Naomi Osaka
La vita di Naomi Osaka è un crocevia di eredità diverse. Madre giapponese e padre haitiano, cresciuta negli Usa, legata al Giappone: il suo luogo di nascita, un posto sconosciuto, lo stato dove ha preso cittadinanza e per cui è una campionessa di tennis, un simbolo nazionale. L’esposizione mediatica, per lei, è travolgente. Se ne accorge il giorno in cui vince gli US Open del 2018, a 20 anni, battendo Serena Williams. La gioia è strozzata dalle proteste di Serena contro l’arbitro. La rovina di un momento perfetto. Un monito su ciò che sarà, d’ora in poi, il suo sentire sotto i riflettori. Da quel torneo, dallo straniamento della fama, prende il via questa miniserie. Tre episodi dove la narrazione segue i successi di Osaka come i suoi silenzi, con il merito di lasciare vivere gli stati d’animo. Il tennis è la vita di Naomi da quando ha tre anni, è dedizione, gesti ripetuti all’infinito. È un meccanismo che s’inceppa, a volte, come i suoi sentimenti: un contrasto continuo tra l’essere in vista e il non sapere più, all’improvviso, chi si è. Il tema dell’eredità è per Osaka una lenta presa di posizione nel mondo: sostiene in piazza Black Lives Matter, scende in campo a New York con mascherine dedicate alle vittime nere uccise dalla polizia; affronta la sua distanza con il Giappone, un paese che l’ha resa l’ultima tedofora olimpica ma che è capitato la raffigurasse con la carnagione più chiara (un aspetto non toccato qui). Il doc non arriva alle difficoltà recenti della campionessa - il forfait al Roland Garros, la depressione che pare avvicinare la sua vicenda alla ginnasta Simone Biles -, ma indaga bene nel loro retroterra interiore, nella complessità di una storia da scrivere.
MATTEO BAILO
[pubblicata su Film Tv n° 34/2021]
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