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Fumo di Londra, 27 dicembre 2018
«Cento settimane per dirsi addio». Episodio #89

In attesa di un miracolo 
I subbugli tory, i dubbi dei laburisti su un nuovo referendum, lo spettro di un governo Corbyn
Su cosa punta la May per far passare la sua Brexit

Il Project Fear imbastito nel 2016 dall’allora premier David Cameron con il suo cancelliere George Osborne altro non ha fatto che alimentare il risentimento popolare e spingere il Leave alla vittoria sul Remain. Ma il suo successore a Downing Street, Theresa May, ha deciso comunque di avviare, prima della pausa natalizia, l’Operation Panic, come l’ha ribattezzata il Times di Londra. Un regalo a tutti e 650 i deputati della Camera dei Comuni, in particolare ai 317 del suo Partito conservatore lacerato dalla battaglia per la Brexit. Sulla scatola una scritta: handle with care, maneggiare con cura. All’interno, l’accordo per la Brexit da lei negoziato a novembre con l’Unione europea. Una scena da party di Natale della Brexit «no deal», come ha ironizzato Matt, il vignettista del Telegraph: «Arrivate presto, prima che tutto finisca e la gente muoia».

Il caos legato all’uscita del Regno Unito senza un’intesa con Bruxelles, cioè il peggior scenario, il «no deal», è il cuore dell’Operation Panic messa in piedi dal premier che in questo caso, probabilmente per la prima volta in due anni e mezzo a Downing Street, può contare su una certa compattezza del suo gabinetto. «Soltanto perché hai messo la cintura di sicurezza, non significa che stai per schiantarti in auto», ha detto Amber Rudd, segretario al Lavoro, lasciando intendere che il governo si sta preparando al peggio. Lo sta facendo stanziando 2 miliardi di sterline in più rispetto ai già impegnati 4,5 in caso di scenario peggiore, mobilitando 3.500 soldati per «qualunque evenienza» in vista di un’uscita senza accordo, imponendo una stretta all’immigrazione, preparando spazi sulle navi per le scorte di generi alimentari e farmaci, scrivendo lettere alle aziende britanniche affinché si organizzino per il «no deal», assumendo 90 nuovi dipendenti da inserire in un’unità d’emergenza del ministero dell’Ambiente.

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Certo, la Commissione europea non sta a guardare. Ha presentato, infatti, il suo piano d’emergenza, un pacchetto di 14 misure destinate a contenere i danni e riguardanti molti aspetti cruciali dei rapporti tra le due sponde della Manica, in particolare per il funzionamento dei servizi finanziari, del trasporto aereo e di quello terrestre e delle dogane. Lo stesso ha fatto il governo irlandese pubblicando un documento di 131 pagine in cui si spiegano le pesanti ripercussioni del «no deal» sui porti irlandesi, le spedizioni, i viaggi e la sicurezza.

Ma la partita si gioca a Londra, dove Nick Boles, deputato conservatore che fu protagonista del Notting Hill set cameroniano, ha minacciato di votare contro il governo nel caso in cui il Parlamento rigettasse l’accordo della May, spiegando però che il 29 marzo 2019 deve esserci la Brexit. E i «like» di Amber Rudd, del segretario alla Giustizia David Gauke e di quello all’Educazione Damian Hinds al tweet di Boles confermano quella compattezza del gabinetto che alla May è sempre mancata.

Con quel tweet, allo spauracchio del panico sui mercati e per le città, Boles ne aggiunge un secondo: quello di un governo laburista guidato da Jeremy Corbyn, che non è soltanto un ex euroscettico alla guida del partito più europeista del Paese nel bel mezzo della campagna per il referendum e durante i negoziati, ma è anche, per il suo approccio statalista e anti libero mercato, una delle maggiori preoccupazioni per le aziende britanniche e gli investitori stranieri. E poi sì, è anche quello che ha definito «stupid woman» la May provando poi a negare tutto con una potente quanto disperata campagna mediatica.

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Ciao, ci troveremo ancora qui giovedì 10 gennaio per iniziare le ultime dieci puntate di «Cento settimane per dirsi addio». 
Buon 2019 e grazie per questo 2018! In attesa del nuovo anno, qualche episodio precedente da rileggere.
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