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Benvenuti, questo è il numero sessantadue di MEDUSA, una newsletter bisettimanale a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not

MEDUSA parla di Antropocene, dell
impronta dellessere umano sulla Terra, di cambiamenti climatici e culturali. Storie dalla fine del mondo per come lo conosciamo, ogni due mercoledì.

MEDUSA è divisa in tre parti: un articolo inedito e due rubriche, i link dei Cubetti e i numeri della Cabala. Per il resto, se volete scriverci potete rispondere direttamente a questa email o segnarvi il nostro indirizzo: medusa.reply@gmail.com. Siamo anche su Instagram.


In questo numero leggerete di Borges e igiene, di noia e gelati, di pipistrelli e Cina, di futuro e tramonti.
MEDUSA • TEMPO
di Matteo De Giuli
 
In questi giorni, lavandomi le mani in continuazione, ripenso spesso a una poesia di Borges, una delle prime cose di Borges che ho letto, durante l’adolescenza, e che avevo ricopiato su un quadernetto.

Si chiama “Istanti” ed è un elenco di rimorsi, una lista di cose che Borges avrebbe voluto fare e rimpiangeva di non aver fatto. Ma non è una poesia di Borges. È un falso, e di qualità piuttosto infima: avrei voluto viaggiare di più, essermi fatto meno problemi, aver avuto più momenti felici… Se solo potessi avere una seconda possibilità, “ma vedete, ho 85 anni e so che sto morendo”.

“Istanti”, con la firma di Borges, è diffusissima, erroneamente citata in articoli e libri, riportata su fotomontaggi di rose e tramonti, e letta in decine di video amatoriali su YouTube. Per una di queste vie era arrivata anche a me, all’epoca, quando a diciotto anni non avevo ancora mai letto nient’altro di Borges né sapevo distinguere una bella poesia dalla paccottiglia. 

Capisco però le ragioni del successo di un falso d’autore come questo: in fondo è confortante pensare che un vecchio saggio, anzi, proprio Borges, il vecchio saggio per eccellenza, vecchio saggio cieco, uno che ha conosciuto gli abissi dell’infinito e ha esplorato le vette del taoismo e dello gnosticismo, alla fine, tirando le somme, possa tornare da te per dirti che ha capito che le cose che contano davvero nella vita non sono i grandi tormenti dell’intelletto ma soltanto le piccole gioie quotidiane.

La parte che mi torna in testa mentre mi lavo le mani in questi giorni, comunque, è questa qui:

Se potessi vivere di nuovo la mia vita
La prossima volta cercherei di fare più errori
Eviterei di essere così perfetto, mi rilasserei di più
Sarei più sciocco di quanto non sia stato, in realtà
Prenderei pochissime cose seriamente
Sarei meno igienico


Se non tutto il resto, almeno quel “sarei meno igienico” era un serio campanello d’allarme, una stonatura stilistica così insensata, quasi comica, che non capisco come non mi abbia fatto dubitare dell’originalità della poesia, o almeno non mi abbia dissuaso dal ricopiarla sul quaderno. E invece ricordo addirittura che al me stesso di diciotto anni sembrava una verità condivisibile quella: quanto tempo perdiamo a lavarci? Troppo, pensavo. E visto che “Istanti” è una poesia che inanella una serie di luoghi comuni, evidentemente il desiderio di essere meno igienici nelle proprie vite, qualsiasi cosa voglia dire, è un sentimento comune, diffuso in molti, o almeno lo era fino a qualche tempo fa. 

 
Istanti kitsch
 
Quel quaderno non lo apro da tanto, è sepolto in qualche cassetto, ma ho un ricordo visivo chiaro di quella pagina lì, dove accanto a “Istanti” avevo trascritto un’altra citazione di Borges. Anche a questa mi capita di ripensare spesso, ultimamente:

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, e io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco. Il mondo, disgraziatamente, è reale; io, disgraziatamente, sono Borges.

