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Singolare, femminile
lo schermo delle donne

- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole - 
#050 - Teenage Troubles

Ciao <<Nome>>,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.

 

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Mentre in patria va in onda l’attesa terza stagione, vi invitiamo a (ri)scoprire Derry Girls, la serie teen comedy nordirlandese ambientata negli anni 90 dei Troubles, creata da Lisa McGee. E a lasciarvi trascinare in qualche rocambolesca disavventura dal suo quintetto di protagoniste, specializzato in decisioni tragicamente sbagliate, ma sempre esilaranti.

Gli anni 90 sono ormai ufficialmente i nuovi 80, in termini di sfruttamento del ciclo nostalgico nella cultura pop. Lo si vede nella moda come nei revival delle serie tv (Sex and the City, Bayside School, il reboot Bel-Air…), e anche nella rivisitazione collettiva di alcuni dei fenomeni che segnarono l’epoca, dal caso Clinton-Lewinski (in American Crime Story: Impeachment) a Pam & Tommy. Ma non tutti gli anni 90 sono uguali. Come abbiamo scoperto a riguardo degli anni 80 con, per esempio, la tedesca Dark (e, in modo diverso, anche con l’attuale, italiana, Bang Bang Baby), attraversando l’oceano e adottando la prospettiva della vecchia Europa può emergere un quadro lievemente diverso dall’edonismo sfrenato, cotonato ed escapista del panorama a stelle e strisce, un quadro più sfaccettato, spesso più determinato a interrogare il presente.

Derry Girls non potrebbe essere più distante, nel format e nei contenuti, dalla fantascienza cupa e ipnotica di Dark, eppure i suoi anni 90 nordirlandesi sono unici e inconfondibili proprio come gli 80 della serie tedesca. Iniziata nel 2018, tra l’altro, Derry Girls anticipa decisamente la tendenza Nineties, appoggiandosi, più che su un fatto di moda culturale, sul classico tempismo generazionale: l’autrice della serie, la quarantenne Lisa McGee, drammaturga e sceneggiatrice televisiva già rodata da una lunga gavetta, per la sua opera fin qui più libera e personale pesca a piene mani dalla propria autobiografia e dalla propria adolescenza. Negli anni 90, per l’appunto.

Ma Lisa McGee, come le sue protagoniste, è nata a Derry (o Londonderry, anche se vi sconsigliamo di scegliere la dicitura inglese davanti ai personaggi dello show), e Derry negli anni 90 non è un posto qualunque. Siamo ancora nel pieno dei Troubles, la fase più accesa – sebbene venga definita ufficialmente “a bassa intensità” – del conflitto tra nazionalisti cattolici e protestanti unionisti (un conflitto peraltro recentemente rintuzzatosi in seguito alla Brexit, cui la maggioranza dei nordirlandesi è contraria: soprattutto questo, pare, è alla base della recente vittoria del partito indipendentista Sinn Féin, dopo più di 100 anni). Bombe, scontri, attentati sono lo sfondo delle vicende di Derry Girls, uno sfondo che McGee ha la saggezza di non trasformare mai in primo piano, un commento presente ma quasi sempre relegato al fuoricampo, o ai riquadri dei televisori accesi sul telegiornale – qualcosa, il telegiornale, che difficilmente desta l’interesse di un gruppetto di sedicenni in preda a dolori della crescita e tempeste ormonali.

Derry Girls non ha le risate registrate né le riprese multicamera in studio, ma è una sitcom fatta e finita, e delle migliori: in ogni episodio la relativa (è proprio il caso di dirlo) pace è messa a soqquadro da un’escalation di scelte sbagliate innescata dalle protagoniste (in genere da Michelle), che al termine della puntata si ritrovano quasi sempre al punto di partenza, malconce, sconfitte e rassegnate. La comicità si divide, in parti uguali, tra momenti slapstick e dialoghi scoppiettanti sul confine dell’assurdo, ma, più di ogni altra cosa, è costruita come ogni buona commedia sui personaggi. A partire, naturalmente, dalle eponime Derry girls, ognuna un archetipo/funzione comica, ma dotata di una personalità abbastanza specifica da scansare ogni stereotipizzazione. Erin, il punto di vista privilegiato sulle vicende, è esplicitamente un alter ego di McGee: una sedicenne che sogna di diventare scrittrice, che si crede sensibile e profonda, che si riempie la bocca di discorsi aulici e di buone intenzioni, ma si rivela spesso vanesia, superficiale e soprattutto tremendamente abile a ficcarsi in situazioni imbarazzanti. La sua migliore amica Clare è secchiona, nevrotica, logorroica e pusillanime: una combinazione letale (nel senso che spesso fa morire dal ridere). Clownesca e irresistibile è invece Orla, la cugina di Erin che vive insieme a lei (perché la zia, sorella della madre, si è trasferita sotto lo stesso tetto dopo una relazione finita), non sempre pacificamente. Orla è eccentrica, svagata, disancorata dalla realtà, immune al giudizio altrui. «Subnormale» la definisce la preside della scuola (ci torniamo), con scorrettezza tipicamente Nineties. Poi c’è Michelle, l’agente del caos: i suoi interessi principali (gli unici?) riguardano il sesso, la droga, l’alcol e – in misura minore – il rock’n’roll. A lei toccano le idee peggiori e le battute migliori. Chiude il quintetto James, cugino di Michelle, che tecnicamente non è una ragazza, ma è inglese (la madre londinese lo molla dai parenti irlandesi e si dà alla macchia nel pilot), e secondo svariati adulti fa lo stesso. Mandarlo alla scuola maschile non avrebbe giovato alla sua incolumità, e così James – timido, perennemente spaesato dallo shock culturale, ma generoso e gentile – è l’unico allievo della scuola cattolica femminile Our Lady Immaculate, segue la cugina e le amiche ovunque vadano facendosi affettuosamente bullizzare, e alla fine della seconda stagione si guadagna ufficialmente l’appellativo di “Derry girl” come un punto d’onore.

