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15 settembre 2022

Africana

La newsletter sull’Africa a cura di Francesca Sibani

La regina Elisabetta II (in primo piano) con il presidente ghaneano Kwame Nkrumah (dietro di lei, con il completo marrone scuro) al mercato di Accra, la capitale del Ghana, dicembre 1961. (Popperfoto/Getty Images)

Il passato non si cancella La morte nel Regno Unito della regina Elisabetta II, lo scorso 8 settembre, all’età di 96 anni, ha inevitabilmente riportato al centro del dibattito pubblico l’eredità dell’impero coloniale britannico, con i suoi crimini rimasti impuniti e le rivendicazioni di quei paesi che ne fecero parte. Il nuovo re, Carlo III, è anche il capo del Commonwealth, una libera associazione di 56 paesi, in cui vivono 2,5 miliardi di persone. In origine il Commonwealth riuniva le ex colonie britanniche diventate indipendenti, mentre oggi accoglie anche paesi che non hanno legami storici con la corona (come il Ruanda e il Mozambico), ma che vogliono beneficiare di un’ampia rete di influenze. Carlo è ufficialmente capo di stato di altre 14 nazioni (nessuna africana) oltre al Regno Unito. Alcuni di questi paesi ora potrebbero approfittare del cambio ai vertici per emanciparsi definitivamente dalla corona, dando seguito a rivendicazioni decennali, com’è il caso di alcuni stati caraibici o dell’Oceania (ne parla un articolo del New York Times che pubblichiamo su Internazionale questa settimana).

Dal punto di vista formale, a partire dalla fine degli anni cinquanta la rottura dei paesi africani (Ghana, Nigeria, Kenya, solo per citarne alcuni) fu più netta. Ma sotto Elisabetta II il Regno Unito cercò in tutti i modi di mantenere degli stretti legami con le ex colonie. Jeune Afrique racconta come la giovane sovrana insistette per visitare il Ghana nel 1961 (nella foto), nonostante la situazione non fosse esattamente calma, e ballò insieme al presidente Kwame Nkrumah, in un’epoca in cui la segregazione razziale era ancora diffusa in molte parti del mondo. Il timore era che il governo di Accra si avvicinasse troppo a Mosca.

Secondo commentatori come il keniano Patrick Gathara, la regina resterà comunque il simbolo di un’istituzione che avrebbe potuto fare molto di più e avrebbe potuto rompere il silenzio sui crimini imperiali. In particolare su quelli commessi in Kenya, dove negli anni cinquanta fu repressa con metodi estremamente brutali la rivolta anticoloniale dei mau mau. Londra ha cercato per molti anni di coprirli, distruggendo e occultando documenti ufficiali. Questi misfatti sono stati resi pubblici solo una decina di anni fa, quando alcuni reduci mau mau hanno fatto causa al governo britannico. “Tutti gli imperi sono violenti”, sostiene la storica Caroline Elkins, autrice di Legacy of violence. A history of the British empire. E quello britannico non ha fatto eccezione, anche se al suo tramonto è stato rappresentato da una personalità pacata e molto ammirata come quella di Elisabetta II.

  • Chi prepara le scuse Il governo dei Paesi Bassi ha detto che è pronto a chiedere scusa per il ruolo svolto dal paese nel commercio degli schiavi, in particolare attraverso la Compagnia olandese delle Indie occidentali. Intende inoltre finanziare un fondo (fino a 200 milioni di euro) per progetti che hanno l’obiettivo di far conoscere i danni e le conseguenze della tratta. L’anno scorso la sindaca di Amsterdam Femke Halsema aveva presentato scuse formali per il ruolo della sua città nel commercio degli schiavi. Questa settimana il premier Mark Rutte era in visita in Suriname, un’ex colonia olandese. In un editoriale il Christian Science Monitor esprime apprezzamento per il tentativo olandese di rispondere delle colpe del passato.

Tornando in Kenya Il 13 settembre circa 60mila persone hanno presenziato alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente William Ruto allo stadio di Nairobi. Non era presente il suo rivale Raila Odinga, che continua a nutrire “seri dubbi” sulla vittoria di Ruto, nonostante sia stata confermata dalla corte suprema. L’imprenditore di 57 anni Rigathi Gachagua ha giurato come vicepresidente. Decine di persone sono rimaste ferite nella calca allo stadio. Alla cerimonia erano presenti decine di personalità di tutto il continente, tra cui l’imprenditore nigeriano Aliko Dangote, considerato l’uomo più ricco dell’Africa. C’era anche Brahim Ghali, il leader sahrawi, anche se Ruto ha poi precisato che non riconosce l’indipendenza del Sahara Occidentale.

Supermercati vuoti in Tunisia Nel paese c’è una grave penuria di zucchero, burro, carburanti, acqua minerale, e presto scarseggeranno anche latte e pane. Il clima nel paese è sempre più teso e le proteste notturne agitano alcuni centri urbani e quartieri popolari intorno alla capitale Tunisi. In alcuni ambienti intellettuali e politici, scrive il quotidiano panarabo Al Araby al Jadid, si è diffusa la convinzione che le condizioni economiche e sociali siano peggiorate dopo che il presidente Kais Saied ha concentrato tutti i poteri su di sé. “L’autunno della rabbia sta arrivando in Tunisia”, commenta il giornale. Il 10 agosto l’agenzia tunisina Tap ha fatto sapere che almeno dodici persone hanno perso la vita in un naufragio avvenuto pochi giorni prima al largo di Mahdia. Negli stessi giorni le autorità tunisine avevano intercettato altre imbarcazioni di migranti con a bordo circa cinquecento persone.

