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Federazione Assemblee
Rastafari in Italia

maggio 2019

Sommario


 

5 MAGGIO 1941 - VIDEO TRIBUTO "RICORDANDO IL GIORNO DELLA VITTORIA" - F.A.R.I.HigherVision Prod.


 

Discorso al Congresso degli Stati Uniti d'America

Per me è un privilegio rivolgermi ad uno dei più grandi Parlamenti del mondo di oggi - dove le forze che rendono grande una delle più potenti nazioni sono state e vengono riunite e dove sono state discusse e decise questioni di importanza mondiale.
    
La portata di quel potere e influenza e la rapidità con cui avete raggiunto un tale vertice di rilevanza per il resto del mondo non hanno paragoni nella storia del mondo e superano tutti i confronti immaginabili. Duecento anni fa, mentre sto parlando, il generale George Washington vinse la battaglia di Fort Necessity, una vittoria nella graduale fusione degli Stati Uniti.
    
Che progresso fenomenale è stato fatto in quell'intervallo di duecento anni, un intervallo che - potrete perdonarmi come rappresentante di una delle più antiche nazioni del mondo - è sicuramente un passaggio sorprendentemente breve.
    
Così grandi sono il vostro potere e la vostra ricchezza che il budget di una singola città americana spesso è uguale a quello di un'intera nazione.
    
Come nel caso di altri paesi, ci avete fornito assistenza per l'affitto di prestiti durante la guerra e, allo stato attuale, sicurezza reciproca e assistenza tecnica. Eppure, così vasti sono il vostro potere e le vostre risorse che, anche dopo aver detratto tutte le spese del governo federale, avete sostenuto i costi di questa assistenza in un quarto d'ora - quindici minuti - della vostra produzione annuale.
    
Di che interesse è per voi allora, potreste chiedere, che io, il capo di ciò che deve essere per voi un paese piccolo e remoto, debba comparire davanti a voi nel bel mezzo delle vostre deliberazioni? Non intendo sottolineare perché l'Etiopia è importante per gli Stati Uniti – cosa che potete giudicare meglio da soli, ma piuttosto, per spiegarvi con brevità, le circostanze che rendono l'Etiopia un fattore significativo nella politica mondiale. Poiché gran parte della politica mondiale è oggi influenzata dalle decisioni che voi, membri del Congresso, raggiungete, qui in queste sale, forse non è poco importante che io abbia esposto queste considerazioni per voi.
 

Termini relativi 

Un momento fa, ho osservato che, per voi, l'Etiopia deve sembrare un paese piccolo e remoto. Entrambi questi termini sono puramente relativi. In effetti, per quanto riguarda le dimensioni, l'Etiopia ha esattamente l'area e la popolazione dell'intero Far-West pacifico costituito dagli stati della California, Oregon, Washington e anche dell'Idaho. Siamo lontani, forse, solo nel senso che godiamo di una posizione sicura sull'altopiano dell'Africa orientale protetto dal Mar Rosso e dalla nostra montagna. Tuttavia, dalle numerose compagnie aeree che ci collegano con il resto del mondo, è possibile arrivare a Washington da Addis Abeba in meno di due giorni. 
    
Come uno di quei particolari parallelismi storici, l'Etiopia e un ben noto paese dell'Estremo Oriente i quali godono di posizioni altamente difendibili e strategiche nelle rispettive aree del mondo, entrambe, per ragioni analoghe, contemporaneamente, all'inizio del diciassettesimo secolo, sono uscite dal loro periodo di isolamento. Come nel caso dell'altro paese, quell'isolamento si concluse nella seconda metà del diciannovesimo secolo, con questa differenza che, abbandonando la sua politica di isolamento, fu immediatamente chiamata a difendere con enormi ostacoli, i suoi mille anni di indipendenza. Anzi, tanto amara è stata questa lotta contro l'ingrandimento straniero che se non fosse stato per la nostra perseveranza e per l'enorme progresso sociale, economico e materiale che l'Etiopia ha compiuto nell'intervallo e in particolare dopo l'ultima guerra, potrebbe benissimo tornare alla sua politica di isolamento. 
    
Di conseguenza, per molti aspetti, e in particolare dopo l'ultima guerra mondiale, l'Etiopia è diventata una nuova frontiera per le opportunità di espansione, nonostante il tremendo arretramento che abbiamo sofferto nell'invasione non provocata del nostro paese diciannove anni fa e i lunghi anni di lotta senza aiuto contro un nemico infinitamente più forte. Gli ultimi sette anni hanno visto il quadruplicarsi delle nostre posizioni nel commercio estero, in valuta e in valuta estera. Le disponibilità di dollari americani sono aumentate di dieci volte. Il dollaro etiope è diventato l'unica valuta basata sul dollaro USA in Medio Oriente oggi. Le attività della nostra banca nazionale di emissione sono aumentate del mille percento. Benedetto con quello che è forse il terreno più fertile in Africa, ben irrigato, e con una grande varietà di climi che vanno dal temperato sull'altopiano, al tropicale nelle valli, l'Etiopia può crescere durante tutto l'anno le colture, normalmente coltivate solo in aree ampiamente separate della superficie terrestre. Fin dalla guerra, l'Etiopia è diventata il granaio del Medio Oriente, nonché l'unico esportatore di carne, cereali e verdura. Mentre alla fine della guerra, ogni struttura educativa era stata distrutta, oggi le scuole stanno spuntando in tutto il paese, le iscrizioni sono quadruplicate e, come nei giorni pionieristici negli Stati Uniti, e in effetti, presumo, come nelle vite di molti degli illustri membri del Congresso qui presenti, i bambini delle scuole, nel loro zelo per l'educazione, accettano ogni sorta di lavoro per guadagnare denaro con cui acquistare libri di testo e per seguire la loro educazione.
 

    Unico collegamento 

Finalmente, attraverso il ritorno nel 1952, dei suoi porti storici sul Mar Rosso e del territorio perduto dell'Eritrea, l'Etiopia non solo ha riacquisito l'accesso al mare, ma è stato uno dei pochi stati nel mondo postbellico ad aver riconquistato un territorio perduto in base ai trattati del dopoguerra e con l’applicazione di metodi pacifici.
    
Siamo così diventati una terra di opportunità in espansione dove lo spirito pioneristico americano, l'ingegno e le capacità tecniche sono state e continueranno ad essere accolte favorevolmente. Una storia millenaria di lotte per difendere l'integrità territoriale del Nostro paese, la lunga lotta per la liberazione di vent'anni fa e la recente campagna in Corea hanno dato al nostro esercito una preparazione  e uno spirito combattivo che, Io credo, possa reggere, senza timore per un confronto. 
    
Oggi, le nostre forze combattenti sono tra le più grandi e meglio addestrate in Medio Oriente. 
    
A differenza di molti altri paesi, l'Etiopia è stata a lungo una nazione di piccoli proprietari terrieri, piuttosto che di grandi latifondisti. Inoltre, una tradizione profondamente democratica ha assicurato in passato, come assicura oggi, l'ascesa al più alto posto di responsabilità nel governo, di uomini delle più umili origini. 
    
È naturale, quindi, che uno stato che esiste da tremila anni, che ha riacquistato la sua indipendenza dal sangue dei suoi patrioti, che determina la lealtà e la fedeltà anche dei suoi sudditi più umili, e che gode di un’economia incredibilmente solida, dovrebbe avere un regime di marcata stabilità in quella parte del mondo in cui oggi la stabilità è troppo spesso assente.

