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Milano e l'Italia stanno vivendo giorni difficili. Preoccupazione, dolore, rassegnazione, ma anche ottimismo, senso di comunità, creatività e solidarietà segnano le giornate di molti. Per questo motivo, vorremmo che la nostra prossima uscita non racconti una storia di Milano, ma lasci i "microfoni aperti" affinché siate voi a raccontarci la vostra storia. Che sia un messaggio, una riflessione, un augurio, una fotografia, una poesia o una barzelletta. Mandateci il vostro pensiero (basta rispondere a questa email) e sarà un pezzettino della prossima newsletter. 

Luca e Alessandro 


Milano e l'acqua

Come fiumi, navigli e tubature possono arricchire o danneggiare la città


Paragonare Milano alle grandi città europee sviluppate intorno a vie navigabili e corsi d’acqua non è possibile. I canali di Amsterdam, i fiumi delle città nordiche dalla Germania e la famosa rete di canali navigabili che collegano Londra fino a Manchester sono realtà molto distanti da quella lombarda. Almeno a partire dall’inizio del ventesimo secolo fino ad oggi. La città della Madonnina ha infatti abbandonato, o meglio sotterrato, la rete di navigli che collegavano Milano al fiume Po e alle rotte adriatiche. La chiusura dei navigli e il conseguente piano urbanistico hanno cambiato radicalmente negli anni la struttura di Milano e ne hanno permesso la crescita nella prima metà del secolo scorso. Ma portando con loro diverse problematiche. Prime tra tutte, le esondazioni sempre più frequenti del Seveso nella zona Nord di Milano. Ad oggi, il progetto per la riapertura dei Navigli potrebbe animare di nuovi turisti il capoluogo meneghino e, come sostengono i promotori del progetto, “ri-brandizzare Milano e tutta la Lombardia”.  

I navigli visti in via Conca del Naviglio
Passeggiare per Milano nei primi anni del 1900 era come perdersi tra le vie di una città europea costruita su fiumi, canali e vie d’acqua. Basta guardare cartoline e foto d’archivio per farsi un’idea. L’attuale cerchia dei navigli lasciava ampio spazio al passaggio di chiatte e imbarcazioni cariche di materie prime e beni in arrivo da porti fluviali e altre zone della Lombardia. Al fianco di quei canali, le prime gru in acciaio svuotavano e riempivano le imbarcazioni in sosta nella Darsena, al tempo non una zona famosa per la movida estiva, ma uno snodo commerciale primario per il capoluogo meneghino. La fila delle diapositive colore seppia potrebbe continuare. Gli scatti in bianco e nero ritraevano le lavandaie intente a lavare i panni in via Senato, mentre i signori passeggiavano tra una chiusa e l’altra. La rete fluviale milanese venne coperta nel periodo fascista. Citando motivi “igienici e viabilistici”, i navigli vennero chiusi e sopra di essi si fece spazio per il traffico automobilistico sempre in crescita e nuovi lotti per la costruzione di case e magazzini. Il Ventennio mise fine a una storia milanese che ora torna alla memoria solo quando le piogge forti allagano diverse zone di Milano.
Nella prima fotografia una mappa idrografica dei navigli del 1870, mentre nelle seconda immagine uno scatto della Darsena
Seppure i navigli abbiano continuato a scorrere silenziosi sotto il traffico di Milano, non tutti si sono scordati della loro presenza. “L’idea di un’associazione per il rilancio dei navigli è nata quando ero ancora professore di architettura al Politecnico – racconta Roberto Biscardini, presidente dell’Associazione Riaprire i Navigli – Poi nel 2012 tutto questo è diventato più concreto e abbiamo costituito un’associazione per svolgere un lavoro di sensibilizzazione e per fare pressione sulle amministrazioni locali perché il progetto diventasse realtà." L’associazione ha lavorato affinché l’amministrazione cittadina prendesse in seria considerazione il progetto di riqualificazione dei navigli e desse nuova vita agli 8 chilometri di canali che ora scorrono sotto le vie di Milano. Il lavoro svolto dall’Associazione Riaprire i Navigli non ha focalizzato il suo sguardo solo sulla metropoli lombarda, ma ha cercato di inquadrare il suo operato su un piano più ampio. “Aprire il tratto milanese dei navigli significa riattivare tutta la rete regionale di 140 chilometri di canali d’acqua – aggiunge Biscardini – senza questo nodo non si può fare la tratta che collega Colico, sul Lago di Como, fino a Venezia." Oltre alla valenza storica di questa operazione, la rivalutazione dei navigli avrebbe, secondo l’Associazione, un impatto massiccio su diversi ambiti del vivere quotidiano.

