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Perché non possiamo dimenticare Taranto

Ce lo ricorda Lina Brogi Melle, presidente del Comitato donne e futuro per Taranto libera, nonchè promotrice di due ricorsi collettivi alla Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU) contro lo Stato italiano per la questione dell’ex-Ilva. 

Ieri è arrivata la seconda sentenza della CEDU che ha nuovamente condannato l’Italia per il persistere delle violazioni dell’art. 8, il diritto al rispetto della vita privata e familiare e dell’art. 13 il diritto a un rimedio effettivo della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) già accertate nella sentenza precedente del 24 gennaio 2019. 

Ce lo ha ricordato il collega Domenico Iannacone con una puntata de “Che ci faccio quii” dedicata sempre a Taranto, in cui hanno ritrovato voce personalità come il prof. Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, nostro punto di riferimento da sempre sulle vicende tarantine. 

Ciò nonostante non ci è sfuggita veemenza con cui Acciaierie d’Italia ha dato una propria versione dei fatti su twitter commentando i dati epidemiologici forniti durante la trasmissione, esattamente come, qualche anno fa, aveva fatto ENI contro Report.

E’ una storia complessa quella di Taranto, città è stata definita dall’Onu, zona di sacrificio umano e per cui ricordiamo quasi un anno fa, il 31 maggio 2021 si è concluso il primo grado di giudizio del più grande processo ambientale tenutosi in Italia: Ambiente Svenduto, con 47 imputati di cui 3 società di cui 26 sono stati condannati per un totale di oltre 180 anni di pena, proprio per le vicende intorno agli stabilimenti ILVA. 

E’ una storia di ingiustizia ambientale che abbiamo seguito e che proseguiamo a seguire e che sarà oggetto del nostro prossimo documentario-inchiesta. Grazie già sin d’ora a chi ci aiuterà a produrlo. Ne riparleremo presto.


Rosy Battaglia
presidente CIttadini Reattivi APS

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