 

Fattore nella politica mondiale 

Tale è lo stato dell'Etiopia di oggi di cui sto parlando. È in questo contesto che desidero parlarvi dell'Etiopia come fattore della politica mondiale. La sua posizione geografica è di grande importanza, con il suo lungo litorale e il suo arcipelago di centinaia di isole. L'Etiopia occupa una posizione unica sul più ristretto ma importante delle linee strategiche di comunicazione nel mondo, quella che attraversa il Mar Rosso. Si trova anche sull'altra linea di comunicazione più strategica del mondo, ovvero la banda mondiale delle telecomunicazioni che, a causa dei fenomeni naturali, circonda il mondo all'equatore. Tuttavia, forse in un senso più ampio è la posizione geografica di importanza dell'Etiopia. Attraverso la sua posizione sulle rive del Mar Rosso e nel corno dell'Africa orientale, l'Etiopia ha profondi legami storici con il resto del Medio Oriente e con l'Africa. In questo senso si trova in una posizione completamente unica. La sua cultura e struttura sociale sono state fondate nel mescolarsi della sua cultura e civiltà originale con le migrazioni Hamitiche e Semitiche in Africa dalla penisola arabica, e, di fatto, oggi, la nostra lingua, l'Amarico, è un membro di quella grande famiglia di Hamitic e lingue semitiche e quindi, intimamente imparentato con l'ebraico e l'arabo. In effetti, un tempo l'Etiopia si estendeva su entrambi i lati del Mar Rosso e a nord fino all'Alto Egitto. Pertanto, non senza ragione, durante il Medioevo, l'imperatore era conosciuto come "colui che mantiene l'ordine tra cristiani e musulmani". Una profonda comprensione e simpatia per gli altri stati del Medio Oriente ispira naturalmente le politiche nazionali etiopiche. D'altra parte, tremila anni di storia fanno dell'Etiopia uno stato profondamente africano in tutto ciò che questo termine implica. Nelle Nazioni Unite, è stata in prima linea nella difesa degli interessi razziali, economici e sociali dell'Africa.
    

Unico collegamento 

Infine, sia culturalmente che geograficamente, l'Etiopia serve in modo unico come collegamento tra il Medio Oriente e l'Africa. Situato nel corno dell'Africa, e lungo le rive del Mar Rosso, con l'area desertica dell'Africa a nord e ad ovest, è naturale che l'Etiopia sia il filtro noto come "colui che mantiene l'ordine tra i cristiani e Musulmani ". Una profonda comprensione e simpatia con gli altri stati del Medio Oriente ispira naturalmente le politiche nazionali etiopiche, attraverso le quali le idee e le influenze del continente africano dovrebbero passare ad est e viceversa. 
    
Pertanto, la nostra prospettiva e il nostro orientamento sociale e politico sono diventati importanti non solo in termini di Medio Oriente e Africa, ma anche in termini di politica mondiale, e ciò mi porta a indicare un fattore che considero di un significato unico. Abbiamo un profondo orientamento verso l'Occidente. Una sola considerazione, anche se ce ne sono altre, sarebbe sufficiente per spiegare questo risultato. Le due Americhe e il continente europeo costituiscono insieme esattamente un terzo delle masse terrestri del mondo. È in questa porzione di terra che si concentrano i popoli della Fede Cristiana. Con rare eccezioni, il Cristianesimo non si estende oltre i confini del Mediterraneo. Qui, trovo significativo che, in realtà, in questi due terzi rimanenti della superficie terrestre, l'Etiopia sia lo stato che ha la più grande popolazione Cristiana ed è di gran lunga il più grande stato Cristiano del Medio Oriente. In effetti, l'Etiopia è unica tra le nazioni del mondo in quanto è, oggi, l'unico stato cristiano rimasto a poter tracciare la sua storia ininterrotta come una comunità cristiana dai tempi in cui l'Impero Romano era ancora una realtà vigorosa.
 

Forza unificante 

La forza della tradizione Cristiana è stata di vitale importanza nella Nostra storia nazionale e come forza per l'unificazione dell'Impero d'Etiopia. È questa forza che ci dà, tra gli altri paesi del Medio Oriente, un profondo orientamento verso l'Occidente. Leggiamo la stessa bibbia. Parliamo un linguaggio spirituale comune.
    
È questa eredità di ideali e principi che ha escluso dal nostro conscio, anzi, dai nostri processi inconsci, la possibilità di scendere a compromessi con quei principi che riteniamo sacri. Abbiamo cercato di rimanere fedeli ai principi del rispetto dei diritti degli altri e del diritto di ogni persona a un'esistenza indipendente. Noi, come voi, siamo profondamente contrari all'uso non-Cristiano della forza e siamo, come voi, attaccati a un concetto di risoluzione pacifica delle controversie.
    
La nostra lotta solitaria prima dello scoppio dell'ultima catastrofe mondiale, in quanto, in effetti, la nostra recente partecipazione agli sforzi congiunti e il glorioso cameratismo in armi in Corea ci hanno segnato, come voi, nel dare più di un sincero servizio a questi ideali. È la vostra profonda comprensione dei nostri ideali e delle nostre lotte in cui è stato mio privilegio condurre, a volte non senza crepacuore, il Mio amato popolo, e il nostro comune cameratismo che ha posto una base sicura e duratura per l'amicizia tra un grande e un piccolo paese.

 

Ampi rapporti

L'anno scorso, abbiamo concluso con voi un nuovo trattato di amicizia, commercio e navigazione progettato per assicurare alle imprese commerciali americane maggiori opportunità in Etiopia. La nostra valuta basata sul dollaro è volta ad assicurare il pronto ritorno negli Stati Uniti dei profitti dei loro investimenti. Abbiamo affidato alle imprese americane lo sviluppo della nostra aviazione civile che ha superato tutte le aspettative. Alle imprese americane abbiamo confidato lo sfruttamento delle nostre risorse petrolifere e dei nostri depositi d'oro. Sebbene il mio paese sia distante 8.000 miglia dalla costa orientale degli Stati Uniti, le esportazioni statunitensi verso l'Etiopia hanno, nonostante questo pesante handicap, spinto in avanti in prima linea in Etiopia. Al contrario, gli Stati Uniti sono al primo posto tra i paesi verso i quali esportiamo. L'Etiopia ha, dalla provincia di Kaffa, dato al mondo il nome e il prodotto del caffè. Il caffè che si beve raggiunge il suo sapore americano unico e piacevole almeno in parte attraverso la miscela aggiunta di caffè etiope. Le scarpe americane sono prodotte, almeno in parte, da pelli di capra etiope esportate principalmente negli Stati Uniti. D'altra parte, ci avete fornito un sostegno prezioso, non solo nell'assistenza prestata durante la guerra, e oggi attraverso accordi di mutua sicurezza e assistenza tecnica, ma ci avete anche aiutato con forza a ottenere la rettifica delle ingiustizie di lunga data. Se oggi il territorio fratello dell'Eritrea si è finalmente unito sotto la corona e se l'Etiopia ha riguadagnato le sue coste sul Mar Rosso, ciò è dovuto in gran parte al contributo degli Stati Uniti d'America. Sono felice di cogliere questa occasione per esprimere a voi, il Congresso che ha approvato questa assistenza, l'apprezzamento sincero e duraturo della mia gente.
 

Sicurezza reciproca 

Questa collaborazione con l'Occidente e con gli Stati Uniti in particolare ha assunto forme ancora più ampie. Esiste la nostra collaborazione militare basata sul programma di mutua sicurezza. Se escludiamo il gruppo atlantico, l'Etiopia è stato l'unico stato del Medio Oriente a seguire l'esempio degli Stati Uniti nell'invio di forze in Corea per la difesa della sicurezza collettiva. 
    
