, con feste e deejay, ed ora abbiamo circa tre eventi grossi ogni mese”. La nuova direzione presa da Muarizio Bulbarella ha permesso allo storico locale milanese di poter continuare a competere con i bar novizi sulla scena. Ad aggiungersi vi sono stati negli anni anche i cambiamenti di abitudini dei ragazzi milanesi. “Oggi un giovane esce il venerdì e il sabato sera perché deve sballarsi – racconta Tamara Bulbarella – mentre una volta usciva dal lunedì alla domenica, bevendo un cocktail ogni sera, difficilmente due”. Appena varcata la soglia del locale si avverte però, ancora oggi, di stare mettendo piede in un pezzo di storia di Milano. Al bancone ci sarà sempre qualcuno che sta sorseggiando un Negroni o un Bomba Fragola, il drink più rappresentativo del Doria e molto anni '80, essendo a base di fragola, vodka ed un ingrediente segreto. Entrambi i popolari drink sono ancora serviti nei tipici bicchieroni alti una ventina di centimentri e riempiti con grandi cubetti di ghiaccio.
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In ordine Maurizio, Tamara e Nereo "il Cavaliere" Bulbarella.
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Il Bar Doria non è l’unico ad aver visto la storia passare dalle sue porte e dalle coppe martini dei suoi cocktail. Nella centralissima piazza San Babila, il Ginrosa è stato un punto di riferimento per l’aperitivo dei milanesi a partire dal 1885. Dopo aver cambiato locali, dall’angolo di piazza San Babila alle vetrine in Galleria San Babila, la famiglia De Luca ha rilevato l’attività del Ginrosa nel 2000. Il bar nel centro di Milano è stato reso famoso dopo l’invenzione di un liquore apposito per aperitivi che ha preso il nome dal colore pastello derivato dalla miscelazione di gin e aromi. Il Ginrosa nacque a fine ‘800 dall’idea di Annunciata Bournè per sfidare la concorrenza di Campari e creare una bevanda con una “sensibilità tutta femminile”. Il liquore diede poi il nome anche al bar dove fu ideato e sperimentato, per poi diventare l’aperitivo per eccellenza dei milanesi. Come per il Bar Doria, anche il locale in piazza San Babila ha vissuto momenti di cambiamento e adattamento. “Negli ultimi anni si è venuta a creare un po’ di confusione – spiega Francesco De Luca, titolare del Ginrosa – prima l’aperitivo era un momento di conversazione e amicizia, ora è diventato una moda”. Sebbene la posizione strategica del bar e un'affezione molto forte della clientela abbiano facilitato la crescita del Ginrosa, anche la professione si è dovuta adattare alle modalità di fruizione degli ultimi tempi. “Il mestiere negli anni è cambiato molto e la professionalità è iniziata a venire a mancare – aggiunge De Luca – questo è un lavoro di sacrificio e in cui devi appassionarti al rito dell’aperitivo”. Mentre la passione del titolare e di sua moglie trasuda dalla loro presenza costante all’interno del locale, modalità di comunicazione e nuove strategie di marketing hanno posto sfide al lavoro dei bar milanesi. “È difficile cambiare, però penso che in futuro ci saranno modifiche inevitabili – conclude De Luca – ma sicuramente il Ginrosa rimarrà il bar dei milanesi e il locale per eccellenza di San Babila”.
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Francesco De Luca, Titolare del Ginrosa.
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Una rappresentazione storica di piazza San Babila in cui si vedono i vecchi locali del Ginrosa allora chiamato "Donini".
