Dark Pattern
Fin dalla notte dei tempi, a tutte le latitudini, ci sono sempre state persone che hanno provato a imbrogliarne altre, in vari ambiti. Oggi questa cosa è organizzata e pianificata anche nel mondo dell’interfacce digitali. Vengono realizzati flussi, wireframe, A/B test e interfacce per indurre un utente a comprare qualcosa che non voleva, sottoscrivere un abbonamento senza accorgersene, a non cancellare il proprio account perché troppo complicato. A questo modo di fare, lo UX designer inglese Harry Brignull nel 2010 ha dato un nome: dark pattern.
Un dark pattern non è un design sbagliato. È qualcosa che viene progettato per sfruttare abitudini, modelli mentali e principi di percezione visiva, con l’obiettivo di far compiere a un utenti azioni che non intendeva compiere.
Grandi aziende tecnologiche oggi progettano allo stesso tempo interfacce estremamente semplici e altre complicatissime. Amazon anni fa ha introdotto (e brevettato) “l’acquista con un click”. Il sistema che permette di acquistare un prodotto con un solo click, senza compiere nessun’altra azione, velocizzando i passaggi e, volendo, incentivando l’acquisto compulsivo. Se da un lato Amazon facilita e riduce i passaggi che permettono ad un utente di acquistare un prodotto, allo stesso tempo gli rende la vita difficile se vuole eliminare il proprio account. Per farlo bisogna contattarli, come scrivono nella sezione dedicata in “Aiuto”, senza specificare troppo. L’intera procedura richiede circa 10 passaggi. Per non perdersi servono video tutorial su YouTube, pagine di WikiHow e articoli di Aranzulla.
Harry Brignul per spiegare meglio i dark pattern ha creato un sito web, darkpatterns.org, e li ha classificati in 12 tipologie. Di recente uno studio dell’Università di Princeton ha analizzato più di 11.000 siti di e-commerce individuando 1.841 dark pattern ricorrenti. Lo studio li ha poi organizzati in sette categorie, che non si allontanano troppo dalle tipologie di Brignul.
Tutti i giorni ci confrontiamo con almeno una di queste.
- I costi nascosti nel carrello (pratica usata spesso, tra gli altri, dalle compagnie aeree e noleggio auto);
- i costi aggiunti al carrello, che richiedono di essere disattivati (come nelle fasi di acquisto di Live Nation e Ticketmaster);
- le domande volutamente confuse che inducono all’errore (capita spesso quando ci si registra a qualche servizio. Trenitalia usa questo approccio per indurti a comprare il biglietto più caro);
- il forced continuity, quando attiviamo una prova gratuita e allo scadere ci viene addebitato l’abbonamento senza alcun preavviso;
- il confirmshaming, quando alla richiesta di un’azione il semplice “no grazie” è formulato in modo da mettere a disagio l’utente. (Su Tumblr c’è una raccolta di confirmshaming);
- l’impossibilità di compiere un’azione, come il non poter rispondere “no” alla richiesta di attivare le notifiche di Instagram;
- l’abuso di scarsità e urgenza per affrettare l’acquisto, (pratica molto usata da Booking, per citare grandi aziende).
Su darkpatterns.org c’è la sezione Hall of Shame che raccoglie esempi di dark pattern di tutte le tipologie.
I dark pattern non sono presenti solo nel mondo digitale, ma anche in quello fisico, sopratutto nel packaging. Su Reddit il canale AssholeDesign raccoglie sia esempi digitali che analogici, come questo panino di Pret A Manger o questa scatola di smalti.
L’uso di dark pattern dà l’illusione di guadagnare di più (più iscritti, più acquisti) nel brevissimo periodo, ma appena si scoprono fanno perdere subito la cosa più preziosa che un’azienda possiede, la fiducia degli utenti. Difficile poi da riconquistare.
P.S. Nei mesi scorsi un senatore degli Stati Uniti ha proposto di regolamentare l’uso dei dark pattern.
Per approfondire
Per approfondire l’argomento segnalo la puntata del podcast di NOIS3 dedicata ai dark dattern, qualche articolo e qualche sito che raccoglie vari esempi.
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