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Da pochi giorni si è conclusa definitivamente, su Disney+, la bellissima dramedy creata (insieme a Louis C.K.) e interpretata da Pamela Adlon, Better Things. Cinque stagioni da non perdere, con ritratti femminili autentici, esilaranti, struggenti. Vi riproponiamo la recensione della prima annata, da Film Tv n° 40/2021.
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Better Things
Dopo un cold open che in pochi secondi ci precipita in una delle mille situazioni surreali della vita di una madre single di tre figlie, partono le note e le prime struggenti parole di Mother di John Lennon, forse la cosa più dolce mai scritta sul più fallimentare dei rapporti genitore/figlio. Fin dalla sigla sappiamo già che Better Things non è un ritratto idilliaco della maternità, e che quelle parole vergate in verde fluorescente alla fine del pilota («dedicato alle mie figlie») hanno il sapore di una gratitudine venata di onesta esasperazione: Sam Fox, attrice cinquantenne con un passato nelle sitcom anni 80 e un presente di ingaggi poco memorabili, fa la madre a tempo pieno per Max (16 anni), Frankie (12) e Duke (8), con tutte le gioie e i dolori che tre meravigliose, intransigenti, insopportabili fanciulle in crescita comportano. Pragmatica e schietta, autoironica e incapace di perdersi in sentimentalismi o ipocrisie, Sam è l’alter ego trasparente di Pamela Adlon, creatrice, interprete, sceneggiatrice e occasionalmente regista dello show, pure lei volto televisivo da decenni; ha esordito adolescente in L’albero delle mele, ha doppiato cartoon col suo peculiare timbro graffiato e da noi è più nota per i ruoli in Californication e Louie. Di quest’ultima Better Things è parente stretta: amica e sodale di Louis C.K., Adlon ha creato la sua serie autobiografica a quattro mani con il geniale e controverso stand-up comedian, concependola quasi come una versione al femminile (e sulla costa opposta: non New York, ma Los Angeles) di Louie, di cui, soprattutto in questa prima stagione (che giunge in Italia con cinque anni di ritardo e quando ormai C.K. è stato licenziato da FX in seguito a plurime accuse di molestie sessuali), si ritrovano l’ironia cupa e l’andamento jazzistico della narrazione, che sutura con effetto dissonante (ora esilarante, ora totalmente spiazzante) lacerti casuali della quotidianità di Sam/Pamela. Come in Louie, il ritratto impietoso e spassoso dell’ambiente di lavoro (innumerevoli set cinematografici e televisivi dove si accumulano situazioni nonsense) si alterna a quello di una vita privata in cui l’incrollabile senso pratico di Sam è messo alla prova da amiche in crisi, da uomini ebbri del proprio ego, da colleghi svaporati (l’immancabile David Duchovny nei panni di se stesso) e soprattutto da guai familiari dove alle tre succitate eredi si aggiunge l’anziana madre (interpretata dalla grande attrice britannica Celia Imrie), che vive nella casa accanto e si produce in spettacolari disastri senili. Ma a rendere Better Things davvero unica (sempre di più nel corso delle annate, che nel frattempo si accingono a diventare cinque) è la volontà di mettere in scena un femminile autentico e senza filtri, che piazza al centro dell’inquadratura un tipo di donna (over 40, dalla bellezza e sensualità non canoniche e dall’attitudine ruvida e non accomodante) solitamente invisibile o relegato a spalla (Adlon ne sa qualcosa) e fa del suo corpo e del suo sguardo la misura della narrazione, ribaltando con nonchalance cliché e pigrizie intellettuali. Di cose migliori, in tv, non se ne sono viste tante.
ILARIA FEOLE
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