Così facendo, l'Etiopia è stata ispirata da una visione più ampia della sua pre-occupazione con politiche o vantaggi regionali. Quasi due decenni fa, personalmente ho assunto prima della storia la responsabilità di mettere il destino delle Mie amate persone sulla questione della sicurezza collettiva, perché sicuramente, in quel momento e per la prima volta nella storia del mondo, questa questione era posta in tutta la sua chiarezza . La mia ricerca di coscienza mi ha convinto della correttezza del mio corso e se, dopo un'incalcolabile sofferenza e, in effetti, senza aiuto, la resistenza al momento dell'aggressione ora vediamo quella conferma finale di quel principio nella nostra azione congiunta in Corea, posso solo essere grato che Dio mi ha dato la forza di persistere nella nostra fede fino al momento della sua recente gloriosa rivendicazione. 
    
Noi non consideriamo questo principio come un'accusa di non aver difeso la nostra patria fino all'ultima goccia di sangue, e in effetti, le nostre stesse battaglie negli ultimi due decenni testimoniano la nostra convinzione che in materia di sicurezza collettiva come di Provvidenza " Dio aiuta chi si aiuta ".
 

Principio universale 

Tuttavia, Noi sosteniamo che da nessuna parte la richiesta di aiuto contro l'aggressività può essere rifiutata da qualsiasi stato grande o piccolo che sia. Se non è un principio universale non è affatto un principio. Non può ammettere l'applicazione regionale o essere di competenza regionale. Questo è il motivo per cui noi, come voi, abbiamo inviato truppe in Corea da tutte le parti del mondo. Dobbiamo affrontare questa responsabilità per la sua applicazione ovunque possa sorgere in queste ore difficili della storia globale. Fedele al sacro ricordo dei suoi patrioti caduti in Etiopia e in Corea in difesa di questo principio, l'Etiopia non può fare altrimenti.
 
Il mondo ha cercato incessantemente e si è sforzato di applicare un sistema per assicurare la pace del mondo. Molte soluzioni sono state proposte e molte hanno fallito. Oggi il sistema che abbiamo sostenuto e con il quale il nome dell'Etiopia è inseparabilmente associato ha, dopo i suoi sacrifici di due decenni fa, i suoi recenti sacrifici con gli Stati Uniti e altri in Corea, finalmente dimostrato il suo valore. Tuttavia, nessun sistema, nemmeno quello della sicurezza collettiva, può avere successo a meno che non ci sia non solo una ferma determinazione ad applicarlo universalmente nello spazio e nel tempo, ma anche a qualunque costo. Avendo applicato con successo il sistema di sicurezza collettiva in Corea, dobbiamo ora, ovunque nel mondo la pace è minacciata, perseguire la sua applicazione più risolutamente che mai e con l'accettazione coraggiosa dei suoi oneri. Abbiamo il sacro dovere verso i nostri figli di risparmiare loro i sacrifici che abbiamo conosciuto. Invito il mondo alla determinazione senza timore ad applicare e ad accettare come voi e Noi abbiamo accettato - i sacrifici della sicurezza collettiva.

È qui che la Nostra comune eredità Cristiana unisce due popoli in tutto il mondo in una comunità di ideali e sforzi. L'Etiopia cerca solo di affermare e ampliare quella cooperazione tra le nazioni che amano la pace. 

 

26 maggio, 1954


estratto da Selected Speeches of His Imperial Majesty Haile Selassie I,  pp.109-118

a cura di Bro Manuel


 

Il ritorno di SMI ad Addis Ababa il 5 maggio 1941

Il 19 gennaio 1941, il giorno stesso in cui Platt 1 riconquista Cassala e Cunningham 2 muove all’attacco della Somalia, l’Imperatore Haile Selassie I giunge, con un gruppo di dignitari e con la sua scorta, a Umm Idla, una località sul fiume Dinder, a pochi chilometri dalla frontiera etiopica. Il momento tanto atteso dal Negus Negast di rimettere piede nella propria terra è dunque finalmente giunto. Alle 12, 40 del 20 gennaio, Egli attraversa la frontiera e inizia quella marcia di quasi mille chilometri che lo porterà ad Addis Abeba.
    
A una quarantina di chilometri all’interno dell’Etiopia il convoglio imperiale si ferma. Sua Maestà Imperiale ha deciso di celebrare il significativo evento con una cerimonia, nel corso della quale passa in rivista le guardie d’onore del II Battaglione etiopico, issa con le proprie mani la bandiera con il Leone di Giuda e ascolta il messaggio di felicitazioni del generale Platt, lettogli da Chapman-Andrews 3. Assistono alla cerimonia, che si svolge nel letto asciutto del fiume Dinder, i due figli maggiori del Sovrano, Asfa Uossen e Makonnen, il vecchio Ras Kassa, l’Ecceghiè Ghebre Ghiorghis 4, il Degiac Makonnen Endelkacciou 5, Lorenzo Taezaz 6, Orde Wingate 7. Ma l’evento è troppo importante perché lo si celebri soltanto con riti formali. Per renderlo indimenticabile S. M. I. Haile Selassie I diffonde nella stessa giornata un decreto ed un appello. Due fra gli atti più nobili ed avveduti della sua lunga “carriera di statista”. Con il decreto di San Michele, dal santo del giorno, l’Imperatore concede un’amnistia generale a tutti gli etiopici che lo hanno osteggiato e li invita a ravvedersi, a rivolgere le loro armi «contro il nemico che è venuto per distruggere la vostra razza, derubarvi delle vostre proprietà, sminuire la vostra fama, contaminare il vostro sangue. Sradicatelo dalla faccia dell’Etiopia» 8.
    
Con il secondo documento, l’Imperatore estende il perdono anche agli italiani. Si tratta di un appello, al quale gli etiopi risponderanno in larghissima misura, che dice, fra l’altro: «Io vi raccomando di accogliere in modo conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno con o senza armi. Non rimproverate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo. Mostrate loro che siete dei soldati che possiedono il senso dell’onore ed un cuore umano. Non dimenticate che durante la battaglia di Adua i coraggiosi guerrieri etiopici che hanno consegnato al loro Imperatore i prigionieri italiani hanno aumentato l’onore e nobilitano il nome dell’Etiopia […]. In modo particolare vi raccomando di rispettare la vita dei bambini, delle donne e dei vecchi. Non saccheggiate i beni altrui, anche se appartengono al nemico. Non bruciate case. Quando vi ordino di rispettare tutto ciò, lo faccio perché il mio cuore mi dice che il popolo etiopico non è inferiore a nessun altro nel rispetto delle leggi di guerra» 9.
    
Mentre dei messi vengono inviati nel Goggiam, nel Beghemeder, nel Lasta, nell’Ermacciò per diffondervi i proclami dell’Imperatore, la carovana imperiale si rimette in marcia. Il primo obiettivo da raggiungere è il monte Belaiya, duecento chilometri all’interno dell’Etiopia, ma Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I vi arriverà soltanto il 6 febbraio, perché la pista attraverso il paese degli Hamèg e dei Gunza è pressoché impraticabile, e sarà la tomba di migliaia di cammelli delle carovane di rifornimento. 
    
Raggiunto il monte Belaiya, che costituisce il primo gradino dell’altipiano, l’Imperatore vi si ferma una ventina di giorni, nel corso dei quali riceve la sottomissione del fitaurari Zellechè Birrù e di altri notabili della regione e viene raggiunto da tutti i reparti della Gideon Force. 
    