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Mentre i locali della Milano da bere sono stati nodi nevralgici della storia milanese, c’è anche chi ha iniziato a scrivere un capitolo nuovo del bere in formato meneghino. Il Surfer’s Den è nato nel 2009 dall’idea di Yuri Gelmini e Irene Bottura nel cortile del centro sportivo in piazza Caduti del Lavoro. Basta citofonare e varcare un cancello massiccio di quelli di una volta per entrare in una piccola oasi in cui sembra di uscire dalla città per essere catapultati al bancone di un bar londinese. L’idea di creare un’esperienza più che un semplice bar è venuta ai due titolari nel momento in cui si sono trovati di fronte ai locali dell’attuale Surfer’s Den. “Quando siamo arrivati in questo posto vi era una lunga striscia di erba sintetica, le sedie rosse dell’Algida e un piccolo bar con la friggitrice – racconta Yuri Gelmini, mentre musica ambient e luci soffuse creano un’atmosfera molto rilassante – ci voleva una visione davvero delicata e gentile come quella di Irene per rendere il posto di prima quello che è ora”. La coppia alla guida del Surfer’s Den ha iniziato a costruire il locale partendo dalla rivalutazione del giardino esterno tramite un lavoro fatto in prima persona, “per non farli sentire ospiti a casa loro”.
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Irene Bottura al Surfer's Den.
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E proprio dal mondo vegetale, i due barman hanno preso ispirazione per creare i menù del locale. “Il menù è un anello di congiunzione tra due diverse aree di cui noi siamo molto appassionati ossia giardinaggio e il mondo dei cocktail– racconta Irene Bottura – sulla lista sono proprio le piante che, da protagoniste, raccontano la vita vegetale e creano cocktail”. Mentre i menù di questa stagione sfilano sui tavolini del Surfer’s Den, l’esperienza che si cela tra le pagine di opuscoli a forma di specchio ha reso il locale un perla rara tra le migliaia di bar che affollano i vicini navigli. “Ogni persona può prendere il menù e scegliere il cocktail che vuole bere, ma una cosa per cui siamo ormai conosciuti è l’interattività nella scelta del drink – aggiunge Gelmini – quando arriviamo al tavolo, i clienti possono giocare con noi e tramite alcune domande arriveranno alla scelta di cosa vorranno bere”. Questa modalità di servizio ha spesso aiutato i gestori del locale ad allontanare gli avventori da telefoni e situazioni in cui gli occhi sono fissati solamente sui social network piuttosto che sulle persone sedute al tavolo. Inoltre, l’interattività dei menù ha permesso ai due barman di compilare un elenco di gusti e sapori per poi creare il prossimo menù, che il locale cambia ogni sei mesi, sia per usare prodotti di stagione che per lavorare di creatività, spesso perseguendo un tema particolare. Il risultato sono drink più elaborati di quelli che si trovano nel bar medio, ma pur essendo ricchi di ingredienti dal sapore deciso e di molti contrasti, riescono a risultare perfettamente equilibrati. Solo per fare due esempi, ora sul menù si trova il drink "Rabarbaro", con tequila bianco, rabarbaro, passion fruit, nocciole tostate, soda e alloro, o il "LItchi", con London dry gin, liquore al fico, succo di litchi, lime e spicy ginger beer.
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Irene Bottura e Yuri Gelmini al bancone del Surfer's Den.
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Oltre a questa particolarità, il Surfer’s Den brulica di piccoli dettagli che lo hanno reso un luogo estremamente intimo per i due gestori. Quadri, specchi, sedute e oggettistica sono stati selezionati in base al loro significato più che per la loro valenza estetica. Così anche i sapori e gli ingredienti dei cocktail hanno permesso alla coppia di bartender di sviluppare sempre preparazioni con un significato specifico. Dallo zucchero filato che ricorda le giornate alle giostre in infanzia fino alle bucce di mela abbrustolite per rimandare agli odori dei camini di campagna, i prodotti di questo locale stanno lasciando un segno nel panorama dei cocktail milanesi e hanno tracciato il sentiero per il futuro di questa professione. Tra le miscelazioni futuriste di Yuri e Irene c'è l'Ape Vigorosa, forse il cocktail che ha riscosso il maggior successo negli anni e il più rappresentativo della volontà di stupire il cliente. Da un lato il protagonista del drink è la grappa, che da liquore "povero" da buttare in tavola a fine pasto diventa il fulcro di un elaborato cocktail, e dall'altro chi lo beve conclude l'esperienza mangiando un cubetto di miele racchiuso ancora nella cera originaria tessuta dalle api, che è immerso nel drink durante la preparazione. La Milano da bere non ci sarà più, ma posti in cui sedersi al bancone e fare un salto nel passato o nel futuro fortunatamente sì.
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