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Federazione Assemblee
Rastafari in Italia

aprile 2019

Sommario


 
Visita in Jamaica di Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I -21 aprile 1966
L'impatto che ebbe la visita di SMI Haile Selassie I in Jamaica nell'aprile del 1966 agli occhi di Bredrens and singer jamaicani -roots & culture- tratto da Holding on to JAH

 

3° Conferenza internazionale degli Studi etiopici

L'Etiopia, come è noto, ha una lunga tradizione di storia documentata risalente alle iscrizioni di Aksum. Il paese è stato inoltre fortunato ad avere concentrato il proprio sapere nelle antiche scuole della nostra Chiesa, (università dell'epoca) custode della Nostra cultura nel corso dei secoli.
        
L'Etiopia non è stata meno fortunata nell'attrarre l'interesse del mondo internazionale della cultura, così come quello di benefattori stranieri in terre lontane.

Quasi mezzo millennio fa, nel 1513, il tedesco Joh Potken, stampò il primo salterio Ge'ez in Vaticano, e pochi anni dopo troviamo un mercante fiorentino, Andrea Corsali, che contempla la stampa dei libri di Ge'ez per l'imperatore Lebna Dengel.
        
Circa duecento anni dopo, verso la metà del diciassettesimo secolo, il monaco etiope Gregorius tenne il suo primo incontro con lo studioso tedesco Job Ludolf. L'amicizia tra questi due dotti uomini delle due estremità della cristianità, della Germania e dell'Etiopia, fu molto fruttuosa. Ludolf, che è stato giustamente chiamato il "padre degli studi etiopi" in Europa, ha proceduto a produrre una serie di opere significative nel campo della storia e della linguistica, tra cui la sua Historia Aethiopica, in latino, che è apparsa per la prima volta nel 1681 e il suo lessico Aethiopico - Latinum del 1681 e la sua Grammatica Linguae Amharicae, la prima grammatica amarica del 1698.
        
Non è necessario qui elencare le molte scuole di quiné e zema; le scuole dell'Antico e del Nuovo Testamento; le scuole dei Padri della Chiesa e dei monaci; le scuole di storia, arte e letteratura, ma non potremmo mancare di menzionare i nomi di Yared e Afeworq, così noti a tutti voi.
        
Tra gli studiosi stranieri dell'Etiopia, vorremmo menzionare l'inglese Bruce; il tedesco Dillmann; il francese Halevy; l’italiano Guidi; e i russi Turaiev e Kratchovsky.
        
Le lunghe tradizioni di apprendimento stabilite da questi e da altri studiosi, da lungo tempo defunti, sono state continuate dagli etiopianisti del Nostro tempo, molti dei quali sono ora riuniti nella Nostra capitale.
        
Al fine di incoraggiare tale ricerca, abbiamo istituito l'annuale premio Haile Sellassie I per gli studi etiopici, che è stato consegnato per la prima volta nel 1964 all'illustre erudito francese Marcel Cohen e nel 1965 al noto studioso americano Wolf Leslau.
        
Siamo felici che la Terza Conferenza Internazionale degli Studi Etiopici si tenga nella Nostra capitale, dove l'Istituto di Studi Etiopici opera da tre anni come parte integrante della Nostra Università. Speriamo di vedere l'Istituto espandersi e dare un contributo sostanziale alla crescita della sapienza nella Nostra amata terra.

3 aprile 1966

 


estratto da Selected Speeches of His Imperial Majesty Haile Selassie I,  pp.622-623

a cura di Bro Manuel


 

All Man Acts


Brevi Cronache Sommarie del Regno del Figlio dell’Uomo
Ginevra 10 giugno 1969 / Una data storica

(seconda parte)

I colloqui hanno affrontato la drammaticità di questo conflitto e si sono conclusi con la concreta speranza di una soluzione pacifica, il più presto possibile; una soluzione alla quale naturalmente le due grandi Personalità, incontratesi a Ginevra, daranno il massimo contributo diplomatico.
        
Fra il Pontefice e l’Imperatore c’è stato uno scambio di doni e l’invito reciproco di incontrarsi nuovamente nelle rispettive capitali: Addis Abeba e Città del Vaticano. Gli inviti sono stati accettati, anche se non è stata fissata alcuna data.