È davvero sua, è il finale di ‘Nuova confutazione del tempo’, in Altre inquisizioni, una lunga riflessione (che all’epoca non avevo letto: mi ero limitato a copiare queste righe, arcinote e citate ovunque) dove Borges critica l’esistenza di un tempo oggettivo, lineare, inesorabile. Il tempo è invece soggettivo e personale, dipende dall’individuo, dice Borges, e articola il suo ragionamento partendo delle teorie di Berkeley e dal pensiero di Hume. Insomma, siamo lontani dai recessi toccati dai versi di “Istanti”: “guarderei più tramonti […] mangerei più gelati e meno fave”. 

Il discorso di Borges sul tempo è una di quelle frasi che citano spesso anche i neuroscienziati – e non è l’unica, ce ne sono diverse, tra le sue opere, che sono state utilizzate per spiegare qualche meccanismo della mente, del funzionamento della memoria o dei ricordi, tutte cose che Borges sembra aver intuito e raccontato prima e a prescindere dalla scienza.

In Neurobiologia del tempo, Arnaldo Benini spiega bene in che senso quella citazione è azzeccata (ma non ho il libro, a casa, quindi prendete quello che sto per dire con la giusta cautela). Secondo le neuro-scienze il senso che noi abbiamo del tempo è un tessuto slabbrato. Il tempo, per come lo viviamo, dipende da questioni variabili e personali, dalle situazioni in cui ci troviamo. Dalla nostra razionalità così come dai nostri corpi, da faccende individuali e quindi poco prevedibili: è un’esperienza privata che coinvolge tutto il cervello e che viene prodotta da meccanismi nervosi capaci di distorsioni poderose, che cambiano tra animali e uomini, per esempio, e possono essere diverse in ogni essere umano. Fuori dall’incedere degli orologi, il tempo assoluto non esiste. Come diceva Borges.

Non ho mai fatto un’esperienza più piena e completa delle distorsioni del tempo come in questi giorni, io come tutti quelli che si sono trovati chiusi in casa (dovrei specificare: con il privilegio di avere una casa, e di non avere preoccupazioni più grandi o problemi di salute o lavoro). La quarantena è una piccola prigionia, e il tempo della quarantena è un cerchio instancabile e regolare di giorni spesso uguali. È la noia del dover stare chiusi in una stanza per ore, immersi in un pantano, più che nel fiume di Borges, è il peso di giornate lunghissime e di settimane che invece volano veloci. In più, anche il tempo lineare del calendario è ormai sdoppiato a causa dell’epidemia: nei grafici dei nuovi contagi cerchiamo di leggere i risultati di decisioni politiche di un mese fa, mentre il film della diffusione del virus viene riproiettato spesso identico a se stesso in città e in nazioni diverse, a qualche settimana e parecchi chilometri di distanza.
Borges kitsch
 
Ho iniziato un diario durante la pandemia, perché speravo che fissare gli eventi mi potesse fornire una mappa per orientarmi nella confusione, e per non dimenticarmi di tutte le cose che stiamo vivendo. I primi giorni sono pieni di appunti. Lunedì 9 marzo, per esempio, ho scritto:

Per la prima volta da quando vivo a Milano ho sentito odore di fiori dalla finestra. In Francia 3500 persone si sono riunite vestite da Puffi per battere un record. Dichiarazione di uno di loro: pufferemo il virus. Da noi proteste e rivolte in 27 istituti penitenziari, 7 detenuti morti a Modena, agenti ostaggio a Melfi. Francesco Caputo ha segnato il primo gol di Sassuolo Brescia, giocata senza spettatori; si è fatto passare un foglietto dalla panchina che diceva “Andrà tutto bene, #restate a casa”. In TV Massimo Galli, del Sacco di Milano, viene intervistato fuori dall’istituto a due metri di distanza dalla conduttrice. Dopo cena prima videochiamata di gruppo su Skype, che funziona bene.

E così via. Molte di queste cose mi sembravano straordinarie quando le ho riportate e ora, dopo tre settimane, alcune sono già banali. Ci si abitua a tutto. Dopo qualche giorno ho smesso di aggiornare il diario perché non trovavo più nulla di interessante da aggiungere. 

