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Capire i microclimi cittadini


Come temperatura e precipitazioni cambiano all'interno di Milano

 

Nei primi giorni di gennaio, a cavallo tra l’anno ormai archiviato e le ultime festività, non è stato insolito passeggiare per Milano con un sole tiepido, senza dover sopportare le piogge fitte tipiche degli ultimi mesi del 2019. Se per tutto l'anno passato le istanze climatiche sono state portate sotto gli occhi di tutti grazie all'impegno di gruppi come Fridays For Future e della ormai famosissima Greta Thunberg, gli effetti del surriscaldamento globale nelle città italiane si iniziano a vedere solo adesso, e sono ancora limitati rispetto ad altre zone del globo. Anche a Milano, il cambiamento climatico è però ora, come mai prima, un tema con cui cittadini e istituzioni si devono confrontare. Fondazione Osservatorio Meteorologico Milano Duomo, insieme ad altre istituzioni, ha per questo lanciato all’inizio dello scorso anno il progetto ClimaMi, uno studio per “supportare i decisori politici e per contribuire allo sviluppo di pratiche adattive al cambiamento climatico.” Dopo un anno di lavori, i primi risultati sono stati consegnati ai professionisti della progettazione urbana e residenziale della metropoli meneghina.

Parlare di cambiamento climatico senza viverlo sulla propria pelle, alle volte, può essere un’esperienza alchemica. È difficile quantificare gli effetti in una zona climatica come quella della pianura Padana e la coscienza comune, senza il supporto di dati, spinge molti a sottovalutare il fenomeno. In particolare, nelle grandi città il cambiamento climatico va di pari passo con le attività che le persone svolgono quotidianamente. “Nelle metropoli, al riscaldamento globale si sommano gli effetti della variazione climatica – spiega Cristina Lavecchia, direttrice operativa della Fondazione Osservatorio Meteorologico Milano Duomo – la città è utilizzata in un determinato modo, i palazzi vengono riscaldati e raffreddati in un determinato modo e i cittadini stessi hanno modalità di spostamento ben definite.” Tutti questi contributi, spiega Lavecchia, vanno ad aggiungersi ai macro fenomeni climatici che stanno investendo la sfera terrestre. In particolare, nelle città italiane il surriscaldamento globale ha avuto due effetti predominanti: calore e modalità delle precipitazioni hanno influito maggiormente in termini di disagi e difficoltà per i cittadini. “Le isole di calore sono fenomeni con cui ci dobbiamo confrontare ormai ogni anno – continua l'esperta di metereologia – questo effetto si sente particolarmente d’estate, anche se è più intenso d’inverno, e porta a ondate di calore che causano disagi e danni per la parte più sensibile della popolazione.” Anche per quanto riguarda le precipitazioni, l’intensità delle piogge è un tema sensibile e che, negli ultimi anni, è diventato un fattore di rischio. “Dai dati che abbiamo raccolto non si notano variazioni quantitative a livello annuale o stagionale – aggiunge Lavecchia – quello che invece sta variando - e causa problemi nelle città - è la modalità delle precipitazioni, che si stanno concentrando in periodi sempre più ristretti.” Come conseguenza, le strutture di deflusso delle acque piovane sono state portate più volte al collasso causando allagamenti anche nel centro città.
Lo studio svolto da Fondazione OMD ha analizzato i dati climatici nella città di Milano e, anche all’interno della cerchia cittadina, sono state riscontrate differenze sostanziali per quanto riguarda temperature massime e intensità delle precipitazioni. “La città di Milano non è omogenea – continua Cristina Lavecchia – i dati forniti dalle stazioni metereologiche hanno illustrato che nelle zone nord ed est il calore e la quantità di precipitazioni sono più intensi rispetto che a sud e ad ovest.” Il tessuto urbanistico e residenziale della metropoli meneghina è una delle cause di questa distribuzione climatica. Come spiegato dalla direttrice operativa di Fondazione OMD, “le isole di calore risentono del tessuto urbano e la densità maggiore a Milano è localizzata a nord-est.” Durante la scorsa estate, a differenza di quanto si potrebbe immaginare, i quartieri di Bicocca e Bovisa hanno registrato temperature maggiori rispetto al centro città. Se il discorso relativo alla temperatura è facilmente spiegabile, la piovosità maggiore registrata nelle zone nord ed est di Milano è più difficilmente comprensibile. “Il fatto che la zona nord sia più piovosa di quella sud non è ancora molto chiaro – commenta Alessandro De Carli, membro della Commissione Ambiente dell’Ordine degli Ingegneri di Milano – ci sono supposizioni sul fatto che le perturbazioni tendenzialmente arrivano da ovest e l’isola di calore che esce dalla città verso l’alto in parte modifica il percorso delle perturbazioni.”