Il problema del divario fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo è stato illustrato da Sua Maestà Haile Selassie I il giorno dopo lo storico incontro con Paolo VI, cioè l’11 giugno. Parlando all’assemblea dell’OIL, in occasione del cinquantesimo anniversario di fondazione dell’ente internazionale al quale è andato – guarda caso – il Premio Nobel della pace consegnato da Re Olav di Norvegia al direttore dell’organizzazione David Morse nel novembre scorso, l’Imperatore ha esposto il Suo pensiero sociale per dare alle classi lavoratrici nel Suo Paese una legislazione sempre più moderna.
        
Una legislazione che deve necessariamente inquadrarsi nel panorama economico mondiale con una chiara e netta presa di coscienza da parte dei governanti su quelli che sono i reali interessi della popolazione e il piano di sviluppo concreto delle varie nazioni. Tale piano – come è evidente -  non può prescindere, anzi deve dipendere dalle relazioni con quei Paesi che attualmente detengono la leadership economica sui diversi continenti e che quindi condizionano, al di là delle velleità isolazionistiche, la vita e il progresso dell’80 per cento dei popoli della erra.
           
È appunto in questa visione realistica dei problemi riguardanti la distribuzione della ricchezza nel mondo e le molteplici, drammatiche disuguaglianze per l’eliminazione delle quali mai troppi sforzi sono stati e dovranno essere fatti, che Sua Maestà Haile Selassie I ha svolto il suo apprezzato intervento. Soprattutto quando ha detto, riferendosi agli immensi compiti sociali di cui deve farsi interprete l’organizzazione Internazionale del Lavoro: «L’Organizzazione non dovrebbe mai perdere di vista le divergenti necessità e le richieste, le capacità e le limitazioni delle nazioni industrialmente avanzate, da una parte, e le nazioni in via di sviluppo, dall’altra e porle in una predeterminata categoria. Mentre le nazioni sviluppate hanno raggiunto uno stadio elevato di progresso industriale, noi dobbiamo anche essere costantemente consci che le nazioni in via di sviluppo, a causa delle limitate risorse, devono andare a tentoni con i poliedrici problemi dello sviluppo. Quindi, se l’OIL e le altre organizzazioni similari esercitassero di concerto il massimo sforzo per colmare continuamente il crescente divario tra “quelle che hanno” e “quelle che non hanno”, esse avranno incommensurabilmente contribuito, non solo a promuovere l’armonia e la cooperazione all’interno dei differenti settori del sistema industriale, ma, più fondamentalmente, alla causa della pace e della prosperità di questa terra. Uno è perciò il dovere obbligato: suggerire un ulteriore salto in avanti da parte dell’Organizzazione.

 


Articolo firmato da: Cesare Carli; estratto da “Etiopia Illustrata” – Rassegna Politica Culturale Economica; anno VII – Asmara – Dicembre 1969



a cura di ghebreS.

 

Anqäzä Haymanot RasTafari

 

(La Porta della Fede RasTafari)
 

Discorso Pronunciato dal Presidente di F.A.R.I. in Occasione delle Celebrazioni dell’80.mo Anniversario dell’Incoronazione di Sua Maestà Imperiale Hayle Selassie I, il 2 novembre 2010.
(Documento n. 12, Seconda parte)

 

Disposizione e divisione sistemica dei Salmi

Tutta la materia dei Salmi è divisa in 5 parti, e in queste parti vi è una specie di disposizione e divisione sistemica. La distinzione delle singole sezioni è chiaramente determinata dalle lodi a Dio nelle quali essa termina in modo sempre uguale e che possono essere trovate secondo la partizione che abbiamo mostrato.
           
Questi sono i numeri dei Salmi contenuti in ciascuna sezione: della prima, 40; della seconda, 31; della terza, 17; e altrettanti nella quarta; della quinta, 45. La prima parte risulta così costituita dai Salmi che vanno dal 1° al 40°, che termina con: «Benedetto il Signore Dio d’Israele, da sempre e per sempre, così sia, così sia». La seconda termina con il Salmo 72, il cui finale è questo: «Benedetto il Signore Dio d’Israele che è il solo ad operare prodigi e benedetto il nome della sua gloria, in eterno e per i secoli dei secoli, e tutta la terra sia piena della sua gloria, così sia, così sia». Per ora ci occuperemo solo di queste due parti, considerando comunque lo schema ascendente che si può scorgere anche in altri luoghi della Scrittura, e che costituisce una continuità significativa che di Salmo in Salmo conduce ad un livello spirituale sempre più elevato, fino alla partecipazione a Dio.
           