Accanto ai ragazzi (l’unico altro personaggio adolescente di rilievo è l’arcinemesi Jenny, compagna di scuola ricca, perfettina, arrogante e insopportabile), ci sono gli adulti, una collezione di comprimari altrettanto impagabili, che orbitano nei due universi principalmente frequentati da un gruppo di teenager: la famiglia (quella di Erin, in particolare, in cui si svolgono molte divertenti scene domestiche) e la scuola. Su tutti svetta sorella Michael (anzi: sorella George Michael, come si scopre tra lo stupore generale nella terza stagione), la sopra citata preside dell’istituto Our Lady Immaculate: una suora imperturbabile che odia sia i ragazzi sia i preti, sia – a esser sinceri – quasi tutto il resto dell’umanità, ma ha un’insospettabile passione per le statue. La sua presenza ricorrente, gli occhi perennemente alzati al cielo e una battuta sferzante sulla lingua, corrisponde spesso ai momenti più esilaranti della serie.

A fare il successo di Derry Girls – un successo di numeri (è la serie più vista in Irlanda del Nord) e di immaginario (si è guadagnata una citazione in I Simpson, forse il più alto onore in questo senso; a Derry, città famosa per i suoi murales politici, ne è stato realizzato uno su Derry Girls, sempre frequentatissimo; nella premiere della terza stagione c’è un cameo nientemeno che di Liam Neeson) – c’è sicuramente la specificità di cui si accennava poco sopra: gli anni 90 messi in scena con accurata puntigliosità da McGee e dal suo team, con una colonna sonora perfetta – dai Cranberries alle Spice Girls, passando per gli Hanson, i Corrs e gli Ace of Base – e i capi d’abbigliamento giusti, non hanno granché di glamour, ma sfoggiano una consistenza e un’autenticità che spesso sfuggono a rievocazioni più stilizzate. Sono poi, ed è importantissimo, anni 90 working class: l’ambientazione operaia, evidenziata anche dalle casette strette, affollate e verosimili (lo show è girato davvero a Derry, e con una crew perlopiù locale), è insieme qualcosa di ancora poco visto in tv e un efficace modo di restituire un’esperienza più diffusa, se non universale. I Troubles della Storia sono messi in relazione ai trouble (i problemi) dell’adolescenza (e di protagoniste abbonate ai guai), e l’intuizione migliore di McGee è quella di mantenere fermamente in primo piano questi ultimi. Il terrorismo e le angosce del conflitto sono parte dell’arredamento, qualche volta anche commento metaforico alla vicenda (la serie, alla terza e ultima stagione, si concluderà con uno speciale intitolato The Agreement, durante gli Accordi del venerdì santo che posero ufficialmente fine ai Troubles, in un 1998 che segna anche la maturità delle nostre eroine), per restituire sia il punto di vista inevitabilmente egoriferito dell’adolescenza sia l’essenza di tragica “normalità” che dopo decenni la guerra ha assunto nella vita di tutti. Così, i momenti commoventi in Derry Girls ti colgono all’improvviso, tra una battutaccia e una situazione comicamente improbabile, quando la spensieratezza incosciente dell’essere teenager si trova improvvisamente a contatto, senza soluzione di continuità, con un contesto di collettiva disperazione.