A questo punto, il Sovrano può finalmente valutare l’entità della forza che Londra gli ha messo a disposizione, ed in realtà questa è più che modesta. Essa comprende 70 tra ufficiali e sottufficiali inglesi. 800 etiopi del II Battaglione addestrato a Karthoum e 800 sudanesi del Sudan Frontier Battalion. Con i 500 uomini del suo seguito, Sua Maestà Haile Selassie I non dispone quindi, in totale che, di 2170 soldati, dotati di buone armi leggere, ma senza artiglieria e con quattro mortai in tutto. E tuttavia, come si vedrà, la Gideon Force riuscirà ad aprirsi la strada in una regione presidiata da 35 mila italiani, spesso bluffando o ricorrendo alla guerra dei nervi, in qualche occasione battendoli in campo aperto, grazie soprattutto all’astuzia, alla perizia e alla temerarietà di Orde Wingate.
    
Dopo diverse peripezie, Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I giunge a Debre Marcos che lascerà il 27 aprile per dirigersi alla sua capitale con la Gideon Force quasi al completo. Il suo viaggio verso Addis Abeba, però, più che una marcia trionfale, si rivela un lento e mesto pellegrinaggio ai luoghi che più gli ricordano le sofferenze del suo popolo. Sulla piazza di Ficcè, dove sono stati fucilati due dei figli di Ras Kassa, sosta a lungo in preghiera. E lo stesso atto di pietà compie pochi chilometri più avanti, nella solitaria valletta dove sono caduti, falciati dalle mitragliatrici del generale Maletti, monaci e diaconi del convento di Debre Libanos.
    
Il 5 maggio 1941, a cinque anni esatti dall’ingresso di Badoglio in Addis Abeba, l’Imperatore arriva sulle verdi colline di Entoto, in vista della capitale. Ma vincendo l’impulso di bruciare in pochi istanti gli ultimi chilometri, si ferma ancora una volta a pregare nella chiesa di Entoto Maryam, sepolta fra gli eucalipti. Durante la sosta, ricorda la relazione britannica, «gli ultimi 50 cammelli della carovana, esausti dopo la lunga fatica, vennero uccisi sulle colline dominanti la capitale. Gli scheletri degli altri 15 mila segnano le tappe dell’avanzata dal Sudan». Wingate è riuscito a procurare all’Imperatore un bellissimo cavallo bianco, ma il Sovrano, frenando “l’impulso romantico”, preferisce prendere posto in un’auto scoperta, di preda bellica. In sella al cavallo sale perciò il colonnello Wingate, che apre la marcia. Sono le 15, 30. 
  
Subito dopo Entoto, la strada prende rapidamente a scendere. Ecco, sulla destra, la chiesetta di Cusquàm Maryam e, più avanti, il ghebì di Ras Desta 10, ecco le prime case della città-foresta. A questo punto, la colonna imperiale assume questa formazione. In testa, alcuni motociclisti e tre autoblinde sud-africane. Seguono l’auto con altoparlante di George Steer 11, due camion rossi dei vigili del fuoco con i corrispondenti di guerra, Wingate sul suo cavallo bianco, il II Battaglione etiopico, un drappello di polizia a cavallo etiopica che circonda la vettura sulla quale siedono Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I e il generale Wetherall, le macchine con i Ras, i Principi, gli alti Prelati, Dan Sandford, Chapman-Andrews, Lorenzo Taezaz. Chiudono il corteo il Sud Frontier Battalion e altre autoblinde. La colonna avanza lentamente tra la folla in delirio, che agita migliaia di bandierine con i colori tradizionali e lancia i tradizionali elleltà. Ad arginarla, ad impedire che si precipiti addosso alla macchina dell’Imperatore, sono schierati i patrioti di Ras Abebe Aregay, con i capelli lunghi sulle spalle, i capelli che non si sono più tagliati, per voto, dal giorno in cui si sono dati alla macchia. Dovrebbero essere non più di settecento, secondo gli ordini di Cunnigham, e invece sono settemila e forse di più. E nonostante questo, non accade alcun incidente, non viene torto un capello agli italiani. 
    
Uno dei luogotenenti di Abebe Aregay, Taddesse Zewolde, forse il solo etiopico che abbia raccolto in un libro il ricordo di queste ore indimenticabili, riferisce che il corteo imperiale impiega più di mezz’ora a percorrere l’ultimo chilometro: «La folla è come impazzita, applaude, lancia gli elleltà, si china a baciare la terra. Uomini e donne piangono, e il rumore delle grida e degli applausi è così forte che diventa impossibile comunicare con la parola» 11. Soltanto Yilma Deressa 12, che siede accanto a Steer e dispone dell’altoparlante può farsi sentire. Ogni due o tre minuti, la sua voce scandisce queste parole: «Cinque anni fa, in questo giorno, gli italiani entrarono nella nostra città per uccidere e saccheggiare. Oggi, a cinque anni di distanza, il nostro Re ritorna, con l’aiuto di un Dio giusto e dell’Inghilterra» 13.
    
A ricevere Sua Maestà, dinanzi alla scalinata del vecchio Palazzo di Menelik, c’è Sir Alan Cunnigham con un drappello di King’s African Rifles che presenta le armi. Alcune strette di mano, molti inchini, qualche squillo di tromba, 21 colpi di cannone sparati da una batteria catturata agli italiani e il lungo viaggio del Re dei re, iniziato un anno prima a bordo di un Sanderland inglese, è terminato. Ma c’è una cosa che Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I vuole ancora ripetere alla folla che lo acclama. Nel lungo discorso, che Egli pronuncia alle 17 e che rievoca la lunga serie di aggressioni dell’Italia, le stragi di Graziani, i duri anni dell’occupazione fascista, la rivolta degli Arbegnuoc e la fulminea marcia della Gideon Force, l’Imperatore rinnova l’appello di Debre Marcos: «Poiché oggi è un giorno di felicità per tutti noi, dal momento che abbiamo battuto il nemico, rallegriamoci nello spirito di Krestos. Non ripagate dunque il male con il male. Non vi macchiate di atti di crudeltà, così come ha fatto sino all’ultimo istante il nostro avversario. State attenti a non guastare il buon nome dell’Etiopia» 14. 
    
Mentre imbrunisce, comincia a cadere la pioggia. Una pioggia fitta, insistente, che lava l’immensa città-foresta, che ristora, che disperde la fola e chiude la grande giornata di passione. Nel vecchio Palazzo di Menelik restano soltanto i maggiorenti, etiopi ed inglesi, a sorseggiare lo champagne della vittoria. Sulle colline, tutt’intorno alla città, stanno ardendo migliaia di fuochi. Ma questa volta sono fuochi di gioia, non roghi di case e di raccolti. E l’Imperatore, toccato da questo e dagli altri episodi dell’intensa giornata, confessa ad un amico straniero: «Vraiment, j’ai étè tres émotionné» 15.