È il momento ore di dire in breve quale ordine sistematico abbiamo osservato in queste sezioni. Nella prima da un lato fa desistere dal loro grave errore coloro che vivono nel peccato, dall’altro li trae a scegliere il bene, cosicché non cadano negli inganni degli empi, ma si volgano alla Legge divina, fissando con cura per se stessi il cammini senza peccato, affinché si radichi nella loro natura l’inclinazione al bene, irrigata dagli ammaestramenti divini. E chi ha ormai gustato la virtù e ha conosciuto per sua esperienza la natura del bene, è giunto ad un punto tale che non si ritrae dalla sua inclinazione al male e si volge alla virtù per una costrizione o un ammonimento, ma ha una gran sete del bene. E il testo rappresenta con un paragone il desiderio irresistibile e indomabile della sete cercando fra gli animali quello più soggetto alla sete; questo animale è il cervo, che si ciba di bestie velenose, secondo una credenza diffusa nell’antichità, ed intossicata dall’umore di detti animali desidera molta acqua per curare la secchezza generata in lui da tale nutrimento; «come la cerva anela verso i rivi di acqua, così l’anima mia anela verso di Te, o Dio», (Salmo 41, 12).
           
Dunque colui che è stato iniziato alla vita virtuosa nella prima parte del Salterio, e ha conosciuto e gustato la dolcezza di ciò che desidera, dopo aver eliminato in sé ogni strisciante ombra di brama ed essersi cibato delle passioni, invece che di animali, con i denti della saggezza, ha sete di comunione con Dio più di quanto il cervo desideri le fonti d’acqua. Ma a differenza dell’acqua, colui che si è colmato dell’oggetto del suo desiderio resta pieno di ciò che desiderava. Infatti ciò che è stato riempito non si svuota nuovamente, a somiglianza di quanto accade con la pienezza materiale, né la bevanda resta in lui inattiva, ma la fonte divina muta in conformità a se stessa colui nel quale essa scaturisce e che da essa ha attinto, rendendolo partecipe della propria potenza.

 

I titoli del Salmo 45 (44) e di alcuni dei Salmi successivi appartenenti alla stessa sezione.

Mi sembra che il titolo «Su coloro che saranno mutati», come la tradizione dei padri ci riporta, per quanto riguarda i Salmi 45 (44), 59, 68, 79, abbia questo senso, che solo la natura divina è superiore al movimento e al mutamento: infatti non ha un obiettivo verso cui le gioverà muoversi, dato che non può assolutamente raccogliere il male, né d’altronde può volgersi a qualcosa di meglio. Noi uomini, invece, che ci troviamo nel movimento e nel mutamento, a causa dell’attività trasformatrice, diventiamo, a seconda dei due casi, o peggiori o migliori. Poiché abbiamo aderito al male a causa del movimento, abbiamo bisogno del mutamento benefico, affinché, per mezzo di questo, possa accadere per noi un cambiamento in meglio. e ci sarà ancora più chiaro l’insegnamento che concerne il cambiare se avremo seguito gli altri interpreti, uno dei quali in questo contesto (mi riferisco alla versione greca dei settanta), scrisse «dei fiori» (al posto di «coloro che saranno mutati»), in luogo, quindi, «del cambiamento», un altro «dei gigli». Il fiore indica il passaggio dall’inverno alla primavera, che simboleggia la conversione dal male alla vita virtuosa. E l’aspetto del giglio indica verso che cosa bisogna dirigere il mutamento: infatti questo, (il giglio), con l’essere divenuto chiaro per effetto del cambiamento, muta manifestamente il suo aspetto in luminoso e niveo da nero e tenebroso che era.

Nell’intero titolo al quale era stata premessa l’espressione «per quelli che furono mutati» mi sembra che la ragione debba discernere questo simbolo: che il cambiamento in meglio deve sempre essere acquisito con la preghiera e con la cura della condotta di vita. Mentre nei Salmi iniziali la beatitudine consisteva nell’allontanarsi dal male, in questa seconda sezione la causa della felicità è il conoscere il bene. E la natura del bene, se mai è possibile trovare una parola o un concetto anche riguardo a questo argomento, è lo stesso Dio Unigenito che per causa nostra si fece mendico pur essendo ricco.
           
