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Milano libera dall'Italia

Il percorso per diventare Città Stato


Parlare di autonomia nel nord Italia mette sempre un po' di paura. Risulta facile che i ricordi della vecchia Lega Nord ritornino alla mente. Ma il progetto di Milano Città Stato, nato nel 2015 su iniziativa dell'Associazione Vivaio e di Andrea Zoppolato, va oltre i pregiudizi di una "Padania indipendente", come diceva il Senatùr nei comizi degli anni '90. La proposta di Milano Città Stato è proprio in contrasto con queste idee, in quanto immagina che la metropoli meneghina possa, in un futuro non troppo lontano, equipararsi alle grandi capitali europee o agli hub finanziari internazionali, per essere un "gate d'ingresso" per capitali, persone e idee. Il futuro ipotetico di "Città Stato" potrebbe permettere a Milano di legiferare in autonomia e risolvere i tanti problemi che affliggono quotidianamente la città della Madonnina, ci ha raccontato il fondatore del gruppo Andrea Zoppolato.
Andrea Zoppolato - Fondatore di Milano CIttà Stato 
Partiamo dalla fine: Milano Città Stato ha appena ricevuto l’Ambrogino d’oro, la più alta riconoscenza del Comune, cosa significa per il vostro gruppo?
 
Innanzitutto, è stata una sorpresa. Non ce lo saremmo mai aspettati. In seconda battuta, è una grande responsabilità, perché il fatto che il Comune e, in particolare il Consiglio comunale, abbiano deciso di insignirci della più grande e prestigiosa carica onorifica cittadina per un progetto che mette l’accento sulla trasformazione futura della città, ci spinge a fare tutto il possibile per attuare questa trasformazione.
 
Il vostro progetto non nasce però oggi, come ha avuto origine?
 
L’idea di Milano Città Stato è nata in una sera di incontri dell’Associazione Vivaio, che poi è la nostra associazione. Proprio questa associazione stava organizzando degli incontri a tema e, per una seduta, abbiamo abbracciato un po’ di politica. Sostanzialmente, ci chiedevamo quale potesse essere un’innovazione per rendere più forte Milano a livello internazionale. In quell’incontro vi erano persone di tutti i tipi e politici di tutte le parti, ma siamo arrivati a un punto in comune. Come in tutte le città più importanti al mondo, le metropoli hanno dei livelli di autonomia maggiorati e che coincidono con la parte del territorio immediatamente inferiore al governo centrale, nel nostro caso si tratta delle Regioni, in altri casi si parla di Cantoni. Così nacque l’idea di pensare a Milano come una futura Città Stato.
 
Il vostro progetto nasce nel 2015, prima del boom di Expo. In particolare, cosa vi ha spinto a lavoro su questo progetto?
 

Milano ci sembrava una città che potesse e dovesse fare molto di più. Secondo noi, Milano dà il meglio quando si misura con il resto del mondo, non solo quando si limita a vedersi migliore rispetto ad altre città italiane. Quindi penso che semplicemente alla base di tutto ci sia stata l’ambizione di poter contribuire a far diventare la propria città uno dei luoghi migliori dove poter vivere. Allora c’era l’attesa di Expo, ora c’è il senso di responsabilità di dover fare qualcosa di rilevante per scuotere il resto d’Italia.

Lo scorso mese il Ministro per il Sud ha detto, e poi parzialmente ritrattato, che “Milano non restituisce quasi più nulla di quello che attrae”. Cosa ha pensato quando l'ha sentito?
 
Cerco di vedere lo stimolo positivo. Premesso che, di fatto, è una cosa non vera. Milano dà allo stato italiano circa 40 miliardi di tasse all’anno e riceve in trasferimenti regionali e nazionali attorno ai 450 milioni all’anno. Quindi, in realtà è una castroneria. Però, se dobbiamo prendere un elemento effettivamente positivo nelle sue parole come stimolo per fare meglio, è vero che se tu hai una città obbligata ad avere le stesse identiche regole di ogni città italiana, in un sistema che non funziona rispetto al resto d’Europa, per forza quella città drena risorse dal resto del Paese. Oggi Milano attira risorse come imprese, start-up e personale qualificato da tutto il resto d’Italia. Tutti quelli che vogliono fare qualcosa d’importante, restando in Italia, tendenzialmente vengono a Milano: è il luogo migliore per realizzare progetti. Però, al tempo stesso, la domanda è se Milano è altrettanto capace di attirare risorse in Italia rispetto al resto del mondo. Secondo me, la risposta attuale è negativa perché [la città, ndr] si trova in un sistema di regole che la fa primeggiare con il resto d’Italia, ma non la rende competitiva con il resto del mondo.
 