 


Note: 1 Il Magg. Gen. William Platt era il comandante delle forze alleate in Sudan. 2 Il generale Alan Cunnigham era il comandante di tutte le forze alleate dell’Africa orientale.  3 Edwin Chapman-Andrews era un diplomatico inglese e sincero amico dell’Imperatore. 4 Ecceghiè è il titolo del capo dei monaci etiopi. 5 Degiasmac Makonnen Endalkacciou era un intellettuale etiope ed un fine letterato; in seguito divenne ministro. 6 Era il segretario di Sua Maestà.7 Orde Charles Wingate era un esperto ufficiale inglese. 8 G. L. Steer, giornalista inglese di origine sud-africana; la citazione è tratta dal suo libro Caeser in Abyssinia, p. 122. 9 Dall’intervista di Marcel Griaule a Sua Maestà, pubblicata sulla rivista Vù con il titolo: La civilisation de l’Italie fasciste en Ethiopie, cap. I p. 9. 10 Ras Desta Demteu, era il genero dell’Imperatore avendone sposato la primogenita, Principessa Tenagne Worq. 11 Il libro si intitola: Yabalascign zemen, (L’epoca dei carnefici). 12 Segretario di Ras Emru. 13 G. L. Steer, op cit. p. 205. 14 Per il testo completo del discorso si vedano: T. Zewolde, op. cit., pp. 92-7; G. L. Steer, op. cit., pp. 206-11. 15 Christopher Sykes, Orde Wingate, p. 307.
(Liberamente tratto da: A del Boca, “Gli italiani in Africa orientale – III. La caduta dell’impero”; ed Mondadori, 1992)


a cura di ghebreS.
 


 

Anqäzä Haymanot RasTafari


(La Porta della Fede RasTafari)

Reasoning e letture tenute in occasione del 115.mo anniversario del genetliaco di Sua Maestà Imperiale Qadamawi Haile Selassie, Luce di questo mondo, il 23 luglio 2007
(documento n. 13, prima parte)

 

Nel Nome del Padre che vede tutto e che nessuno può vedere. Nel Nome del Figlio, vittima sacrificale per la redenzione del mondo, Vivente e Regnante nei secoli e per i secoli. Nel Nome dello Spirito Santo, Consolatore e Fortificatore delle nostre anime.
           
Uno è il padre Santo. Uno è il Figlio Santo. Uno è lo Spirito Santo. Tre in Persone, Un solo Dio.
Benedetto è il Figlio Unigenito Iyasus Krestos nella Sua seconda Venuta, così come era stato annunciato nei libri delle Sacre Scritture, e benedetto il Suo Nome Nuovo, Santo e Misterioso Qadamawi Hayle Selassie.
           
Oggi, celebrando e santificando l’anniversario della Nascita terrena del nostro Salvatore, siamo uniti ed in comunione con tutti i veri Rastafariani, sparsi in tutti gli angoli del pianeta e con tutte le persone che, anche inconsapevolmente, compiono la Sua Volontà.
           
Sebbene le celebrazioni ufficiali nazionali, a cura dell’A. P. R. I., si stanno svolgendo contemporaneamente anche nei pressi di Venezia (approfitto subito per inviare il più fraterno e caloroso saluto ed augurio ai nostri confratelli e consorelle che lassù sono uniti nella preghiera e nella lode, affinché la benedizione dell’Onnipotente sia con tutti noi, suoi servi), non potevamo esimerci dal dovere di celebrare nella maniera più degna possibile e dal riunire tutti i fratelli qui presenti nella gioia per questo Santo Giorno.
           
Sebbene nella limitazione che il tempo ci consente, innalzeremo un minimo di lodi, ringraziamenti e preghiere con devozione, umiltà e dal profondo del nostro cuore.
           
Che il Signore Tafari Makonnen, che ci ha donato grazia e misericordia, sin dal suo primo vagito, accolga la nostra supplica, sempre ci guidi e ci ispiri, e sia con tutti noi. Sia fatta la sua volontà!

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Nel redigere questo semplice messaggio, che ho ritenuto opportuno preparare, per onorare questa santa festività, ho appositamente scelto di non accostarmi ad uno stile esegetico, citando ed interpretando fra le infinite citazioni e profezie bibliche riguardanti il nostro Signore e Salvatore, preferendo per questa occasione, esprimere e stimolare la gioia dei nostri cuori. Potrei definire questo messaggio: un telegramma di lodi e congratulazioni al Signore dei Signori. E, come ricorda Bro. W. Rodney, the african postman, teleghram say: Sons and daughters of His Imperial Majesty Haile Selassie, Earthright Full Ruler …
           
Telegramma ai figli e alle figlie di Sua Maestà Imperiale: Come ci insegna il nostro profeta Davide nel Salmo 77, 1-3: «Ascoltate, o mio popolo, la mia legge e porgete il vostro orecchio alla parola della mia bocca. Io aprirò la mia bocca con parabole e dirò le similitudini del passato, tutto ciò che noi udimmo e che vedemmo e ciò che ci dissero i nostri padri».

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Cominciamo ora, con il suo stesso aiuto, a parlare un poco della Nascita eccelsa di Sua Maestà Haile Selassie, della sua stirpe secondo la carne e di qualche avvenimento fra i tanti.
           
L’Etiopia aveva già conosciuto, nella sua lunga storia, il flagello della fame e delle epidemie, ma nessuna carestia era paragonabile alla “Grande Fame” esplosa nel 1888 e conclusasi soltanto nel 1892.
           
Secondo il dott. Wurtz, che realizzò la sua prima inchiesta epidemiologica, un terzo della popolazione era perita, mentre il bestiame, che costituiva l’unica ricchezza del Paese, era andato perduto per il 90 per cento.
           
Le regioni più colpite furono: il Tigray l’Uollo. l’Amhara, lo Scioa, il Goggiam e l’Harar, con effetti tanto disastrosi da suggerire ad un anonimo poeta questi versi:
           
«Invece di spighe sul campo ondulato, tristemente stan ritte pietre sepolcrari».
«La gente morendo di fameannotava lo storico Afeworq Ghebre Iyasus -  cominciò a cadere e a giacere nelle vie, nei boschi, intorno ai recinti delle chiese e delle case dei dignitari … Ai morti la sepoltura fu un lusso».
           
Un altro storico, Ghebre Sellassie, ricordando che i bovini erano quasi scomparsi ovunque, riferiva che la gente si adattava a cibarsi anche di carne impura.
           
Alla grande fame si erano accompagnate le epidemie di tifo, colera, vaiolo e dissenteria. I contadini non avevano più la forza di lavorare i campi e li abbandonavano. Quel poco che cresceva era divorato dalle locuste, dai bruchi e dai topi. Le bestie feroci andavano dappertutto divorando anche uomini a piedi.
           
Dinanzi questo spettacolo desolante, l‘Imperatore Menelik era stato udito proclamare: «Oh come il mio Paese è caduto in rovina! Il mio popolo è finito!» e per salvare i superstiti aveva aperto i granai imperiali e aveva confiscato i cereali ai grandi proprietari terrieri.
           
Nell’ultimo anno della Grande Fame, il 23 luglio 1892, ad Ejarsa Gora, sulle pendici del monte Abdullah, nella provincia di Harar, nacque Lij Tafari Makonnen. Tutti gli anni. Ras Makonnen, padre del Fanciullo, portava la sua famiglia ed il suo seguito ad Ejarsa Gora per sfuggire all’afa, alle febbri tifoidi e alle altre malattie che infuriavano soprattutto in quella stagione. Qui, su una verde collina, che guardava una vallata fertile, egli aveva fatto costruire una grande casa di fango e canne, con elementi di ricercatezza che non erano comuni in Etiopia a quel tempo: aveva davanti una grande veranda dove egli poteva ricevere i suoi capi quando venivano a pagargli il tributo, ascoltare le lamentele e fare da paciere e, al fresco della sera, bere il suo tej con i suoi fedeli servitori e osservare gli avvoltoi e i corvi volare in cerchio in cielo.
           
Nel 1892 vi venne presto, perché sua moglie, Wayzero Yeshimabet (Signora di Mille o di Migliaia), aspettava un bambino ed egli sperava che i venti freschi avrebbero aiutato un buon proseguimento della gravidanza.
           