Questa variante, come altri 92 indicatori climatici, è stata studiata dagli esperti di Progetto ClimaMi durante la raccolta dati svolta nel 2019. “Il progetto ha elaborato circa novanta indicatori utilizzando sette variabili metereologiche – racconta De Carli – gli indicatori sono stati realizzati dal confronto di diverse aree tematiche e capire come i dati variano nel tempo è fondamentale in questo settore e per gli esperti di altre aree”. L’obiettivo che ha dato il via a questa iniziativa è stato delineato dalla necessità di avere una conoscenza più estesa di clima e meteorologia per permettere a decisori politici e professionisti di modificare la città di Milano in base alle esigenze future. “Quello che ci ha sorpreso maggiormente – sottolinea Cristina Lavecchia – è il fatto che il clima non è ben conosciuto dai professionisti e quindi abbiamo dovuto iniziare proprio dalle basi.” A questo si è aggiunta la scarsità di dati che negli anni precedenti potevano essere utilizzati per la progettazione urbana. Una mancanza che, alle volte, andava di pari passo con l’utilizzo di dati che facevano poco fede alle diverse zone del capoluogo lombardo. “Il grande errore è stato fino ad ora quello di usare un dato rilevato in punto e applicarlo in un’altra zona – continua De Carli – nel caso specifico venivano utilizzati i dati rilevati nella stazione meteorologica di Linate anche per progettazioni relative all’interno della città.” Una distanza di pochi chilometri che però subisce una differenza che può arrivare fino a dieci gradi tra centro città e scalo aeroportuale.
Dopo l’introduzione delle variabili del Progetto ClimaMi, gli esperti della Fondazione OMD hanno dovuto anche affrontare le possibili modalità di resilienza che Milano dovrà adottare per fronteggiare il cambiamento climatico. Non è stato sufficiente comunicare dati e rilevazioni, la collaborazione tra ricercatori e professionisti ha come obiettivo un modello di città sempre più sostenibile nelle pratiche edilizie e urbanistiche. Tra i problemi principali, le pratiche antropogeniche hanno contribuito a un costante abbandono delle zone pubbliche per i luoghi privati duranti i giorni in cui le ondate di calore sono state estreme. “Il rischio è che d’estate veniamo indotti a restare all’interno di ambienti raffreddati – spiega la direttrice operativa di Fondazione OMD – se però ci rinfreschiamo buttando all’esterno il calore, riscaldiamo la città invece di adottare tecnologie passive di raffreddamento.” Questo problema, come sottolinea Alessandro De Carli, può essere ovviato dalla creazione di piccoli parchi diffusi sul territorio cittadino o dalla piantumazione di diversi filari di alberi così da creare un tessuto verde in tutta la città. Allo stesso tempo, anche l’utilizzo odierno di “materiali leggeri” come acciaio e vetro per la costruzione di grattacieli ha modificato il clima urbano. Le proprietà di questi materiali durante i mesi estivi contribuiscono al riscaldamento dell’ambiente cittadino, rendendo le zone adiacenti afose e quasi invivibili. Soluzioni ecosostenibili potrebbero essere utilizzate anche per limitare gli effetti delle piogge torrenziali. “I tetti verdi hanno un beneficio sull’isolamento termico e sulla gestione delle acque – spiega De Carli – il tempo impiegato dall’acqua per passare dal tetto alla fognatura viene rallentato notevolmente permettendo una gestione migliore dei picchi.” Tutte queste possibilità, come sostenuto da Cristina Lavecchia, dovrebbero impattare sugli immobili residenziali – ad oggi circa il 70% del parco edilizio milanese è costituito da edifici ad uso residenziale – così da permettere un minor consumo di energia, un rallentamento degli effetti del cambiamento climatico e un utilizzo maggiore delle zone pubbliche della città anche durante i mesi più caldi. “Al giorno d’oggi tutto si relaziona – chiude il ragionamento la direttrice operativa di Fondazione OMD – il clima induce modificazioni nell’uso dell’energia, ma quest’ultimo va al contempo a modificare l’ambiente circostante, è un cane che si morde la coda.”
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