Quindi cosa significherebbe per Milano essere autonoma?
 
Immagina un aeroporto. Se ci sono solo voli domestici, perdi tutto il traffico internazionale. Milano deve diventare amministrativamente l’equivalente di un aeroporto internazionale, proprio per diventare il gate di accesso in Italia di capitali, intelligenze, persone e lavoratori del resto del mondo.
 
Ci sono esperienze di città stato a cui vi ispirate?
 
I due modelli che prendo più a riferimento sono Berlino e San Pietroburgo. Berlino è emblematica perché geograficamente fa parte del Brandeburgo, così come Milano geograficamente fa parte della Lombardia, ma Berlino e Brandeburgo sono amministrate autonomamente. In un referendum, i cittadini di Berlino e Brandeburgo si sono chiesti se fosse opportuno mettersi insieme, ed entrambi hanno deciso di no per la differenza di esigenze. Questo caso quindi è emblematico di come due casi geograficamente connessi come Milano e Lombardia, se amministrati in maniera autonoma, possono collaborare ancora meglio. Il secondo caso è San Pietroburgo perché in Russia questa città ha la funzione di essere un laboratorio di riforme che se funzionano possono essere estese anche al resto del paese. Secondo noi, Milano potrebbe assumere la stessa funzione. Si potrebbe sperimentare legiferando – il vantaggio di essere Regione è proprio quello di legiferare a differenza dei Comuni – però con l’ottica di introdurre norme su economia, lavoro e burocrazia per testarle sul territorio e poi potenzialmente estenderle al resto del paese.
 
Quali dovrebbero essere i passi per arrivare a una maggiore autonomia?
 
Ci sono due possibilità. La prima è quella della legge speciale, più semplice dal punto di vista procedurale, e secondo noi folle dal punto di vista sostanziale. Ciò significa che il Parlamento dà più poteri alla città metropolitana. Però già oggi ci sono due presenze sul territorio - Comune e Regione - e una città metropolitana “zoppa”; con la legge speciale, si avrebbero tre poteri forti sul territorio e questo creerebbe maggiore complessità. L’altra, prevista dall’Articolo 132 della Costituzione, prevede invece che uno o più comuni con almeno un milione di persone possano richiedere di costituire una regione e staccarsi dalla regione predefinita. Quello che ha fatto il Molise staccandosi dall’Abruzzo. Quindi basterebbe una decisione. In attesa che i consigli si decidano, noi vorremmo partire con un referendum in modo che il risultato sia poi vincolante sulla decisione del Consiglio comunale di domandare l’autonomia.


Quali sono i problemi attuali di Milano e come li potrebbe risolvere l’autonomia cittadina?
 
Questo è proprio il tema del nostro gruppo. Milano deve essere autonoma perché ha problemi specifici rispetto al resto della Lombardia. In particolare, i problemi prioritari oggi sono l’accessibilità intesa come alti costi di acquisto e di affitto delle abitazioni, che tengono lontani i giovani, inquinamento dell’aria, traffico, metropolitana, università, competizione internazionale e promozione del brand “Milano”. Tutte tematiche che nel resto della regione sono secondarie, se non minimali. Se dovessi stabilire il budget per Milano, gran parte di questo andrebbe per risolvere per questi problemi. Invece, se il budget è affidato a Regione Lombardia può essere che finisca per il sostegno dell’agricoltura, per aree in difficoltà o per infrastrutture di collegamento con altre città. Però, non a risolvere i problemi tipicamente urbani di Milano.

Una delle grandi sfide di questo secolo è però isolvere il gap che vi è tra grandi città e piccoli centri. Una proposta come la vostra non potrebbe peggiorare questo scontro?
 

La premessa è che questo già accade: a Milano arrivano persone da tanti piccoli paesi. Milano sta già drenando persone da altri centri. Il vero tema però è proprio quello che dicevo prima. Se si potesse avere poteri e risorse in autonomia, la città potrebbe diventare più forte e ne guadagnerebbe tutta la nazione. Se immaginiamo il Paese come nel Rinascimento, dove le città si facevano la guerra le une con le altre, potrei essere d’accordo che può essere sbagliato dare poteri a una metropoli. Se invece il Paese viene inteso come una squadra di calcio, a quel punto sostenere di non volere città più “forti”, sarebbe come dire che abbiamo Messi in squadra e lo lasciamo in panchina per fare giocare tutti. Diamo la possibilità a Milano di essere più forte e attirare più risorse dal mondo, e a quel punto anche i piccoli paesi ne avranno da guadagnare.
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