Ma, forse ancora di più, il vero tratto sorprendente di Derry Girls sta nell’anticonvenzionalità delle sue protagoniste (e in questo gruppo includiamo anche la mitica sorella Michael). Non è così raro incontrare sullo schermo, piccolo o grande, personaggi maschili, giovani o adulti, che siano imbranati, goffi, un po’ scemi, irresponsabili, costantemente eccitati, inguaribilmente infantili e al centro di equivoci e gag divertenti legate proprio a questi tratti della loro personalità. Con i personaggi femminili succede molto più di rado, soprattutto se si tratta di teenager. Alle Derry Girls è concesso, invece, proprio questo, di essere i motori comici dell’azione, infilando una dietro l’altra pessime idee e disastri, calandosi in situazioni di sicuro imbarazzo, conservandosi incorreggibili, dimostrando di continuo la propria immedesimabilissima inadeguatezza, e allo stesso tempo un’energia, una vitalità, una sana, travolgente e contagiosa “stupidera”. Forse uno dei migliori antidoti a diversi – se non tutti i – mali del mondo, e di certo il tratto che più vi farà venir voglia di urlare, con orgoglio: «I’m a Derry Girl!». ALICE CUCCHETTI

Il coming of age delle protagoniste di Derry Girls non potrebbe stare più agli antipodi di quello dei Marianne e Connell di Normal People, un’altra bella serie irlandese, tratta dall’omonimo romanzo di Sally Rooney (presto vedremo un altro show ispirato a un suo libro, Parlarne tra amici). Ve ne riproponiamo la recensione, dal n° 28/2020 di Film Tv.


Normal People

 

Marianne e Connell sono due normali “tipi” da liceo: lui è atletico e popolare, circondato da una tribù di maschi alfa; lei è ricca, non canonicamente bella, ha ottimi voti e tutti la detestano. Le loro due sfere sociali sarebbero destinate a non sfiorarsi nemmeno, e invece Marianne e Connell si vogliono, si toccano, diventano amanti; senza dirlo a nessuno, perché per Connell confessare l’attrazione, ammettere di non essere quel “tipo”, costerebbe troppo. Comincia così una relazione fatta di strappi e ripartenze, di non detti logoranti, di tempismi mancati, che accompagna i due adolescenti negli anni dell’università e verso l’età adulta, raccontata da Sally Rooney, autrice irlandese classe 1991, nel suo secondo romanzo Persone normali (Einaudi) e ora trasposta per BBC e Hulu in una miniserie in 12 episodi, co-firmata da Rooney. Un prodotto che è molte cose diverse insieme: melodramma, (doppio) romanzo di formazione, ritratto generazionale, fotografia della provincia e della sua mancanza di orizzonti (Marianne e Connell arrivano al Trinity College di Dublino dalla fittizia cittadina di Carricklea, contea di Sligo), racconto erotico che non mette in scena solo il sesso, ma anche e soprattutto le radici delle pulsioni. Difficile tenere insieme tutto ciò, eppure Normal People ci riesce egregiamente. Determinante l’idea di affidare mezza stagione a ognuno dei due registi coinvolti: a dirigere le prime sei puntate è l’irlandese Lenny Abrahamson (autore di GarageRoomL’ospite), al timone delle ultime sei l’inglese Hettie Macdonald (regista teatrale e televisiva autrice di un solo film per il cinema, il gioiello Beautiful Thing, nel 1996), straordinari nel mantenere una compattezza stilistica lasciando però emergere le cruciali differenze di sensibilità dei propri sguardi. Abrahamson, con la sua visione chirurgica delle dinamiche sociali e degli spazi entro i quali sono chiusi i personaggi, restituisce il peso specifico dei rispettivi ambienti di provenienza di Marianne e Connell, descrivendo con precisione il passaggio dal paese alla prestigiosa università e i cambiamenti che si ripercuotono sui protagonisti; Macdonald, regista con uno sguardo attento ai corpi, meravigliosa narratrice degli spazi tra due epidermidi, riesce a rendere credibili e autentiche, in tutta la gamma tra dolore ed eccitazione, le esperienze sessuali vissute da Marianne e l’evoluzione del suo piacere e del suo masochismo. Grande importanza ha avuto il ruolo della “coordinatrice dell’intimità” Ita O’Brien, che (come già fatto per Sex Education) ha lavorato coi giovani attori, cui era spesso richiesto il nudo integrale, per dare vita a scene erotiche esplicite ma non estetizzate, innestate con intelligenza nella costruzione dei personaggi, per i quali il sesso è anche un modo di trovare le proprie verità. Due sguardi che si integrano e completano, pur mantenendosi autonomi: esattamente come accade a Connell e Marianne, che sulla propria pelle, nella propria carne, imparano che una storia d’amore non è mai un traguardo, ma un percorso per conoscere se stessi.

ILARIA FEOLE

 
  • Se volete sapere qualcosa di più su Lisa McGee e sulle sue ispirazioni per Derry Girls, potete leggere quest’intervista rilasciata al “Guardian” [in inglese].
     
  • Non c’entra nulla con noi, nonostante l’omonimia, ma l’11 maggio, in occasione dell’anniversario della Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza sulle donne, esce in sala Femminile singolare: film in sette episodi, ognuno dedicato a un diverso personaggio femminile, con un cast che comprende Catherine Deneuve e Monica Guerritore.
     
  • Il 13 maggio esce il nuovo album di Florence + the Machine, e noi non vediamo l’ora. Nell’attesa ripassiamo i videoclip resi disponibili finora, realizzati, come il concept grafico del disco, dall’autrice e fotografa Autumn de Wilde.
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