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Fumo di Londra, 21 febbraio 2019
«Cento settimane per dirsi addio». Episodio #95

Una nuova formazione anti Brexit
È nato The Independent Group: otto deputati laburisti e tre conservatori uniti contro il piano May. Ma quali chance avranno in futuro?

Undici deputati. Tanti quanti ne ha il gruppo dei liberal-democratici alla Camera dei Comuni, uno in più degli unionisti nordirlandesi, la stampella su cui si regge il governo conservatore di minoranza guidato da Theresa May. La bomba sulla politica britannica è esplosa lunedì, quando sette deputati laburisti hanno lasciato il partito per dare vita a una nuova formazione: The Independent Group. Dopo poche ore si è aggiunto un ottavo deputato e ieri anche tre parlamentari del Partito conservatore hanno rotto le righe e si sono sedute negli scranni a Westminster gruppo europeista.

«Breaking: the Labour party». Così, lunedì, Stephen Bush, cronista politico del settimanale della sinistra inglese New Statesman, titolava la sua newsletter mattutina. Bush ha giocato con la parola «breaking», che può sia significare «breaking news», cioè notizia appena arrivata, sia essere la forma al gerundio del verbo «break», ossia rompere. Ultim’ora: si è rotto il Partito laburista. Sette deputati un po’ nostalgici dei tempi della Terza Via laburista inaugurata da Tony Blair e Gordon Brown hanno lasciato il partito per formare un gruppo indipendente alla Camera dei Comuni: sono Luciana Berger, Chuka Umunna, Chris Leslie, Angela Smith, Mike Gapes, Ann Coffey e Gavin Shuker. A loro il giorno dopo si è unita Joan Ryan. 

Due le ragioni dietro la scelta degli otto, che hanno rifiutato di dimettersi dal loro seggio a Westminster e convocare elezioni suppletive: la questione antisemitismo e la gestione della Brexit. Entrambe hanno un unico responsabile secondo i deputati che, hanno spiegato in conferenza stampa ieri, si «vergognavano a rimanere ancora nel Labour»: Jeremy Corbyn, il leader del Partito laburista. Troppo debole in tutti e due i casi: nel contrastare i fenomeni di antisemitismo interni al partito, che dalla sua ascesa si è spostato sempre più su posizioni di sinistra radicale, e nel proporre un’alternativa credibile al piano per la Brexit voluto dal premier conservatore Theresa May. L’estate scorsa altri due parlamentari, Frank Field e John Woodcock, avevano deciso di lasciare il partito adducendo ragioni simili.

IL PIANO CORBYN
A poco più di un mese dal giorno della Brexit (il 29 marzo) e senza un accordo approvato dal Regno Unito e dall’Unione europea, un piano, Corbyn, l’avrebbe anche. Il leader laburista parte, a differenza dei ribelli e anche alla luce del suo passato mai rinnegato di euroscettico di sinistra, dall’assunto che il voto popolare del 2016 non si possa rovesciare. Per questo propone una Brexit morbida. Ma gli otto non vogliono proprio sentir parlare di Brexit, dura o morbida che sia: ricordando la tradizione europeista del Labour (tradita, dicono non senza ragioni, da Corbyn), chiedono che si tenga un secondo referendum nella speranza che venga ribaltato il voto del 23 giugno 2016 con cui la maggioranza degli elettori britannici alle urne decise che il Regno Unito avrebbe dovuto lasciare l’Unione europea. Ed è sull’opposizione a qualsiasi tipo di Brexit che speravano di convincere qualche esponente pro Ue del Partito conservatore a unirsi a loro.

John McDonnell, cancelliere ombra e uomo di fiducia di Corbyn, si è detto «deluso» dalla decisione dei sette deputati. Delusione espressa anche dal leader laburista che ha sottolineato come oggi, più che dividersi, sia «il momento di riunire le persone per costruire un futuro migliore per tutti noi». Ma dietro le sue parole si nasconde una speranza: quella, forte della ritrovato bipartitismo britannico un po’ scemato nei primi anni Duemila, di liberarsi dei nostalgici di Blair per spingere ancor più la sua agenda socialista.

Sulla questione è intervenuto nella giornata di lunedì anche Brandon Lewis, presidente del Partito conservatore, sostenendo che l’uscita dei sette deputati Brandon Lewis ha detto che le dimissioni hanno dimostrato che il Labour è «cambiato irreversibilmente sotto la guida di Jeremy Cobyn» e che per questo «non dobbiamo mai lasciargli fare al nostro Paese quello che sta facendo al Partito laburista».