Ras Makonnen desiderava ardentemente questo Figlio*. Così, Wayzero Yeshimabet, fu tenuta con ogni cura a Eyarsa Gora fino al momento del parto.
           
Mentre la levatrice Lo aiutava a venire alla luce, i primi vagiti di Tafari furono coperti da lampi e tuoni e da scrosci torrenziali di pioggia: un augurio favorevole in un Paese dove la pioggia è sempre benvenuta, perché le donne alzassero le loro voci di lode, mentre le labbra del Bambino venivano unte con il burro rituale, tutti i fucili del villaggio lasciassero partire una salva disordinata, venissero uccisi animali e preparati tej e talla e i festeggiamenti cominciassero.
           
Quaranta giorni dopo lij Tafari e sua madre furono portati in lettiga ad Harar, per il battesimo nella Chiesa Ortodossa. Benché le piogge avessero trasformato il sentiero in un fiume di fango rosso e i piccoli corsi d’acqua in torrenti, fu tuttavia un solenne corteo. Spingendosi a ventaglio dietro la processione, venivano i giovani del seguito di Tafari, vestiti in camicie colorate, con pelli di leone o di leopardo gettate sulle spalle, criniere di leone intorno alle teste, con le spade ricurve che lampeggiavano e i fucili che sparavano mentre galoppavano spavaldamente nel fango.
           
In ogni villaggio lungo il percorso i capi portavano birr e talla per la folla e tej per i funzionari, e tutti gli abitanti chinavano il capo, mentre le donne battevano le mani e gridavano urla di gioia.
           
Appena fuori le mura della città di Harar, lo stesso Ras Makonnen aspettava l’arrivo di suo Figlio. Si chinò sulla sella e prese tra le braccia il Bambino, si mise alla testa del corteo, entrando con esso in città.
           
L’Imperatore Menelik aveva mandato dei regali, i capi erano arrivati dalla campagna con i loro tributi. Vi furono altri festeggiamenti; e Ras Makonnen pronunciò molte preghiere di ringraziamento per la felice nascita di suo Figlio.

(fine della prima parte)


*come ardentemente lo aspettiamo noi nell’ultimo giorno, e così come lo aspettavano e anelavano a questo giorno i martiri, i giusti, i santi, i profeti, gli Apostoli, i prigionieri, i perseguitati, gli angeli del cielo e tutte le potenze celesti, e pregavano insieme all’Apostolo Giovanni: «Signore vieni» ed Egli rispondeva in spirito: «Ecco, vengo presto».


a cura di ghebreSelassie
 


 

Commento al Vangelo di San Giovanni


di Yohannes Afeworq
           
Discorso quarantottesimo

        Dopo questi fatti, Iyasus percorreva la Galilea. Non voleva trattenersi in Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava infatti la festa giudaica dei tabernacoli1
           

1. – Niente è peggiore dell’invidia e del livore; in tal maniera la morte è entrata nel mondo. Il diavolo, vedendo che l’uomo era tenuto in grande onore, non potendo sopportare la sua felicità, fece di tutto per rovinarlo 2. E si può vedere come ovunque da siffatta radice si produce tale frutto. Così anche Abele venne ucciso, così anche Davide corse pericolo di morte e la stessa sorte toccò a molti altri giusti; a causa di questo vizio, poi, i Giudei divennero uccisori del Krestos. E per dimostrare ciò, l’Evangelista diceva: «Dopo questi fatti, Iyasus percorreva la Galilea. Non poteva trattenersi in Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo».
           
Ma che dici, beato Giovanni? Non poteva colui che può tutto quello che vuole? Colui che disse: «Chi cercate?» e, respingendoli indietro, li stese a terra? Colui che non si fa vedere quando è presente, non ebbe in questo caso tale potere? Come mai, più ardi, in mezzo ad essi, nel tempio, durante la festa, mentre si trovavano riuniti ed erano presenti anche quelli che lo avrebbero ucciso, parlava di ciò che maggiormente li esasperava? I discepoli si meravigliarono di ciò, e dicevano: «Non è Lui che cercano di uccidere? Eppure, guarda! Parla pubblicamente e non gli dicono niente». Che enigmi sono questi? Lungi da noi tale idea; egli non disse queste cose perché venissero considerati degli enigmi, ma per dimostrare di aver dato un saggio sia delle opere della divinità, sia di quelle dell’umanità. Dicendo infatti che non poteva, parla di Lui come di un uomo che compiva molte cose in modo umano, dicendo poi che Egli stava in mezzo a loro e non lo prendevano, indica chiaramente la potenza della sua divinità. Giacché fuggiva come uomo, compariva in mezzo ad essi come Dio, compiendo realmente l’una e l’altra cosa. Il fatto stesso di trovarsi in mezzo a quelli che gli tendevano insidie senza farsi prendere, dimostrava la sua invincibile potenza; col ritirarsi, poi, confermava la fede nella sua incarnazione, tanto che neanche Paolo di Samosata, né Marcione, né tutti gli altri infetti della loro eresia, avrebbero da dire qualcosa in contrario. Con queste parole, insomma, chiude la bocca a tutti.
           
«Dopo questi fatti c’era la festa giudaica dei tabernacoli». L’espressione «dopo questi fatti» non significa altro se non che era trascorso molto tempo da allora. Ciò risulta evidente dal fatto che, quando il Krestos sedeva sul monte, come narra l’Evangelista, era la festa di Pasqua, mentre qui parla della festa dei tabernacoli. Durante il periodo di cinque mesi l’Evangelista ha descritto e ci ha riferito soltanto il miracolo dei pani e il discorso che rivolse a quelli che li avevano mangiati, eppure Iyasus non smise di fare miracoli e di esporre la sua dottrina, non soltanto di giorno e di sera, ma spesso anche di notte. Proprio così ebbe i primi approcci con i discepoli, come tutti gli evangelisti narrano. Perché dunque omisero tutto questo? Perché non potevano raccontare tutto. D’altra parte essi ebbero cura di parlarci di questi episodi dai quali sarebbe poi emersa qualche contraddizione od opposizione da parte dei Giudei. Difatti molti altri episodi erano simili a quelli. Scrissero spesso che guariva gli ammalati, risuscitava i morti e che destava ammirazione: ma descrivono queste cose solo quando hanno da dire qualcosa di nuovo, oppure quando debbono riferire delle obiezioni e dei rimproveri che costoro gli hanno mosso. Ne dà un esempio ora, narrandoci che i suoi fratelli non gli credevano, cosa questa che ha un contenuto alquanto odioso. Ammirevole è poi la loro grande sincerità, e come non abbiano alcun timore nel riferire cose che appaiono lesive della reputazione del loro maestro; è ammirevole, anzi, come essi si preoccupino di narrarci tale episodio, a preferenza di molti altri. Ora dunque Giovanni, omettendo di citare manifestazioni soprannaturali, miracoli e discorsi, passa subito a narrare questo episodio. I suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e vattene nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che fai. Uno che vuole mettersi in vista, non lavora certo di nascosto. Se fai queste opere, manifestati al mondo». Neppure i suoi fratelli credevano in Lui 4. «Come si può parlare in questo caso – mi chiederai - di incredulità, dato che lo pregano di compiere prodigi?». Effettivamente incredulità esiste ed è grande, giacché le loro parole, la loro audacia, la loro sfrontatezza e insolenza, denotano chiaramente l’incredulità. Credevano infatti di potergli rivolgere la parola con estrema libertà, grazie alla loro parentela. Sembra si tratti di un’esortazione amichevole, ma le parole sono piene di asprezza, perché lo accusano di timidezza e di vanagloria. Dicendo: «Uno… non lavora certo di nascosto», assumono la veste degli accusatori, rinfacciandogli la sua timidezza e avanzando sospetti sul suo operato; aggiungendo poi: «Vuole mettersi in vista», mostrano di sospettare in Lui il desiderio di vanagloria.
 