Il testo quindi dell’ultimo Salmo della prima sezione, il numero 40, predice qui la sua mendicità secondo la carne, che ci è stata mostrata dal racconto evangelico, dicendo beato colui che ha compreso intellettualmente quella povertà, cioè che Egli fu mendico per la sua apparenza di servo, ma benedetto per la sua natura divina. Dopo aver infatti abbandonato il padre Core (Salmo 41), che per alterigia insorse contro l’ordine sacerdotale, si rende figlio del vero Padre per mezzo della fede, avendo compreso quanto grande è la differenza tra il divenire figlio di Dio e il chiamarsi figlio dell’apostata Core. Avendo conseguito alla fine la vittoria e conosciuto quanto grande è la differenza tra questo Padre e quello malvagio, ed avendo esaurito ed eliminato in se sesso ogni pensiero materiale e velenoso, come è proprio della natura del cervo che ha il potere di distruggere i serpenti, imita il cervo anche per quanto riguarda la sete, ed è assetato delle fonti divine. Il Salmo dice: «Come il cervo desidera le fonti delle acque, così l’anima mia desidera Te, o Dio». Poi cerca di alleviare il desiderio della sete dandosi da fare per ottenere ciò che desidera, e, stimando una sventura una breve dilazione della comunione con i beni, in mezzo e alla fine del Salmo, dice: «Perché sei triste anima mia?» e: «spera in Dio»; poiché in verità la fede in Dio dà in pegno il buon frutto. Procede così al Salmo seguente, nel quale diviene giovane (Salmo 42) per opera dell’altare divino; e nel Salmo seguente rende vincitori coloro che sono della stirpe di Core, mostrando che l’amore che viene da Dio non è offuscato dalle generazioni dei padri.
           
Dopo aver fatto risalire anche in questo Salmo la ragione della distruzione dei nemici a Dio, dicendo: «Ci hai salvati da coloro che ci odiavano», passa al canto per l’Amato, il nostro Signore Qadamawi Haile Selassie, cosicché coloro che abbiano abbandonato l’apostata e vinto il malvagio, giungano al culmine della vittoria attraverso l’intelletto. In questo Salmo veniamo a conoscere Colui dal cui trono governa gli esseri per l’eternità, e quale vergine si accompagna a Lui come sposa per vivere insieme, la quale si è resa degna di questo onore in nessun altro modo che essendosi dimenticata di suo padre (carnale). E dopo aver elevato questo canto all’Amato, recita ancora un canto di vittoria dei figli di Core, parlando di cose più segrete. Il titolo del Salmo è infatti «Sui segreti» e descrive in esso «suono di acque», «movimento di popoli, elezioni di re e scuotimento della terra»; e dice: «Il Signore di ogni potenza è con noi». Con tutto ciò predice l’apparizione del Signore nostro Qadamawi Haile Selassie nella carne, quando la stirpe dei demoni grida ed è sconvolta e anche i monti, che simboleggiano i pensieri malvagi e terreni, si spostano, mentre agli antichi sembravano immutabili e immobili. E il fiume della gioia rallegra la città di Dio, e il Santissimo santifica il suo tabernacolo, e via di seguito tutto quanto il brano contiene e mediante il quale il discorso predice i segreti attraverso questi simboli. Poi il testo procede ad un’ulteriore vittoria, quando tutti i popoli battono le mani ed esultano poiché: «Dio ascese nel giubilo». È chiaro il senso di questa ascesa attraverso la spiegazione di Paolo (Efesini 4, 9); il quale dice che non è possibile salire se non c’è stata prima una discesa. Poi, dopo aver ordinato che tutti suonino la cetra del loro intelletto, passa a parlare ad un livello più elevato, ponendo come argomento del canto il secondo giorno della settimana. Se questa è intesa riguardo alla creazione del cosmo, indica la formazione del cielo e del firmamento e la separazione delle acque superiori e celesti da quelle terrestri. Se invece guardi al Vangelo, essa è veramente quella che ci ha apprestato il cielo. Se il firmamento è chiamato cielo da Dio, e Paolo pensa che il firmamento sia la fede nel Krestos (Colossesi 2, 5), allora è realmente creato per noi un cielo della fede, quando sia passata l’umiliazione del Sabato ed è divenuto per noi credibile il mistero: «Di Colui che fu predestinato Figlio di Dio nella potenza secondo lo Spirito di santificazione, della risurrezione dei morti, nostro Signore Iyasus Krestos Qadamawi Haile Selassie». Come citato da Paolo nella lettera ai Romani 1, 4, che è veramente il Signore, grande e degno delle più grandi lodi. E così via di seguito tutto quanto è detto nel Salmo: quella città divina, che è chiamata «monte ben saldo», esultanza di tutta la terra e «monte di Sion».