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Tuttavia, ieri, anche i Tories hanno dovuto fare i conti con le defezioni. Un evento epocale vista la storica capacità dei conservatori di rimanere compatti davanti alle difficoltà: nella storia recente di Westminster, infatti, non ci sono divisioni a destra, mentre l’ultima, la più importante, è avvenuta a sinistra, negli anni Ottanta, con la nascita dalla Gang of Four (i «moderati» Roy Jenkins, David Owen, Bill Rodgers e Shirley Williams contro la deriva radicale del Labour) del Partito social-democratico, alleatosi poi con i liberali. Ma ieri tre donne, Anna Soubry, Sarah Wollaston e Heidi Allen, hanno deciso di lasciare il Partito conservatore ignorando, come ha rivelato il Times, perfino gli appelli all’unità dell’ex premier da loro mai dimenticato David Cameron. Così, dopo aver criticato per molto tempo, dall’interno, la Brexit voluta da Theresa May (in questi giorni alla ricerca di una nuova intesa con Bruxelles), si sono unite al The Independent Group . Tutte e tre in passato avevano già votato contro il piano May ma mercoledì hanno attraversato la Camera dei Comuni per sedersi nei nuovi banchi. Nella lettera con cui hanno annunciato l’uscita scrivono: «La goccia che ha fatto traboccare il nostro vaso è stata la gestione disastrosa della Brexit da parte di questo governo. Dopo il referendum del 2016 non sono stati fatti sforzi sinceri per trovare un consenso tra i partiti, figuriamoci nazionale per realizzare la Brexit». In pratica, accusano il premier May di aver ceduto agli oltranzisti pro Hard Brexit abbandonando il 48% degli elettori che votò Remain. 

In realtà, con questa mossa fanno un assist al governo pur riducendone la maggioranza a nove deputati: infatti, nuove elezioni generali sembrano allontanarsi visto che così si riduce il numero di deputati che potrebbero votare una mozione di sfiducia del leader dell’opposizione Jeremy Corbyn. Senza dimenticare che, come tutte le nuove creature politiche, The Independent Group ora punta a crescere nei consensi e organizzarsi sul territorio e per questo teme il voto in tempi brevi. 

Nei sondaggi YouGov per il Times la formazione europeista è data al 14%, dietro ai conservatori al 41% e ai laburisti al 33% ma davanti ai liberal-democratici al 10%. Se invece si guarda ai candidati, Partito conservatore ancora davanti ma con il 38%; The Independent Group sale al 26%; sprofonda al 7% il Partito laburista. I consensi, secondo YouGov, sarebbero buoni in tutte le aree del Paese e presso tutte le fasce di età. A differenza del Partito social-democratico, che aveva nelle sue fila soltanto un conservatore pentito (Christopher Brocklebank-Fowler) e che nel 1983 in alleanza con i liberali prese il 25,4% del voto popolare ma solo 12 seggi ai Comuni, The Independent Group è una formazione che potrebbe, vista la sua eterogeneità, aprire nuovi scenari nella politica britannica e nel suo bipartitismo che sembra rientrato dopo il periodo del governo di coazione tra conservatori e liberal-democratici.

Anna Soubry ha parlato di un «momentum viola» (da notare che in poche ore The Independent Group ha raccolto più seguaci su Twitter che Momentum, il movimento di base a sostegno di Corbyn che delle sue battaglie online ha sempre fatto un vanto). Va però notare come, a giudicare dai primi sondaggi e dalle prime analisi, sembra che il grosso dei consensi arrivi da sinistra e dal centro. Per questo, l’ex premier conservatore e pro Ue John Major ha avvertito del rischio di «svuotamento» del Partito conservatore a tutto favore dei «fanatici» euroscettici. Infatti, le tre deputate ex tory provengono tutte dall’ala social-liberale, che ora è sempre più in minoranza nel partito.

The Independent Group rimarrà molto probabilmente una forza a trazione ex laburista visto che i problemi del Labour, antisemitismo e posizione sulla Brexit, sono più complessi di quelli interni al Partito conservatore, nel quale, almeno fino a un eventuale «no deal» o a un cambio di leadership verso destra, riescono ancora a convivere tradizioni politiche diverse. Nella nuova formazione centrista la pattuglia conservatrice potrebbe rappresentare il vero ostacolo alla costruzione di una piattaforma politica comune. Questo gruppo potrebbe avere la forza di convincere da fuori i conservatori pro Ue a far pressioni sul premier May per evitare il «no deal» ma potrebbe poi trovare difficoltà a confrontarsi su temi diversi dalle cose europee con gli ex laburisti. 

Per provare a capire un po’ di più sul futuro di questo gruppo serve aspettare due appuntamenti. Il primo: la marcia Put It To The People del 23 marzo, a sei giorni dalla data della Brexit, il cui obiettivo è un «final say» del popolo britannico sulla Brexit. Sarà un modo per The Independent Group di contarsi. Il secondo: le elezioni suppletive di Newport West, in Galles, la roccaforte laburista ma fortemente pro Brexit che ha perso pochi giorni fa il suo deputato, Paul Flynn, morto a 84 anni. Difficilmente The Independent Group candiderà un suo rappresentante ma sarà importante valutare il risultato del Labour di Corbyn: in caso di sconfitta potrebbe essere necessario cambiare rotta.

Ciao, ci sentiamo prossimo. Intanto, vi lascio qualche consiglio di lettura.
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