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CON LO SGUARDO E IL CUORE DI DIO
«Ho veduto l’afflizione del mio popolo» Esodo 3,7
 
La storia della salvezza comincia con uno sguardo compassionevole di Dio verso il suo popolo. Di amore sono impregnati gli occhi di Dio, che si alimentano alla misericordia del suo cuore. È così che tutta la vicenda della alleanza tra Dio e l’uomo, attraverso la chiamata di Mosè e il suo invio a liberare Israele dall’Egitto, muove i primi passi. Dio guarda il mondo da un preciso punto di vista: egli vede sempre i più piccoli, i più deboli, gli afflitti della terra, e dalla loro prospettiva si pone in relazione all’umanità. Si è rivolto a Mosè solo dopo che questi ha conosciuto la propria inadeguatezza e il proprio peccato. Così pure il Signore ha guardato don Ottorino e ciascuno di noi conoscendo molto bene la nostra fragilità. Siamo amati da Dio fin dal momento in cui Egli volge i suoi occhi alla nostra piccolezza. E lì scopriamo di essere preziosi. Non abbiamo meriti da vantare. 
Le nostre conquiste e i nostri successi hanno certamente già conosciuto la stagione del fallimento e della delusione, come per Mosè. Eppure sta proprio in quel frangente il mistero di uno sguardo misericordioso, profondamente liberante, che torna a posarsi su di noi e a consegnarci la nostra bellezza. Una logica irragionevole, che scardina i criteri meritocratici dell’amore umano. Il suo amore è tutta gratuità!
In Gesù riconosciamo il compimento di tanta bontà divina. Se Dio ha avuto da sempre uno sguardo privilegiato per coloro che soffrono e piangono, in Gesù questo cuore traboccante di amore si è manifestato in pienezza. Fino a generare scandalo. Gesù ha visto e scelto i poveri e i peccatori, le prostitute e i pubblicani, i bambini e le vedove. Gesù ha pianto con chi piange e gioito con chi è nella gioia. Gesù ha imparato nella casetta di Nazareth l’arte di vibrare in sintonia con i cuori degli emarginati e degli esclusi, apprendendo dal cuore di Mamma Maria la sensibilità degli umili.
Ecco perché don Ottorino ci invita a frequentare anche noi ogni giorno la casa di Nazareth. Con la consuetudine nel rapportarci al fanciullo, al giovane, all’uomo Gesù di Nazareth scopriremo di essere guardati sempre con infinita tenerezza proprio negli angoli del nostro intimo che più ci fanno soffrire e ci spaventano. E questo sguardo di benevolenza, sciogliendo in lacrime le nostre durezze e rigidità, ci renderà capaci a nostra volta di vedere il pianto degli afflitti, di sceglierli come nostri compagni di cammino, di uscire più coraggiosi ad accendere il fuoco dell’amore nel mondo.

Come vivere, allora, la Parola dell’Impegno di vita di questo mese?
Nella nostra preghiera, immaginiamo ogni giorno di stare nella casetta di Nazareth e lì chiediamo occhi e cuore per vedere e scegliere di dedicare del tempo durante la giornata con una persona che soffre ed è afflitta.
 

DON OTTORINO
 
 
Per regolare la vostra vita entrate spesso a Nazareth

Dovere incendiare il mondo. È Dio che lo vuole. Sviluppate i doni che Dio vi ha dati. Siate umili come la Madonna, ma consci della vostra missione, che essendo di conquista esige il pieno sviluppo della vostra personalità. Se vi tufferete nella volontà di Dio ed avrete sempre un grande desiderio di scomparire in Lui non troverete pericolosa per la vostra umiltà la necessaria azione apostolica sopra il candelabro. Siate sempre apostolici e sempre pronti ad inserirvi nel mondo. Non siete del mondo, ma necessariamente dovete stare nel mondo. Dio ha messo tante cose meravigliose nel mondo. L’uomo le scopre e come un bambino le usa egoisticamente. È vostro compito ricordare l’amore del Padre che tutto ha messo nelle nostre mani, materia ed intelligenza, affinché compiendo l’opera creatrice divina fossimo partecipi di una azione sì grande e trovassimo motivo di elevazione per iniziare quel cantico di lode che dovrà continuare per tutta l’eternità. Per regolare la vostra vita entrate spesso a Nazareth e lì a contatto con Gesù e con Maria vi accorgerete subito se siete accordati con la fede, povertà, purezza e con tutte le altre virtù necessarie ad un apostolo.(II Testamento Spirituale - 9 agosto 1963)
 
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