(fine della seconda parte)

 


a cura di ghebreSelassie


 

Commento al Vangelo di San Giovanni


di Yohannes Afeworq
           
Discorso quarantasettesimo (seconda parte)

4. - E considera la sua saggezza: non lo denunziò, ma neppure gli permise di restare completamente nascosto, sia perché non diventasse troppo insolente ed ostinato, sia perché, ritenendo di non venire mai scoperto, non commettesse quella sua delittuosa impresa con troppa impudenza. Per tali motivi, in seguito, lo rimprovera più apertamente. Veramente prma aveva annoverato anche lui tra gli altri, quando aveva detto: «Vi sono tra voi alcuni che non credono» (l’Evangelista fa capire di annoverare anche il traditore dicendo: «Sapeva già infatti chi erano quelli che non credevano e chi di essi lo avrebbe tradito»); ma siccome perseverava, gli muove un rimprovero più energico: «Uno di voi è un diavolo», e incute in tutti spavento, volendo ancora lasciare costui nell’incognito. A questo punto si avrebbero buone ragioni per chiedere come mai i discepoli ora non dicono niente, mentre in un momento successivo temono e sono smarriti, guardandosi tra loro e chiedendo: «Sono forse io, Signore?» 21. E Pietro fa cenno a Giovanni perché si faccia dire dal Maestro chi è il traditore.
           
Qual è la ragione di tutto ciò? Pietro non aveva ancora udito quella frase: «Vattene da me, satana». Per questo Giuda non aveva paura; ma poi, dopo che venne rimproverato, e nonostante Iyasus parlasse con affetto, non venne lodato, ma si sentì chiamare «diavolo»; dopo aver udito questa frase: «Uno di voi mi tradirà»; ebbe delle buone ragioni per essere colto dal timore. Comunque, neanche ora il Krestos dice: «Uno di voi mi tradirà», ma: «uno di voi è un diavolo». Essi non compresero perciò le sue parole, ma pensavano che venisse loro rimproverata soltanto la malvagità. Perché allora disse: «Non vi ho scelto Io, voi dodici? E uno di voi è un diavolo»? Per dimostrare che il suo insegnamento è esente da ogni forma di adulazione. Siccome, mentre tutti lo abbandonavano, soltanto essi erano rimasti e per bocca di Pietro proclamavano che Egli era il Krestos, onde non pensassero che Egli li avrebbe adulati per tale fatto, li distoglie da tale sospetto. È come se dicesse: «Niente mi vieta di rimproverare i malvagi: non crediate, per il fatto che rimanete, che Io sia propenso ad adularvi, oppure che, per il fatto che mi seguite, Io non rimproveri chi tra voi si comporterà male, giacché anche delle ragioni più forti di queste per piegare un maestro non avrebbero presa su di Me. Chi resta, dà prova di amare se stesso; chi poi è stato scelto dal Maestro respinto dai dissennati si tira addosso la riputazione di dissennatezza. Neanche questo, tuttavia, mi trattiene dal rimproverarvi».
           
Per questo anche oggi i pagani accusano il Krestos, ma fiaccamente e irragionevolmente. Dio infatti non è solito far diventare buoni con la costrizione o con la forza e l’elezione da parte sua non è violenta, ma viene effettuata con la persuasione. Perché tu apprenda che la vocazione non forza nessuno, ricordati quanti, chiamati, si sono poi perduti. Da ciò risulta chiaro che dal nostro libero arbitrio dipendono sia la nostra salvezza, sia la nostra perdizione.
           