C’è un ultimo motivo, forse, per cui oggi penso tanto a quel quadernetto con le citazioni di Borges: la prima volta che da ragazzo ho incontrato una sensazione simile all’angoscia di questi giorni è stato durante l’invasione degli Stati Uniti in Iraq, nel 2003, ed erano gli stessi mesi in cui riempivo quel taccuino, un anno e mezzo dopo il crollo delle torri gemelle. Senza cercare di forzare i paragoni, all'epoca i miei amici ed io non avremmo mai pensato di trovarci preoccupati e impotenti per una cosa tanto più grande di noi. Ho chiesto ad A. se si ricorda cosa facevamo per provare a stare meglio, al di là di qualche manifestazione in piazza a cui partecipavamo per senso del dovere e per conformismo. Non siamo riusciti a venir fuori con nulla – stavamo insieme e cazzeggiavamo.

Una cosa in più mi è tornata in mente, dopo: in TV passavano spesso il video di Out of time dei Blur, con la voce eternamente malinconica di Damon Albarn e le immagini di una ragazza poco più grande di me che girava per una portaerei americana, una soldatessa o forse un tecnico di volo, probabilmente in missione in Afghanistan o già in Iraq, depressa per colpa della guerra e, si scopriva, per la fine della propria storia d’amore. Mi infastidiva pensare che fosse quello il meglio che erano riusciti tirar fuori per il video di una canzone che voleva essere pacifista, ma capivo che era almeno un tentativo di sovvertire la retorica del testosterone  guerrafondaio shock and awe e del conflitto di civiltà di cui si riempivano i discorsi pubblici in quel periodo (a un certo punto si vedeva anche un ragazzo musulmano che pregava, in uno stanzino della portaerei). In un modo forse un po’ bizzarro e disgraziato, quella canzone mi calmava, invece di intristirmi o impensierirmi troppo.
CUBETTI
#1 NON VEDIAMO L’ORA DI ABBRACCIARCI
Non vediamo l'ora di abbracciarci, ma la lista delle cose che non potremo fare, una volta ritirata la quarantena, è più lunga di quanto ci piacerebbe pensare. In un’intervista a Repubblica è stato chiesto a Silvio Brusaferro, il presidente dell'Istituto superiore di sanità, cosa succederà quando arriveremo a zero casi interni, come in Cina negli ultimi giorni.

“Credo, più che da medico da osservatore, che questa infezione globale che per sua natura incide su aspetti importanti delle relazioni e dei contatti tra le persone, non scomparirà in tempi brevi. Ci costringerà quindi ad immaginare un futuro diverso, almeno finché non arriverà un vaccino oppure un farmaco efficace contro il coronavirus. […] Dovremo trovare un modo nuovo in cui fare le cose che ci piacciono. Penso ad attività come ascoltare un concerto o socializzare. […] La fantasia e la capacità di innovazione del nostro Paese ci aiuteranno ad immaginarci un po’ diversi, e consapevoli che adesso siamo tutti strettamente legati al comportamento degli altri”.

Non siamo sicuri di come la fantasia del nostro Paese possa aiutarci in questa fatica, essendo lo stesso paese in cui l'istituto nazionale della previdenza sociale, lo stesso che un anno fa ridicolizzava l'analfebetismo informatico delle persone meno abbienti, non riesce a fare funzionare un sito di testo, e accusa un fantasioso gruppo di hacker per ripararsi dal pubblico ludibrio.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il solito Ed Yong ha scritto un lungo articolo che vi consigliamo (in inglese), dove riflettendo sull'anno che ci aspetta, prova a configurare i migliori o peggiori scenari che ci aspettano. È molto probabile che a livello globale giocheremo ad acchiappare questa talpa virale, ovunque si ripresenterà, nel modo più tempestivo ed efficace possibile, si spera. Finché non sarà prodotto un vaccino – potrebbero volerci 12-18 mesi, secondo gli studiosi di Berkley e altri esperti – ci abitueremo a nuove misure di sicurezza, vivendo in un simulacro di normalità. Uffici e scuole riapriranno, anche se non ci è ancora chiaro, fantasia permettendo, come possono crescere gli studenti a un metro di distanza, in aule già affollate e magari cadenti. Potremmo abituarci a tornare in nuovi periodi di quarantena, brevi o meno. Almeno sapremo già cosa significa.

