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14 luglio 2022

Africana

La newsletter sull’Africa a cura di Francesca Sibani

Sfollati a Semera, Etiopia, 15 febbraio 2022. L’uomo con il fucile è un ex combattente di una milizia afar. (Eduardo Soteras, Afp)

La guerra e le prospettive economiche etiopi Due settimane fa in alcune città dell’Etiopia ci sono state proteste di massa. “Gli studenti hanno portato in piazza la loro frustrazione per il massacro di centinaia di civili amhara nella regione dell’Oromia, avvenuto lo scorso 18 giugno”, scrive il giornalista etiope Zecharias Zelalem su Al Jazeera. “I manifestanti hanno denunciato le uccisioni e criticato l’incapacità del governo di porre un freno alle violenze etniche. Qualche giorno dopo è emersa la notizia di un altro massacro di civili avvenuto nuovamente nella regione dell’Oromia il 4 luglio”. Il governo si muove, ma a rilento: il 12 luglio si è riunito per la prima volta il comitato governativo incaricato di negoziare la fine delle ostilità con i rappresentanti del Fronte popolare di liberazione del Tigrai, come aveva preannunciato a metà giugno il premier Abiy Ahmed. Tuttavia non ci sono incontri previsti tra le parti in conflitto e i ribelli tigrini non hanno reagito alla notizia della formazione del comitato, scrive il sito Addis Standard. Il governo ha firmato inoltre un accordo provvisorio con le Nazioni Unite che permette all’organizzazione di cominciare la ricostruzione nel Tigrai.

Sulle prospettive del primo ministro Abiy Ahmed pesa anche l’incertezza sul progresso delle riforme economiche. Il reporter Samuel Getachew fa un quadro della situazione per il quotidiano canadese The Globe and Mail: “Dopo venti mesi di guerra l’economia è a pezzi. Le riforme hanno esaurito il loro slancio, la moneta nazionale è debole, l’inflazione sfiora il 40 per cento e gli investimenti stranieri sono più rari. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) vede altri problemi all’orizzonte: se nel 2021 la crescita del pil è stata del 6,3 per cento, quest’anno dovrebbe fermarsi al 3,8 per cento, la percentuale più bassa degli ultimi vent’anni”. È il risultato del conflitto nel nord del paese, della produzione agricola più bassa, del crollo dei finanziamenti internazionali, della penuria di valuta estera, della siccità e della guerra in Ucraina. Eppure, “Abiy ha continuato a pompare milioni di dollari nel bilancio delle spese militari. Spese che hanno alimentato un ciclo di distruzione e violenze”. In particolare preoccupa il futuro dei grandi parchi industriali, creati per attirare nel paese le grandi aziende internazionali (molte dell’abbigliamento) con forti incentivi fiscali. “Le notizie di fabbriche che chiudono e licenziano in massa i loro dipendenti sono diventate la norma nel nascente settore industriale etiope”, scrive Addis Standard.

Pressioni sul governo in Ghana Il 29 e 30 giugno ad Accra, su iniziativa del movimento Arise Ghana, centinaia di persone sono scese in strada per protestare contro il carovita: i prezzi alimentari a maggio sono aumentati del 30 per cento su base annua. La polizia ha represso il corteo con i gas lacrimogeni e ha arrestato 29 persone. Le proteste hanno spinto il governo a negoziare un pacchetto di aiuti con il Fondo monetario internazionale, nonostante il presidente Nana Akufo-Addo avesse promesso di non farlo. Ma il movimento vuole mantenere alta la pressione e ha annunciato una nuova manifestazione per il 22 agosto a Kumasi. I motivi sono sempre gli stessi: le tasse troppo alte,l’inflazione galoppante, l’alto tasso di disoccupazione giovanile, la debolezza della moneta nazionale, il cedi.