“Da un punto di vista economico significherebbe creare nuove opportunità per il mercato, partendo in primis dal turismo – continua il presidente dell’associazione – e inoltre stiamo studiando la possibilità di sfruttare i navigli, ma anche tutta la rete idrica minore, per la realizzazione di un grande piano per il riscaldamento a pompe di calore.” In poche parole, un sistema in grado di estrarre energia termica e utilizzarla poi per il riscaldamento delle abitazioni.  Milano sta già sfruttando il teleriscaldamento, e quindi l’acqua è già un ricchezza per la città, ma si potrebbe fare molto di più. Attualmente A2A fornisce il teleriscaldamento a oltre 214mila appartamenti, per 51,5 milioni di metri cubi riscaldati evitando di disperdere nell’ambiente circa 117mila tonnellate di CO2 e 2,8 tonnellate di polveri sottili. Implementare il teleriscaldamento significa spegnere le caldaie inquinanti di molti edifici, in quanto questo sistema si serve dell’acqua utilizzata per raffreddare le turbine di termovalorizzatori e centrali (a Milano ad oggi quelle di Cassano d’Adda, Turbigo e Tavazzano). L’acqua, dopo aver esaurito il suo compito e aver raggiunto picchi di calore elevati, subisce un processo di raffreddamento e viene reimmessa nei canali per raggiungere e riscaldare abitazioni e uffici.

Sebbene i piani siano molto ambiziosi e incoraggianti, il prezzo della riapertura dei navigli non è irrisorio. L’Associazione Riaprire i Navigli ha stimato un costo complessivo che oscilla tra i 300 e 350 milioni di euro. Somma che, sempre secondo il gruppo, non dovrebbe gravare interamente sull’amministrazione cittadina. “Secondo noi non dovrebbe essere il comune a finanziare il progetto – spiega Biscardini – quanto un insieme di enti privati che ne ricaverebbero grandissimi benefici.” La costruzione di opere secondarie alla riapertura dei navigli dovrebbe, secondo l’associazione, dare vita a una vera e propria rivalutazione immobiliare e alla conseguente costruzione di infrastrutture come parcheggi, palazzi e aree di supporto.
L'esondazione del Seveso nel 1993
Ma oltre all’acqua che scorre quotidianamente tra i Navigli sotterrati di Milano, anche altri affluenti sono stati tombinati per fare spazio negli anni ’50 all’urbanizzazione del dopo guerra. Tra questi, il Seveso è sempre stato il protagonista nella cronaca. Già a partire da dopo le opere di incanalamento, il fiume cittadino ha iniziato ad esondare nei momenti di maltempo. “Non è solo l’urbanizzazione recente, ma il processo di utilizzo del territorio che di fatto ha sottovalutato il problema dei corsi d’acqua – sottolinea Marco Mancini, professore di Idrologia del Politecnico di Milano – mentre negli anni passati l’acqua usciva nella campagna, ore esce nelle abitazioni e nelle industrie creando problemi maggiori.” Insieme a un team di ingegneri, Mancini ha analizzato da diverse angolature il corso del Seveso e ha sviluppato negli anni un sistema di difesa per allarmare gli abitanti delle zone adiacenti. “Una volta che si creano queste situazioni, bisogna intervenire con vasche e allargamenti di sezioni fluviali – aggiunge il professore del Politecnico – mentre una parte di sicurezza si svolge con le opere tradizionali, oggi la restante parte viene affidata ai sistemi di allerta e di controllo.” La riapertura dei navigli potrebbe essere una soluzione anche al problema delle esondazioni del Seveso, sebbene il progetto non sia stato studiato nel dettaglio dai tecnici del Politecnico. “Per le portate di piena, sicuramente si potrebbe creare una parte di sfogo, però i Navigli hanno delle parti già molto ristrette di loro – aggiunge Mancini - Sicuramente non è la soluzione più percorribile, ci vorrebbero sezioni più importanti rispetto a quelle che ci sono ad oggi.” Anche perchè i Navigli non saranno lo sfiatatoio del Seveso ancora per un po'. Il progetto del Comune, fortemente sostenuto anche da Giuseppe Sala, è infatti stato accantonato per mancanza di fondi, dopo che la Regione (prima favorevole) si è tirata indietro, e lo stesso sindaco ha voluto concentrare le risorse nella riqualificazione di periferie e aree dismesse.
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