 

#2 SI STA COME IN PRIMAVERA | SUI TETTI I PIPISTRELLI
Huabin Zhao, del dipartimento di ecologia dell’università d Wuhan, scrive su Science che in Cina i pipistrelli sono un simbolo di fortuna e prosperità, animali apotropaici. Delle 1400 specie di pipistrelli finora conosciute la maggior parte è a rischio di estinzione: un rischio aumentato drasticamente negli ultimi mesi.

Tra le misure adottate dal governo infatti c’è “l’espulsione” dei pipistrelli in letargo nelle case cinesi, cioè il rilascio di migliaia (milioni?) di pipistrelli in contesti “naturali”, non urbanizzati. Interrompere il letargo di un animale, come chi ha accudito delle tartarughine sa, può portarlo alla morte. Nel caso dei pipistrelli in Cina, aumentando il pericolo del contagio. Non bastasse: ad oggi, sembra che lo spillover che ha scatenato COVID–19 sia riconducibile a un pipistrello che non trova rifugio nei cornicioni cinesi, cioè il ferro di cavallo, l’unico pipistrello della famiglia dei Rinolofidi.

Alcune curiosità intorno a questo pipistrello:
  • Dimensioni medio-piccole, la lunghezza dell'avambraccio tra 30 e 81 mm e un peso fino a 28 g.
  • Cintura scapolare anomala: la settima vertebra cervicale e la prima dorsale sono completamente fuse tra loro e saldate alle prime costole, che a loro volta sono unite al pre-sterno ed alla faccia ventrale delle seconde costole, tutto in maniera tale da formare un solido anello osseo.
  • Le femmine hanno un paio di mammelle fittizie addominali, oltre a quelle funzionali pettorali, che i piccoli utilizzano per aggrapparsi con i denti durante il volo.

La foglia nasale dei Rinolofidi meriterebbe la descrizione di Roberto Longhi, di un Landolfi:

Sono presenti 3 distinte parti: la porzione anteriore, a forma di ferro di cavallo, copre il labbro superiore, circonda le narici ed ha un incavo centrale in prossimità del bordo inferiore; la seconda sezione è detta sella ed è connessa alla base tramite delle pieghe e delle creste, è alquanto ispessita e compressa lateralmente. Può talvolta avere delle falde laterali addizionali. La terza parte è una struttura appuntita superiore, detta lancetta, attaccata soltanto alla sua base ed appiattita frontalmente. Inoltre sono presenti dei processi connettivi tra la sella e la lancetta e un setto tra le narici. Il campo visivo è ridotto dalla presenza della foglia nasale.

 

I pipistrelli, aggiunge Zhao, sono dei pesticidi biologici. Contribuiscono all'impollinazione e alla dispersione dei semi di molte piante. “Sono anche eccellenti soggetti di studio sull'invecchiamento, cancro, difese immunitarie, ingegneria biomimetica” e tanto altro. Non sono mancate proposte di “disinfestazione”, cioè di massacro di pipistrelli, a prescindere dalla specie, dimensione, connessione al virus. I prossimi mesi saranno molto duri, per i pipistrelli in Cina.
CABALA
La Biblioteca di Babele di Borges è composta da un numero forse infinito di gallerie esagonali.  

A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali. Ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme.

Ciascun libro è di quattrocentodieci pagine. Ciascuna pagina, di quaranta righe. Ciascuna riga, di quarante leggere color nero.

Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 413,69 ppm (parti per milione) di CO2.
E questo è tutto: tra due mercoledì, la prossima edizione di MEDUSA.

 
2020 © DE GIULI - PORCELLUZZI 






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