Sembra ieri e invece era il 2019.
L’estate in cui abbiamo amato in massa la Nazionale femminile italiana e ne abbiamo ammirato l’impresa al Mondiale in Francia. Tra poco più di 2 settimane invece, precisamente il 6 luglio, inizierà una nuova avventura per la Nazionale in Inghilterra: ovviamente sto parlando degli Europei di calcio femminile.
Dal 2019 sino ad oggi, un momento di stallo dovuto al Covid, ma soprattutto una serie di traguardi e record macinati sia per il movimento in generale che più specificatamente per quello italiano.
Si sono susseguiti gli arrivi di Inter e Milan in Serie A grazie alla promozione dalla B delle neroazzurre, e attraverso l’acquisizione del titolo sportivo del Brescia per le rossonere (il Brescia tra l’latro era una delle squadre più titolate e con più storia nel movimento).
Negli ultimi 3 anni abbiamo avuto modo di assistere alla partita di calcio femminile con più spettatori allo stadio, i 39mila di Juventus vs Fiorentina del marzo 2019 (quindi prima dei Mondiali), e poi a quella più vista in tv: la finale di Supercoppa tra Juventus e Milan di gennaio di quest’anno. Partita che con 350mila telespettatori su La7 ha scippato il record proprio al match citato qualche riga fa (Juventus v Fiorentina si fermò infatti a 340mila).
Record a parte, anche a livello strutturale il movimento femminile italiano ha dovuto avere a che fare con enormi stravolgimenti.
Uno su tutti il cambiamento di status per le calciatrici militanti in Serie A che dalla prossima stagione potranno godere dello status di professioniste.
La notizia come potrai immaginare è stata rivenduta da molti media e autorità politiche sportive come il punto di svolta, il cambiamento epocale che farà crescere a dismisura il potenziale del movimento e attrarrà brand e nuovi stakeholders.
In parte è così. Come ogni grande stravolgimento però, va fatta un’analisi più pacata e che prenda in considerazione diversi aspetti:
- il passaggio ad atlete professioniste vale solo per le calciatrici della Serie A;
- lo status di professionisti non prevede per forza stipendi faraonici, piuttosto un salario minimo che è fissato a 256mila euro a stagione (quota usata oggi per la Serie C);
- per molte società che non avevano grandi sponsor alle spalle o la struttura di un club professionista nel maschile che potesse tenere i rubinetti aperti, questa è una bad news più che una svolta positiva (non è un caso, infatti, se una squadra storica come l’Empoli ha appena ceduto il titolo sportivo al Parma);
- il professionismo non vale solo per le atlete ma per i club di A. Alcune società che partecipano al campionato sono società dilettantistiche che dovranno cambiare forma e statuto, oltre a garantire una fideiussione di circa 80mila euro per l’iscrizione al torneo;
- lo status di professioniste aiuterà le generazioni del futuro a sognare di diventare calciatrici professioniste, è questo è un gran bene per il futuro di questo sport;
- questa nuova normativa fa intendere che ci sarà un seguito al lavoro che sarà svolto dalla federazione per la crescita del movimento;
- molte atlete finalmente potranno darsi al calcio come professione, abbandonando l’ansia del rimborso spese e della necessità di una doppia occupazione (quindi ne gioverà la crescita tecnica delle atlete).