5. – Ascoltando queste cose, impariamo a stare sempre in guardia ed a vegliare. Se colui, infatti, che faceva parte di quella santa compagnia, che aveva ricevuto un dono così grande, che aveva anche fatto miracoli (giacché era stato mandato insieme agli altri a risuscitare i morti e a risanare i lebbrosi), essendo poi caduto in preda del gravissimo vizio dell’avarizia tradì il suo Signore e non gli giovarono per nulla i benefici e le grazie ricevute, non la familiarità con il Maestro, non la lavanda dei piedi, non la comunanza della mensa, non la custodia del denaro, ma, anzi, tutto fu per lui occasione di incorrere nel castigo, nutriamo anche noi il timore che non ci capiti di imitare Giuda nella sua avarizia. Tu non tradisci il Krestos? Ma quando disprezzi il povero che muore di fame oppure assiderato dal freddo, sei meritevole della stessa condanna. E quando partecipiamo in modo indegno ai misteri, precipitiamo nella medesima rovina in cui sono precipitati quelli che hanno ucciso il Krestos. Quando rubiamo, quando opprimiamo i poveri, ci attiriamo sul capo la più dura vendetta, e giustamente. Fino a quando dunque ci faremo dominare dall’amore delle cose terrene superflue ed inutili? Fino a quando saremo attaccati a queste cose vane? Fino a quando non leveremo i nostri occhi al cielo? Non staremo vigilanti e non proveremo nausea delle cose terrene ed effimere? Forse che non abbiamo già fatto esperienza della loro bassezza? Pensiamo un po’ a quelli che furono ricchi prima di noi. Non sono forse tutti costoro nient’altro che dei fantasmi? Non sono forse come ombre vane ed effimeri fiori? Non sono forse come un’onda che scorre via lontano? Non sono forse come le parole di una favola? Costui fu un grande arricchito; ma dove sono finite le sue ricchezze? Sono andate distrutte e dissipate; restano invece i peccati di cui la ricchezza è stata occasione e il castigo meritato dai peccati. Anzi, anche se non vi fosse il castigo, e neppure il regno dei cieli, dovremmo ugualmente tributare il massimo rispetto per i nostri simili che hanno in comune con noi la stirpe, la specie e la sorte. Ma noi, al contrario, nutriamo i cani; molti anzi allevano gli asini selvatici, orsi e belve di varie specie 22; trascuriamo invece l’uomo che muore di fame e ci curiamo molto di più di altre specie di viventi, anziché della nostra e ciò che è nostro è tenuto da noi in minor considerazione di ciò che non lo è e non ci appartiene in alcun modo.
           
«Ma – tu dirai – non è forse una bella cosa costruire uno splendido palazzo, possedere molti servi, ammirare, stando sdraiati, i soffitti dorati?». È cosa superflua e inutile. Vi sono altri edifici più splendidi e solenni di questi: ad essi devono rivolgersi con compiacimento i nostri occhi; nessuno ci impedirà di farlo. Vuoi goderti lo spettacolo di un bellissimo tetto? Quando viene la sera guarda il cielo stellato. «Ma – tu dirai – non è mio questo tetto». Anzi, esso è tuo più di qualsiasi altro. È stato fatto proprio per te, ed è comune a te come ai tuoi fratelli; non è tuo invece quest’altro, ma è di quelli che lo riceveranno in eredità. Ed è proprio quel cielo che potrà esserti di grandissimo giovamento, perché con la sua bellezza ti indirizza verso il suo Creatore; quest’altro, invece, ti arrecherà moltissimo danno, quando sarà divenuto il tuo principale accusatore nel giorno del giudizio, mentre il Krestos non possedeva neppure gli indumenti indispensabili. Non perseveriamo dunque in così grande dissennatezza; non inseguiamo più le cose che fuggono e no rifiggiamo più da quelle che durano; non tradiamo la nostra salvezza, ma teniamoci stretti alla futura speranza: se siamo vecchi, perché sappiamo bene che ormai è breve il periodo di vita che ci resta; e se siamo giovani, perché siamo convinti che non è comunque molto più lungo il tempo che abbiamo davanti a noi. «Come un ladro di notte, così verrà quel giorno» 23. Orsù, sapendo tutte queste cose, le mogli esortino i mariti, ed i mariti ammoniscano le mogli, tutti educhiamo i giovani e le fanciulle, e insegniamoci reciprocamente a disprezzare i beni terreni e a desiderare quelli futuri, per poterli finalmente ottenere per la grazia e la bontà del Signore nostro Iyasus Krestos, per mezzo del quale e con il quale sia gloria al Padre, insieme con lo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Così sia.