Disinformazione prima del voto I preparativi per le elezioni generali del 9 agosto in Kenya si scontrano con la necessità di escludere le false notizie dal dibattito politico, scrive The East African. Altrimenti, avvertono gli esperti, potremmo assistere a nuove violenze postelettorali, come quelle del 2007-2008. Alla vigilia del voto per scegliere il successore del presidente Uhuru Kenyatta, la lotta alla disinformazione è resa più difficile dal forte coinvolgimento dei social network. Ad aprile l’azienda tecnologica Mozilla aveva individuato almeno trenta account di TikTok che pubblicavano incitamenti all’odio. Anche Twitter, nell’incapacità di gestire i contenuti nelle lingue locali, ha lasciato proliferare le notizie false e gli attacchi politici, scrive The Elephant.

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In breve:

  • Mali-Costa d’Avorio Il 12 luglio la Costa d’Avorio ha chiesto l’immediata scarcerazione di quarantanove soldati ivoriani arrestati il 10 luglio all’aeroporto di Bamako, in Mali, con l’accusa di essere dei mercenari. Le autorità maliane sostengono che i soldati si trovassero nel paese senza autorizzazione. Secondo quelle ivoriane, stavano fornendo supporto logistico alla missione Minusma delle Nazioni Unite.
  • Ruanda-Francia La corte d’assise di Parigi ha condannato il 12 luglio Laurent Bucyibaruta a vent’anni di prigione per complicità nel genocidio del 1994 in Ruanda. Bucyibaruta, che all’epoca era prefetto della provincia di Gikongoro (oggi Nyamagabe), è stato condannato per il suo ruolo in quattro massacri, tra cui quello in una scuola a Murambi. Dopo il genocidio si rifugiò nella Repubblica Democratica del Congo e da lì in Francia, dove ha vissuto dal 1997.
  • Somalia Il 3 luglio la banca centrale della Somalia ha annunciato di aver concesso licenze bancarie a due istituti di credito stranieri, la banca egiziana Misr e la turca Ziraat Katilim, aprendo il paese agli investimenti internazionali per la prima volta da decenni (leggi un approfondimento sulla newsletter Economica). 
  • Sudafrica Il 9 luglio due sparatorie in due taverne (i locali notturni tipici delle township) a Soweto, un quartiere di Johannesburg, e a Pietermaritzburg, nella regione zulu, hanno causato 19 morti, lasciando il paese sotto shock. In entrambi i casi gli aggressori hanno sparato contro gli avventori senza ragioni apparenti. A Soweto la polizia ha arrestato due persone. E ancora non sono state chiarite le cause della morte di 21 ragazzi in una taverna di East London lo scorso 26 giugno, ma sempre più testimonianze parlano della presenza di un gas tossico.  
  • Tunisia La tennista tunisina Ons Jabeur è stata la prima atleta araba e la prima africana a disputare una finale di un torneo del Grande slam. Il 9 luglio ha giocato la finale di Wimbledon, perdendo contro la kazaca Elena Rybakina. 
  • Unione africana Il 9 luglio l’istituzione africana con sede ad Addis Abeba ha festeggiato i vent’anni di attività. Nel 2002 aveva preso il posto dell’Organizzazione dell’unità africana, fondata nel 1963 in piena decolonizzazione. Anche se l’Unione ha fatto molti progressi dalla sua nascita e oggi comprende tutti i paesi del continente, dopo il ritorno del Marocco nel 2017, restano dubbi sulla sua capacità di fermare e prevenire i conflitti tra gli stati membri, scrive Al Jazeera.

Storie di ieri

La lingua che unisce Il 7 luglio 1954 Julius Nyerere fondò l’Unione nazionale africana del Tanganica, il partito che portò il suo paese, la Tanzania, all’indipendenza dal Regno Unito. Da subito decretò che il kiswahili (la lingua swahili) fosse la lingua ufficiale del partito: per Nyerere era un’arma contro il colonialismo. Allo scoccare dell’indipendenza, nel 1961, “da un giorno all’altro, nelle scuole elementari, nei tribunali e negli uffici governativi fu ordinato di usare il kiswahili invece dell'inglese. Gli istituti di lingua swahili sorsero in tutto il paese per incoraggiarne lo studio. Nyerere, chiamato mwalimu (insegnante), tradusse nella lingua locale il Giulio Cesare e il Mercante di Venezia di Shakespeare”, scriveva il Los Angeles Times, in un articolo del 1993, in cui si rammaricava degli scarsi risultati ottenuti fino a quel momento dalla campagna per diffondere l’uso del kiswahili, che subiva ancora la forte concorrenza dell’inglese. 