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In breve:

  • Etiopia Il Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) ha fatto sapere l’11 settembre di voler partecipare ai colloqui di pace con il governo etiope, promossi dall’Unione africana. Il 13 settembre un raid governativo su Mekelle, capoluogo del Tigrai, ha colpito il campus dell’università. Qualche giorno dopo un altro bombardamento sulla città ha ucciso dieci persone.
  • Mozambico Secondo il bollettino di notizie Mozambique news reports & clippings, i ribelli Al Shabab attivi nella provincia del Cabo Delgado (nord) dalla fine di agosto hanno ricominciato ad avanzare verso sud. Nei loro attacchi hanno ucciso 17 persone, tra cui la missionaria italiana Maria De Coppi. Un recente studio realizzato dall’Institute for security studies di Pretoria, in Sudafrica, sostiene che i cittadini del Cabo Delgado imputano lo scoppio della ribellione alla scoperta e alla cattiva gestione delle risorse naturali dell’area: gas naturale e rubini. Dal 2017 più di quattromila persone sono state uccise e altre 800mila hanno dovuto abbandonare le loro case.
  • Nigeria I furti di carburante hanno fatto perdere al paese il primo posto nella classifica dei paesi produttori di petrolio in Africa. Oggi il primo produttore è l’Angola, scrive Jeune Afrique. Ad agosto la produzione è scesa sotto la soglia del milione di barili al giorno, il livello più basso da decenni.
  • Uganda Le autorità di Kampala hanno dato il via libera al festival di musica elettronica Nyege Nyege (15-18 settembre), uno dei più importanti dell’Africa orientale. Il parlamento aveva bloccato la manifestazione, perché sosteneva che “promuovesse l’immoralità”. Ma il ministero dell’informazione ha poi accordato i permessi necessari per non perdere i benefici derivanti dal turismo. Negli anni scorsi il festival aveva attirato decine di migliaia di persone.
  • Cinema Al festival del cinema di Venezia, che si è chiuso l’11 settembre, la regista francosenegalese Alice Diop ha vinto il Leone d'argento (gran premio della giuria) e il premio per la miglior opera prima con il film Saint Omer.

Focus

In un campo profughi vicino a Gode, in Etiopia, 6 aprile 2022. (Eduardo Soteras, Afp)

La fame e la guerra Nel Corno d’Africa “la carestia è alle porte, a meno di una mobilitazione internazionale immediata”, si legge in un editoriale dell’Irish Times che pubblichiamo questa settimana su Internazionale. “L’ultima volta che una carestia è stata dichiarata in Somalia, nel 2010-2011, le vittime sono state 250mila. I dati di oggi sono già terribili. A scatenare l’emergenza in una delle regioni più povere del mondo è stata la siccità, ma le cause reali sono più ampie e profonde”. Questa regione dell’Africa, come il resto del continente, sconta i danni gravissimi causati dai cambiamenti climatici che hanno rarefatto, se non cancellato, le piogge stagionali. Ma allo stesso tempo subisce le conseguenze della guerra in Ucraina, che ha fermato le esportazioni di cereali e altri generi alimentari.

A questo proposito, lo studioso di relazioni internazionali e africanista Alex de Waal firma un articolo sulla New York Review of Books in cui fa notare che le peggiori crisi alimentari nel mondo di oggi (lui cita in particolare Etiopia, Sud Sudan e Yemen) sono essenzialmente legate a dei conflitti, in cui le parti in guerra usano la fame come arma per indebolire i loro avversari. Questa pratica è antica, sostiene De Waal, e non è mai stata sanzionata dal diritto bellico, anche per l’opposizione di alcune grandi potenze. Sarebbe quindi il caso di intervenire e includere la riduzione alla fame tra i crimini di guerra.

Segnalazioni

  • Aspettando il festival di Ferrara Da più di quindici anni l’autrice senegalese-statunitense Selly Thiam raccoglie le storie di persone queer in Africa e nella diaspora per farle uscire dall’invisibilità. Dal 2013, anche grazie al lavoro di centinaia di attivisti lgbt in tutto il continente, ha creato il podcast Afroqueer con l’obiettivo di esplorare la vita delle persone non eterosessuali, le loro relazioni amorose e il modo in cui le leggi dei paesi in cui vivono condizionino le loro vite. Al festival di Ferrara (30 settembre-2 ottobre), per la rassegna Mondoascolti, porta due tra i migliori episodi di AfroQueer: Dakan e Ghana 21. Il 1 ottobre Thiam parteciperà anche all'incontro Gridalo forte! con l’attivista e scrittrice ugandese Stella Nyanzi e il poeta zimbabweano Sam Ndlovu.

  • Da vedere Al festival del cinema di Toronto è stato presentato l’ultimo film di Biyi Bandele, un apprezzato regista nigeriano, morto il 7 agosto a 54 anni. Il film si chiama The king’s horseman, è una produzione Netflix, ed è tratto da una nota opera teatrale dello scrittore Wole Soyinka, La morte e il cavaliere del re. Il premio Nobel per la letteratura (1986) scrisse il testo nel 1975, dopo uno studio approfondito delle tradizioni della comunità yoruba. Su The Conversation, Tunde Onikoyi spiega perché è considerata l’opera teatrale più importante della Nigeria.

Su Internazionale

Sul settimanale pubblichiamo un editoriale dell’Irish Times sulla carestia nel Corno d’Africa; un’opinione del giornalista keniano Patrick Gathara sull’eredità della regina Elisabetta II; una recensione del romanzo La più recondita memoria degli uomini di Mohamed Mbougar Sarr; un articolo su un nuovo vaccino contro la malaria e un racconto della scrittrice italosomala Ubah Cristina Ali Farah sulla difficoltà, quasi l’impossibilità, di tradurre dal somalo all’italiano.

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