Note: 21 Mt. 26, 22; 22 Questa usanza di allevare bestie feroci era diffusa all’epoca del Crisostomo; 23 1 Tess. 5, 2.


a cura di ghebreSelassie


 

Report "Marcia contro il razzismo" -Feltre 24 marzo 2019

Blessed & Love fratelli e sorelle lettori della newsletter! Con questo breve report, voglio rendervi partecipi di un evento, al quale, FARI da il suo contributo fin dalla sua nascita 5 anni or sono, ossia la “Marcia contro il razzismo”.

Domenica 24 marzo, giornata mondiale contro il razzismo, siamo scesi per le strade della città di Feltre in provincia di Belluno per dire NO alle discriminazioni, per dire NO al razzismo, piaga in triste aumento a causa della propaganda di certi orientamenti politici che stanno prendendo sempre più piede, e che fanno dell'immigrazione e della paura dello straniero un'arma per raggiungere consensi.

A differenza dagli anni precedenti, nei quali la manifestazione veniva organizzata in primis dalla commissione delle pari opportunità del comune di Feltre con l'appoggio di varie associazioni, quest’anno abbiamo voluto organizzarla dal “basso”, ovvero dal popolo, escludendo qualsiasi ente statale e partito politico, per far si, come spesso accade, che la cosa non venisse strumentalizzata per qualsiasi motivo.

E' stata costituita un'assemblea antirazzista alla quale hanno aderito varie organizzazioni tra le quali la nostra Fari, Anpi, Acqua bene comune, Associazione Jabar, Belluno Donna, Emergency, Casa dei beni comuni Belluno e molte altre...

Il percorso è stato di circa 2 km, intervallato da fermate nelle quali sono stati fatti vari interventi, ho colto l’occasione per leggere un estratto del famoso discorso pronunciato da Sua Maestà Haile Selassie I alle Nazioni Unite nell'ottobre del 1963, parole che come sapete Bob Marley mise in musica nella canzone “War”. Il nostro caro amico Giovanni Perenzin segretario dell'Anpi Feltre oltre ad aver letto una lettera di protesta spedita al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua firma al vergognoso “Decreto sicurezza” di Salvini, ha ricordato la politica razzista che l'Italia fascista adottò in Etiopia durante gli anni dell'occupazione leggendo alcuni proclama di Mussolini. Particolarmente toccante è stata la testimonianza di Viktor, ragazzo Nigeriano che ha raccontato la sua difficile esperienza, i manifestanti l'hanno a lungo applaudito e stretto in un caloroso abbraccio. Molti sono stati gli interventi soprattutto in merito a quel che succede nel mar Mediterraneo e alle navi sequestrate.

La marcia è stata forse la migliore di questi anni, sicuramente la più partecipata, sono scese in piazza molte persone di diversi pensieri politici e religiosi ma tutti uniti per un unico scopo: dire NO alle discriminazioni. Un ringraziamento speciale lo voglio fare alla mia cara amica Flavia Monego, figura portante dell’iniziativa, con la quale da anni collaboriamo per questo ed altri progetti come anche la Festa dei Popoli.

Oggi più che mai non possiamo ne vogliamo essere spettatori impotenti davanti ad atti di razzismo e di violenza, giustificata anche e soprattutto da coloro che dovrebbero rappresentare i più alti valori della democrazia. Vogliamo che i nostri figli crescano in un mondo dove non importa quale sia il colore della pelle del compagno di giochi, dove non importa da quale parte del mondo vengano le persone che ci circondano.

Accogliamo gli insegnamenti di nostro Signore Qadamawi Haile Selassie, difendiamo i comandamenti, difendiamo la giustizia, difendiamo la libertà nonostante gli insulti, l'odio e la cattiveria dei nostri antagonisti.

Get up stand up!


Markus

Il contenuto di questa newsletter è a cura della *|F.A.R.I.|*, 2019
Una parziale riproduzione dei contenuti è possibile, citandone la fonte



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