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Benvenuti, questo è il numero cinquantasei di MEDUSA, una newsletter bisettimanale a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not

MEDUSA parla di Antropocene, dell
impronta dellessere umano sulla Terra, di cambiamenti climatici e culturali. Storie dalla fine del mondo per come lo conosciamo, ogni due mercoledì.

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In questo numero leggerete di montagne e sepolture, di kuleana e arche e incendi, di comete in arrivo e apparati moderati.
MEDUSA • TELESCOPIO
di Francesca Massarenti


Il sacro, secondo l’animismo delle Hawaiʻi, è espanso, e comune. La vita è sacra, la terra è sacra: onorare la prima significa inventare un modo per gestire la seconda. Le prime comunità umane che colonizzarono l’arcipelago si diedero un’etica e una strategia amministrativa: strisce di campi che includessero tutte le risorse necessarie, dai pendii delle colline all’oceano, accessibili da chiunque dimostrasse, vivendoci, di gestirle secondo kuleana. Nell’idioma hawaiano – mai trascritto prima dell’arrivo di missioni cristiane e marine mercantili nel tardo diciottesimo secolo – kuleana è una responsabilità duplice, che lega umano e natura in un patto di reciproca assistenza e rispetto.

La toponomastica dell’arcipelago non solo conserva fossili linguistici, trascritti nell’alfabeto latino importato e imposto, ma localizza il sacro: il monte più alto, Mauna Kea è sia “montagna bianca” che Mauna a Wākea, la montagna di Wākea, il padre celeste progenitore, insieme alla dea madre Papahānaumoku, di tutta la stirpe hawaiana. Il Mauna Kea è un vulcano quiescente alto 9.968 metri dal fondale marino alla cima innevata, e un simbolico piko, il cordone ombelicale che collega cielo e terra. È anche un ottimo sito per l’osservazione astronomica, dove l’aria è secca, il cielo limpido, il buio pristino.

Nel 1964 viene costruito il primo osservatorio, sulla vetta dove la dea delle nevi Poliʻahu si rifugia congelando la lava della sua nemica, Pele, dea del vulcano. Segue la posa di asfalto e ghiaia per segnare una strada di accesso diretto alla cima, che faciliti il trasporto di materiale e personale scientifico. Nel 1968 il Board of Land and Natural Resources affida, con la concessione numero S-4191, la gestione della cima del Mauna Kea all’istituto astronomico dell’università delle Hawaiʻi. Dagli anni ’70 in poi, dodici osservatori sono stati costruiti – spesso slegati da piani regolatori e godendo di sanatorie – entro i quasi due chilometri dell’“Astronomy Precinct”, la zona designata alla scienza in mezzo ad aree naturali protette, riserve faunistiche e siti sacri.
 
Gli antenati samoani e tahitiani che approdarono alle Hawaiʻi intorno all’anno mille avevano percorso in canoe a doppio scafo i due milioni di chilometri quadrati di oceano che separano i vertici del triangolo polinesiano: Aotearoa (Nuova Zelanda), Rapa Nui (Isola di Pasqua) e Hawaiʻi. Le loro barche di legno e fibra di cocco navigavano a vela e a remi, trasportavano provviste di taro e polli per il viaggio e (forse) tornavano cariche di patate dolci autoctone delle coste ecuadoriane. Un impero d’acqua gestito con un sestante mentale e mappe orali inscritte nei canti ereditati nei secoli. Un navigante polinesiano è un “marinaio astronomo”, capace di leggere a occhio nudo la via sicura nella forma delle nuvole, nelle correnti e nelle maree, nel tragitto degli uccelli che orbitano attorno alle coste e soprattutto nella posizione delle costellazioni dei due emisferi, nel movimento del sole e della luna. 

Per osservare le prime fonti di luce, gli oggetti cosmici più antichi, le galassie giovani e le stelle fioche, oppure capire se la materia oscura esiste davvero, servono strumenti spettroscopici che operino su varie lunghezze d’onda, ultraviolette e infrarosse, e c’è bisogno di una lente riflettente enorme. Serve che lo specchio sia deformabile, secondo l’ottica adattiva, per correggere il seeing, la distorsione delle immagini causata dall’atmosfera terrestre, e garantire una risoluzione così precisa da poter guardare cosa succede attorno ai buchi neri.



Un nuovo telescopio sul Mauna Kea, il Thirty Meter Telescope (TMT), ad oggi è già stato progettato, finanziato e approvato. Ma uno specchio largo trenta metri, composto da quattrocentonovantadue vetri esagonali, uno specchio secondario largo tre metri e uno terzo specchio ellittico hanno bisogno di una cupola mobile, larga una sessantina di metri, e di un edificio tutt’attorno, diciotto piani distribuiti su cinquanta metri in altezza e sei da scavare sotto terra. E in più: uffici, alloggi e mense per il personale, costante manutenzione delle strade, parcheggi, pannelli solari e collegamenti alla rete elettrica dell’isola, infrastrutture per il trattamento di liquami, immondizia e materiali tossici, gestione delle visite turistiche e dei progetti divulgativi.