2. – Considera invece la potenza del Krestos. Tra coloro che dicevano tali cose, vi fu il primo vescovo di Gerusalemme, il beato Yaqob a, di cui Paolo dice: «Non ho visto nessun altro degli apostoli, all’infuori di Yaqob,fratello del Signore 5. E si narra che anche Giuda destò molta ammirazione. Anche costoro erano presenti a Cana, quando avvenne il prodigio del vino, allora però non ne trassero alcun profitto. Come si spiega la loro grande incredulità? Per il fatto che in loro c’erano cattiva volontà e invidia, giacché tra parenti accade di solito che chi eccelle viene invidiato da quelli che non sono altrettanto dotati. Ma chi chiamano qui col nome di discepoli? La gente che lo seguiva, non i Dodici. E che disse il Krestos? Osserva con quanta mansuetudine rispose. Non disse, ad esempio: «Chi siete voi che mi date questo consiglio e pretendete insegnare a Me?». Che cosa disse invece? «Il tempo mio non è ancora venuto» 6.  Mi sembra che con queste parole voglia sottintendere qualche altra cosa. Forse costoro, spinti dall’invidia, studiavano il modo di consegnarlo ai Giudei: per questo, svelando ciò, Egli dice: «Il mio tempo non è ancora venuto», cioè il tempo della croce e della morte. Perché vi affrettate ad uccidermi prima del tempo? «Il tempo vostro è sempre pronto». Cioè, i Giudei, anche se vi trovate sempre insieme a loro, non vi uccideranno, perché condividete le loro opinioni; essi invece tenteranno subito di uccidere Me. Pertanto voi potete stare sempre con loro senza pericolo; per Me invece verrà il tempo in cui dovrò essere crocifisso e morire.
           
Che Egli intenda dire ciò, risulta evidente da quel che segue: «Non può il mondo odiare voi» 7. E perché dovrebbe odiarvi, se volete le stesse cose, se mirate agli stessi scopi. «Odia Me, perché Io testimonio di lui che le sue opere sono cattive». Cioè: perché lo metto alle strette, lo biasimo, sono odioso ai suoi occhi.
           
Apprendiamo da queste parole a reprimere la collera e il risentimento, anche se quelli che ci danno consigli sono spregevoli. Infatti, se il Krestos sopportò con mansuetudine il consiglio degli increduli, sebbene costoro gli consigliassero cose sconvenienti e per di più non fossero rette le loro intenzioni, quale perdono potremo ottenere noi, che siamo terra e cenere e, malgrado ciò, mal sopportiamo quelli che ci danno dei consigli, quando chi fa ciò è di condizione un po’ più modesta della nostra, perché la riteniamo cosa irriguardosa nei nostri confronti? Nota dunque con quanta mitezza Egli respinge la loro accusa. Ad essi che gli dicono: «Manifestati al mondo», risponde: «Non può il mondo odiare voi; odia Me», respingendo così la loro accusa. «Sono tanto lontano – Egli dice – dal cercare la gloria degli uomini, che non smetterò di rimproverarli, anche se so che i miei rimproveri mi tirano addosso odio e morte». «Ma in quale occasione – tu dirai – li rimprovera?». Piuttosto, quando mai smise di fare ciò? Non diceva forse: «Non crediate che Io vi accuserò presso il Padre. C’è chi vi accusa, Mosè», e ancora: «Ma vi ho conosciuto, che non avete in voi l’amore di Dio», e di nuovo: «Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio»? Non vedi come Egli dimostra in ogni occasione che l’odio se l’è tirato addosso per il fatto che li rimproverava con tutta franchezza, non per il fatto che non rispettava il sabato?
           
Ma perché manda costoro alla festa, dicendo: «Voi salite pure alla festa, Io non salgo ancora» 8? Dice così per mostrare che non si era espresso in tal modo per scusarsi o per essere adulato, ma per permettere ai Giudei di osservare il loro rito. E perché poi va alla festa, mentre aveva detto: «Io non salgo ancora»? Sta di fatto che non disse semplicemente «non salgo», ma «Io non salgo ancora», cioè, con voi, «perché il mio tempo non è ancora compiuto». Eppure, doveva essere crocifisso nella prossima Pasqua. Perché dunque non salì con loro? Se non vi si recò, perché non era ancora venuto il suo tempo, non avrebbe dovuto andarci per niente. Ma Egli non vi si recò per sostenere patimenti, ma per istruire quelli che là erano convenuti. Perché vi salì di nascosto? Egli infatti avrebbe potuto benissimo andarvi pubblicamente, stare in mezzo a loro e respingere il loro violento assalto, come fece spesso. Ma non voleva comportarsi così troppo frequentemente, giacché, se fosse salito là, sotto gli occhi di tutti, e avesse eluso ancora una volta la loro sorveglianza, come se fossero dei ciechi, avrebbe fatto risaltare troppo chiaramente la sua divinità, cosa che allora sarebbe stata inopportuna, e, anzi, l’avrebbe svelata completamente. Ma siccome costoro ritenevano che Egli fosse trattenuto dalla paura, dimostrò loro, al contrario, che Egli agiva coraggiosamente e insieme prudentemente, e che era consapevole del tempo in cui avrebbe subito i patimenti; quando esso fosse venuto si sarebbe recato spontaneamente a Gerusalemme. Mi sembra infine che le parole «voi salite pure», significhino: «Non crediate che Io voglia costringervi, vostro malgrado, a restare con Me», e che l’aggiunta «il mio tempo non è ancora compiuto», significhi che era necessario che accadessero degli altri miracoli e che venissero pronunziati altri discorsi, in modo che molta più gente tra il popolo credesse in Lui e i discepoli, costatando la costanza e la fiducia del Maestro, nonché i patimenti che avrebbe subito, divenissero sempre più forti.
           
3. – Da quello che è stato detto, impariamo finalmente la grandezza della sua bontà e della sua mansuetudine. «Imparate da Me, che sono mite e umile di cuore» 9 e reprimiamo in noi ogni aspro risentimento. Se qualcuno ci insulterà, comportiamoci umilmente, se qualcuno ci aggredirà rabbiosamente, cerchiamo di ammansirlo e se ci morderà e ci pungerà sul viso con lo scherno e col motteggio, non abbattiamoci e non roviniamoci, col voler rendergli il contraccambio. L’ira è veramente una belva, una belva feroce e focosa. Intoniamo pertanto tra noi i cantici della divina Scrittura, e diciamo: «Sei terra e cenere» 10 e: «di che si insuperbisce la terra e la cenere?» 11, e ancora: «l’impeto della collera è la sua rovina» 12 e: «l’uomo iracondo non è modesto» 13. Niente infatti è più ripugnante della vista di un uomo reso furibondo dalla collera, niente è più sgradevole. E se tale è nell’aspetto esteriore, a maggior ragione lo sarà nell’animo. Come quando si rimescola lo sterco, il fetore si diffonde, così se l’ira agita l’animo ne nascerà vergogna e molestia.
           
