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Fumo di Londra, 10 gennaio 2019
«Cento settimane per dirsi addio». Episodio #90

La Brexit perfetta e i cinquantenni
che sognano Scarlett Johansson

Nuove sconfitte per Theresa May, premier dimezzato in attesa del voto decisivo di martedì ai Comuni

È servito più di un anno per raggiungere un accordo per la Brexit tra il governo britannico e la Commissione europea e adesso, a meno di una settimana dal voto ai Comuni sull’intesa trovata dal premier Theresa May e dal caponegoziatore Michel Barnier, la Camera bassa di Westminster si convince che sia possibile presentare in meno di 72 ore un’alternativa a quel piano se respinto. È quanto emerge dall’emendamento promosso dal deputato conservatore Dominic Grieve e approvato mercoledì ai Comuni con 308 sì e 297 no. Il governo, in caso di bocciatura della ratifica in agenda alla Camera bassa martedì prossimo, è obbligato a ripresentarsi in Parlamento entro tre giorni lavorativi per presentare proposte alternative a un «no deal». Il voto sull’emendamento di Grieve ha visto la discesa in campo di John Bercow, speaker della Camera e convinto remainer, che, dopo anni a tentare di spegnere gli scontri in Aula, ha scatenato lui stesso il caos ai Comuni. Bercow ha infatti dato il suo via libera nonostante il parere contrario dei suoi funzionari: l’emendamento era inaccettabile in quanto non è possibile emendare un accordo governativo. Ma lo speaker ha autorizzato quella che è a tutti gli effetti un’innovazione procedurale senza precedenti, mandando su tutte le furie falchi pro Brexit e banchi governativi.

Si tratta però soltanto di uno dei due episodi della «guerriglia parlamentare» che i ribelli conservatori - questa volta europeisti e non come spesso capitava fino a poche settimane fa euroscettici - hanno minacciato di condurre nelle prossime settimane per impedire a ogni costo l’ipotesi da loro definita «disastrosa», cioè l’uscita dall’Unione europea senza accordo. Infatti, il giorno prima, cioè martedì, la stessa pattuglia di conservatori europeisti aveva inflitto una sonora sconfitta al premier May, la prima subita da oltre 40 anni da un governo su una legge finanziaria. Secondo quanto ha ricostruito il Times, ben 20 deputati conservatori, inclusi sette ex membri di governo, hanno infranto la disciplina di partito votando un emendamento (approvato con una maggioranza di soli sette voti) che nega all’esecutivo i soldi necessari a prendere tutte le misure per mettere il Paese al riparo dagli effettivi negativi che una possibile Brexit «no deal» comporterebbe dopo il 29 marzo prossimo. Come fa notare il quotidiano londinese, l’emendamento ha raccolto il consenso di chi vuole un secondo referendum sulla Brexit e di tutti gli esponenti pro Ue del Partito conservatore, che sono pronti a tutto per rendere impossibile un’uscita senza accordo.

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Dopo aver rinviato prima di Natale il voto ammettendo che l’avrebbe perso, il premier May si sta preparando al momento della verità sull’accordo che lei e il suo ristrettissimo staff hanno negoziato con l’Unione europea. I numeri di oggi le sono contro, ma lei confida di riuscire a recuperare quel margine che in queste settimane si è andato a restringersi. Due strade: convincere i conservatori più euroscettici (alleati degli unionisti nordirlandesi del Dup) o le colombe europeiste, in grado di tirarsi dietro anche qualche laburista moderato. Per convincere i primi, la May ha risposto a Jeremy Corbyn ribadendo che la Brexit non verrà rinviata, a patto che il suo accordo passi, e che non si saranno né le elezioni anticipate invocate dal leader laburista né un secondo referendum. Quanto ai secondi, invece, il premier ha assicurato le garanzie del suo accordo per la tutela dei posti di lavoro, i diritti dei 3 milioni di cittadini europei già residenti nel Regno e del milione di britannici espatriati nel continente, la cooperazione con l’Ue in materia di sicurezza e difesa.

La Brexit ideale non esiste. O quantomeno è praticamente impossibile. Lo sostengono i membri del governo che appoggiano il piano di Theresa May. Tra loro, Michael Gove, mente della campagna Vote Leave e segretario di Stato per l’Ambiente, che sogna di superare il momento per potersi proporre come successore del premier. Secondo lui quelli che sognano la Brexit ideale sono come dei piacioni di mezz’età che sperano gli si pari davanti Scarlett Johansson. O Pierce Brosnan, ha ribattuto Amber Rudd, protetta di Theresa May e segretario di Stato al Lavoro e alle pensioni. O Scarlet Johansson su un unicorno, ha rilanciato ancora il titolare della Giustizia, David Gauke.

Il governo fa quadrato attorno alla May e al suo piano. Nelle ultime ore stanno iniziando pian piano ad arrivare anche alcuni deputati un tempo ribelli oggi pentiti e pronti ad appoggiare l’accordo negoziato dal premier per evitare il «no deal». Perché alla fine, dopo la discesa in campo di Bercow e le sue forzature, far saltare tutto darebbe nuove ragioni a chi considera il Partito conservatore impreparato e inaffidabile, buono solo per assistere da spettatori a lotte di potere.

Ciao, ci sentiamo giovedì prossimo. Come sempre, vi lascio qualche consiglio di lettura (i primi due sono miei articoli usciti in queste ore). 
Il figlio del tassista pachistano che forse farà le scarpe alla May
Cosa lega le vicende dello staff di Julia Montague, protagonista della serie Netflix Bodyguard, e l’uomo che potrebbe essere il futuro dei Tories. Su Nuove Radici.
Chi sono i gilet gialli inglesi che urlano fuori da Wesmister
Le ceneri degli indipendentisti dell’Ukip, gli innominabili della galassia di estrema destra. La Brexit del «no deal» è catarifrangente. Sul Foglio.
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