Il 30 ottobre 2018 la corte suprema hawaiana ha avallato la decisione del Board of Land and Natural Resources di concedere il nulla osta alla costruzione del TMT, poiché la sua realizzazione “si ritiene non possa causare un sostanziale impatto negativo dato l’esteso degrado causato dal precedente sviluppo di telescopi nella zona della cima”. Il consorzio Thirty Meter Telescope International Observatory LLC (TIO) è una partnership internazionale no-profit tra università e fondazioni statunitensi, canadesi, giapponesi, cinesi e indiane che, il 10 luglio 2019, insieme al governatore delle Hawai’i David Ige, ha annunciato la data prevista per l’inizio dei lavori: il 15 luglio 2019. Il 17 luglio una trentina di kūpuna, anziani e anziane delle comunità native locali, sono stati arrestati per aver bloccato la Main Access Road, la strada che collega base e cima del monte Mauna Kea.
     
Ad oggi, dicembre 2019, l’accesso all’osservatorio è ostruito dall’accampamento pacifico Puʻuhonua o Puʻuhuluhulu Maunakea, autogestito dagli attivisti nativi che rifiutano l’etichetta “protesters”, autonominandosi invece kiaʻi, “protectors”. L’occupazione è il culmine di un decennio di proteste contro il TMT, perseguite tra sedi legali, manifestazioni e blocchi fisici, ignorando i sondaggi che registrano un costante appoggio del progetto da più del 60% dei residenti nello stato delle Hawaiʻi. Il telescopio, infatti, è contemporaneamente minaccia ambientale e pretesto politico: il dissenso sulla gestione del Mauna Kea è imbrigliato in un discorso più ampio, e più antico, di sovranismo hawaiano, e che include idee filo-separatiste, dalla restaurazione del regno delle Hawaiʻi alla riappropriazione delle ceded lands



Per ora, il campo è un puʻuhonua: un santuario, un luogo di rifugio prima che una barricata. La montagna alle sue spalle non è meno sacra perché profanata da cinquant’anni, o perché si presenta vuota agli occhi degli investitori, senza templi o reliquiari a marcare possesso e significato del territorio. L’occupazione non violenta dei kiaʻi – che dormono in tenda o in auto – si autofinanzia con l’aiuto di donazioni (in denaro, cibo e oggetti), e prevede una routine di preghiere, rituali e danze tradizionali, lezioni gratuite di lingua hawaiana e storia delle colonizzazioni dell’arcipelago. All'offerta di un milione di dollari all’anno proposta dal TMT per investire in programmi di “rafforzamento dello studio delle STEM” (discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche), rispondono insegnando ai bambini il tradizionale calendario lunare hawaiano.

All’inevitabile affermazione che un nuovo telescopio porterà nuovi posti di lavoro in loco – per la maggioranza mansioni di supporto e manutenzione adiacenti alla ricerca – il rifiuto è lungimirante: che senso ha tirare a campare a costo dell'integrità del proprio spazio natio? 
 
Mentre, negli anni ’70 e ’80, cantieri e telescopi sul vulcano operavano a pieno regime, la lingua hawaiana tornava ad essere veicolo di istruzione nelle scuole statali. Usarla in pubblico era stato vietato nel 1896, e presto si era smesso di usarla anche in casa. Fu necessario un emendamento alla costituzione dello stato nel 1978 per equiparare hawaiano e inglese. Il programma radiofonico Ka Leo Hawaiʻi aiutò il revival della lingua: dal 1972 al 1988 il professor Larry Kimura (lui stesso parlante autodidatta) chiacchierò, in studio e al telefono, con gli ultimi madrelingua hawaiani, nonni e nonne in eleganti camicie aloha e coroncine di foglie. Ed è stato proprio Larry Kimura, ad aprile 2019, dopo la rivelazione al pubblico della prima immagine del buco nero supermassiccio M87, a dargli il nome Pōwehi. “L’adorna insondabile creazione oscura”, o “l’ornata fonte oscura di infinita creazione” è visibile anche grazie al lavoro svolto dai telescopi JCMT e CFHT, entrambi sulla cima del Mauna Kea: il nome “locale” sarebbe stato scelto per onorare l’ospitalità ricevuta.
 


Nel 1893, con un colpo di stato supportato dall’esercito statunitense, la gestione dell’arcipelago aveva iniziato la sua transizione sotto l’egida americana, fino all’inglobamento come ultimo stato federale nel 1959. Liliʻuokalani, l’ultima regina delle Hawaiʻi, trascorse i mesi della carcerazione all’interno del suo stesso palazzo reale musicando canzoni hula e traducendo in inglese il poema cosmogonico Kumulipo. Oltre duemila versi – tramandati a voce e trascritti solo nel diciottesimo secolo – tracciano la linea genealogica della casata nobile che con Liliʻuokalani perde il trono, indietro nel tempo fino alla comparsa spontanea (e non la creazione) di divinità e kanaka – gli uomini e le donne – degli animali e delle piante terrestri, degli insetti.