«Ma – tu dirai – io non sopporto un’ingiuria che proviene dai nemici». Perché mai, di grazia? Se uno di essi dicesse la verità, dovresti pentirti anche al suo cospetto ed essergliene grato, se poi mente, non far caso di quel che ha detto. Ti chiama povero? Mettiti a ridere. Ti definisce ignobile o sciocco? Compiangilo. Infatti «chi dirà al suo fratello “stolto”, sarà sottoposto alla geenna del fuoco» 14. Se ti insulta, pensa al supplizio che lo aspetta e non solo reprimerai la tua ira, ma verserai anche lacrime per lui. Non ci si adira infatti da chi è colto da febbre violenta o è spossato da un accesso morboso acuto, ma si commisera e si compiange chiunque si trovi in tali condizioni. Somiglia a questi, infatti, l’animo adirato. Ma se vuoi vendicarti, taci, e lo colpirai così nella parte più vulnerabile. Se, invece, rintuzzerai l’insulto con un altro insulto, non farai altro che dare nuova esca all’incendio. «Ma – tu dirai – se taceremo, saremo accusati di viltà d’animo». Non ti accuseranno di viltà, anzi tutti ammireranno la tua saggezza. Se invece ti adirerai per un’ingiuria, farai pensare che siano vere le cose di cui ti si accusa. Perché, di grazia, il ricco ride se si sente chiamare povero? Non è forse perché ha la certezza di non trovarsi in povertà? Se dunque anche noi rideremo così delle ingiurie che riceviamo, questa sarà la prova più efficace che abbiamo la certezza di non avere i difetti di cui ci accusano.
           
Prescindendo da tutto ciò, fino a quando avremo timore delle accuse degli uomini? Fino a quando disprezzeremo il Signore di tutti e saremo attaccati alle cose materiali? «Infatti, essendo tra voi gelosia e contesa, non siete voi carnali?» 15. Cerchiamo dunque di essere spirituali, teniamo a freno questa belva, che è la peggiore di tutte. Nessuna differenza vi è tra l’ira e la pazzia furiosa, ma essa fa diventare come dei demoni, sia pure per breve tempo, anzi, peggiori degli indemoniati. All’indemoniato, infatti, è concesso il perdono: l’iracondo invece meriterà mille castighi, perché di sua spontanea volontà si getta nel precipizio della perdizione, anzi, prima ancora di essere gettato nella geenna, comincia a scontare la pena qui, venendo tenuto in agitazione di notte e di giorno, nel perpetuo tumulto e nel bollore insopportabile dei suoi pensieri. Per liberarci dunque dal castigo su questa terra e sulla vendetta futura, scacciando da noi questo vizio, manifestiamo in ogni circostanza grande mansuetudine, per trovare riposo alle nostre anime, qui e nel regno celeste; voglia il cielo che tutti noi riusciamo a tanto, per la grazia e la bontà del Signore nostro Iyasus Krestos, per mezzo del quale e con il quale sia gloria al Padre, insieme con lo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Così sia.

 


Note: 1 Gv. 7, 1-2; 2 Cf. Sap. 2, 24; 3 Nel titolo si legge, nel testo greco «non voleva»; ma da questo passo si deduce che il Crisostomo aveva letto, nel titolo stesso: «non poteva», dizione che successivamente venne cambiata dai copisti in quella sopra indicata; 4 Gv. 7, 3-5; 5 Gal. 1, 19. Abbiamo qui tradotto con Yaqob al posto di Giacomo; difatti quest’ultimo nome compare solo nella versione italiana della Bibbia. Che Yaqob, fratello del Signore, fosse da annoverarsi tra i fratelli che non credevano, è una notizia riportata solo dal Crisostomo; 6 Gv. 7, 6; 7 Gv. 7, 7; 8 Gv. 7, 8; 9 M. 11, 29; 10 Gen. 3, 19; 11 Eccli. 10, 9; 12 Eclli. 1, 19; 13 Prov 11, 25; 14 Mt. 5, 22; 15 1 Cor. 3, 3.


a cura di ghebreSelassie


 

Global Alliance for justice -Ethiopian Cause-

Breve presentazione dell’Organizzazione “Global Alliance for Justice – Ethiopian Cause
           
Rispettabili fratelli ed amici, in seguito alla missiva inviatoci da parte di questa organizzazione internazionale contenente un riconoscimento alla nostra Federazione, che pubblichiamo qui di seguito, volevamo fornirvi alcune informazioni relative alla Global Alliance for Justice – Ethiopian Cause.
           
In accordo con la Convenzione Internazionale sui genocidi e con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e per l’onore dovuto alle vittime ed ai sopravvissuti del genocidio etiopico del 1935-1941, la “Global Alliance for Justice – Ethiopian Cause” sta cercando di ottenere le scuse ufficiali da parte delle Autorità Vaticane e dallo Stato Italiano, attraverso un riconoscimento di quella tragedia, sia per un senso di equità e sia per un giusto risarcimento al popolo etiopico per quello che gli compete. Inoltre l’Organizzazione si sta prodigando per il diritto di veder riconosciuto e annotato dalle Nazioni Unite il genocidio etiopico negli annali dei suoi memoriali e dei suoi archivi, sebbene per così tanto tempo questo sia stato ignorato, affinché questa storia mai raccontata e documentata possa essere preservata in futuro all’intera umanità mondiale. A tale scopo è stata anche lanciata anche una petizione, che potrete sostenere all’indirizzo qui sotto riportato.

 

«L’intento fascista è stato quello di sterminare tutta la vita in Etiopia» 

Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I (30 giugno 1936)


Sono ormai diversi anni che abbiamo stabilito delle relazioni con questa organizzazione, sin dalla infelice erezione del famigerato monumento (mausoleo) al criminale di guerra Rodolfo Graziani nel piccolo paese di Affile, in provincia di Roma. Da allora abbiamo stabilito una lunga serie di corrispondenze e di reports dove informavamo puntualmente l’organizzazione sugli accadimenti e gli esiti processuali di tale questione. In questi anni le relazioni tra di noi, in particolar modo, con il responsabile e coordinatore della Global Alliance, Ato Kidane Alemayehu, si sono fatti molto intense e, direi, fraterne, ed è nata una sincera amicizia. Il nostro impegno, in cui ci siamo prodigati insieme all’ANPI, all’Associazione della Comunità Etiopica in Italia, a diversi giovani antifascisti del territorio e ad altri, per la condanna dei responsabili di quel vile atto neo-fascista e per l’abbattimento di quell’indegno monumento, è stato molto apprezzato, sostenuto e divulgato da Ato Kidane, dal Principe Ermias (rappresentante della Corona Etiopica in esilio) e da molti altri, Etiopi e non, che ne sono venuti a conoscenza. Per questo siamo grati al Signore nostro Ababa Janhoy che ci ha sostenuto e ispirato in questa giusta battaglia, alla quale abbiamo dato il nostro modesto ma sentito contributo.
           
Come molti di voi forse già sanno, in seguito a due successivi gradi di giudizio, l’ultimo dei quali (processo di appello), avvenuto il 14 marzo scorso, sia il sindaco di Affile e sia due dei suoi assessori sono stati condannati penalmente per apologia del fascismo ed anche ad un risarcimento a favore dell’ANPI che li aveva denunciati.
           
Aggiungo a queste poche righe il recapito del Sig. Kidane e l’indirizzo web della sua organizzazione: Ato Kidane Alemayehu, 3352 Broadway Blvd, n. 477, Garland Texax 75043, USA; globalallianceforethiopia.org/newIndex.html


ghebreSellassie

 

Il contenuto di questa newsletter è a cura di *|F.A.R.I.|*, *|2019|*
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