E prima ancora, le piante e le creature marine, l’emersione dall’acqua delle isole: un mondo gerarchico, che si riproduce in cicli, eppure teleologico nella sua affermazione della sovranità aliʻi, monarchica e hawaiana. Il prologo del Kumulipo osserva l’inizio dei tempi, e nomina l’oscurità assoluta, lo stesso po che ora adorna il buco nero M87. Po è un buio fangoso, torbido, è l’interno di una caverna, un fondale marino al largo della costa. Il calore delle prime luci, un sole e una luna neonati, lo riscalda fino a renderlo vita: giorno e notte, terra, creature. La regina traduce:

Al tempo della notte d’inverno
Ebbe inizio il fango che fondò la terra,
La fonte dell’oscurità più profonda.
Dall’oscurità profonda, la profondità del buio,
Dall’oscurità del sole, dal profondo della notte,
È la notte,
Così nacque la notte. 


Che cosa succede quando l’ipotesi scientifica, la narrazione assemblata sulla base di calcoli è simile, se non uguale, a un’intuizione poetica? La cosmogonia rivale del Kumulipo può non essere ancora stata trascritta in versi, ma è comunque fatta di parole: racconti epici con telescopi e fogli di calcolo, che descrivono i giusti percorsi del potere, legali o meno, e cantano promesse in onore del “progresso scientifico”. Ma sono cosmogonie osmotiche, come sa chi, grazie all’internet subacqueo dei cavi ancorati al fondale oceanico, o quello riflesso dai satelliti in orbita, può rendere visibile ovunque la propria lotta, perlomeno ritardare il sacrificio del suolo asciutto e dell’aria d’altura senza ossigeno. 

Durante uno degli ennesimi inverni succedutisi dopo che la notte oscura del Kumulipo si è scaldata e rischiarata, gli osservatori in cima al vulcano restano inattivi, il personale è stato evacuato, ogni ricerca sospesa. Il cantiere del TMT è stato posticipato a una data ancora indefinita – il transito di camion attorno a una vetta ghiacciata e dissestata dopo mesi di mancata manutenzione sarebbe insidioso – e la strada asfaltata aperta al pubblico. Con il compromesso accettato il 26 dicembre 2019, i manifestanti hanno iniziato a ridimensionare il campo, senza allentare la sorveglianza. La promessa fatta dalle autorità è una montagna lasciata a sé stessa, almeno fino all’inizio della primavera. 

 
CUBETTO SONORO
#1 MUSICA DALLA FINE DEL MONDO (PER COME LO CONOSCIAMO)
Sta nascendo un'altra guerra, e un altro paese è in fiamme. Almeno oggi, però, vogliamo iniziare l’anno con qualcosa di vivo, qualcosa che si muove: ecco la lista delle canzoni dell’Antropocene che ci avete consigliato nelle ultime settimane.

Sophie – “Immaterial Girl”

Without my genes or my blood
With no name and with no type of story
Where do I live?
Tell me, where do I exist?


Raime – “The Dimming Of Road And Rights”


Ottimo sottofondo per leggere delle Meduse esoteriche.

Burial - “Ghost Hardware”

Una vecchia conoscenza citata più volte da Fisher e da chi legge Fisher.

Arca - “Desafío”

Arca ci ricorda di quando esisteva Prismo. Prismo è morta, viva Prismo.



The Comet Is Coming – “Because The End Is Really The Beginning”
Wow.

Apparat – “Goodbye”

Non i Moderat, gli Apparat. Ci avete consigliato anche Caronte.



James Holden – “The Caterpillar's Intervention”
Wow.

Croatian Amor & Varg2TM - “Tell Your Tale to the River”

Spesso inclusi nelle liste di fine anno che aumentano ogni anno.

Anna von Hausswolff - “The Mysterious Vanishing of Electra”

Una serata in pizzeria con Lynch, Diamanda Galàs e Nick Cave. Se la ascolti di notte poi forse muori.

Björk – “Crystalline”

Octagon, polygon
Pipes up an organ
Sonic branches
Murmuring drone
Crystallizing galaxies
Spread out like my fingers


Goat – “Try My Robe“
Ottimo sottofondo per leggere delle Meduse antropologiche.

Stellar OM Source - “Polarity”



Not Waving — “24”


Questa per ballare quando finirà l’acqua.
CABALA
In Australia sta bruciando un’area grande
come l’Irlanda. Un’area che
copre 3 volte il Belgio.


In Australia sta bruciando un’area grande
come l’Austria. Un’area che
copre 4 volte il Galles.


Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 413,15 ppm (parti per milione) di CO2.
E questo è tutto: tra due mercoledì, la prossima edizione di MEDUSA.
2019 © DE GIULI - PORCELLUZZI 






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