Trent’anni dopo, le cose sono cambiate. Il kiswahili la prima lingua in Tanzania. Il paese è, insieme all’Etiopia (con l’amarico), uno dei due soli paesi africani che usano una lingua africana come modalità di comunicazione ufficiale, spiega il professor John Mugane, dell’Università di Harvard. Oggi il kiswahili è una delle dieci lingue più popolari al mondo, con circa 200 milioni di parlanti in quindici paesi africani (nella maggior parte è seconda lingua). Mugane cita alcuni personaggi famosi che hanno contribuito ad affermarne il prestigio: dallo scrittore nigeriano Wole Soyinka, che dagli anni sessanta ha insistito che fosse usata come lingua del continente, all’ex presidente mozambicano Joaquim Chissano, che nel 2004 si rivolse per primo all’assemblea dell’Unione africana in questa lingua da lui parlata correntemente. Quest’anno l’importanza del kiswahili è stata celebrata per la prima volta dalle Nazioni Unite, che hanno designato il 7 luglio – saba saba (sette sette) – come giornata mondiale del kiswahili, in onore di Nyerere.

Consigli

  • Da leggere Mi sta piacendo molto il romanzo Dimora di ruggine (66thand2nd) di Khadija Abdalla Bajaber, scrittrice keniana di Mombasa, di una comunità originaria dello Yemen (qui la recensione che avevamo pubblicato su Internazionale a gennaio). La protagonista, Aisha, è una bambina come tante, che però accompagna il padre nelle sue battute di pesca, assistendo inconsapevolmente a dei prodigi. Quando il padre scompare, toccherà a lei andare a cercarlo (in compagnia di un gatto parlante). Bajaber sarà il 18 luglio a Roma al festival internazionale Letterature, poi andrà a Torino, Rovereto, Bologna e Granarolo.

  • Da ascoltare Su France Inter trovate un podcast di Pierre Haski sulle decolonizzazioni africane: sei ritratti di grandi protagonisti delle indipendenze (il guineano Sékou Touré, il maliano Modibo Keita, il congolese Patrice Lumumba, il senegalese Léopold Sédar Senghor, l’ivoriano Hophouet Boigny e il ghaneano Kwame Nkrumah) raccontati attraverso materiali audio dell’epoca.  

  • Da leggere e vedere In Sudafrica dal 1994 c’è una clinica mobile che porta medici e infermieri nelle comunità più lontane e irraggiungibili del paese. La clinica Phelophepa è allestita su un treno lungo diciannove vagoni e negli ultimi 28 anni ha aiutato 14 milioni di sudafricani poveri che hanno potuto ricevere cure odontoiatriche, test per l’aids, consulti con psicologi, terapie e vaccini anticovid. La clinica è finanziata da un’organizzazione di beneficienza e dalla Transnet foundation, la fondazione legata all’azienda che gestisce la rete ferroviaria, i porti e gli oleodotti sudafricani. Dopo la pandemia, gli amministratori della clinica hanno dovuto fare fronte a un problema sempre più grave: molte linee ferroviarie sono diventate inagibili per i furti di apparecchiature e cavi. Il servizio e le foto di Tommy Trenchard sul sito della radio Npr. 

Questa settimana su Internazionale

  • Sul settimanale pubblichiamo un articolo sulle prospettive di crescita economica in Etiopia che sono sfumate con il protrarsi della guerra nel Tigrai. Inoltre un lungo articolo del Guardian racconta la sorprendente storia della comunità ebraica nigeriana, nata a partire dagli anni novanta in maniera autonoma (nessun intervento di Israele, nessun rabbino a fare proselitismo) grazie allo sforzo di alcuni individui. Alcuni studiosi parlano dei “primi ebrei dell’era di internet”.
  • Sul sito parliamo sempre di Etiopia, dando notizia delle proteste scoppiate contro il governo, accusato di non fare niente per fermare i massacri di civili. Il graffiante opinionista keniano Patrick Gathara commenta le dimissioni di Boris Johnson, chiedendosi se davvero il Regno Unito – così come gli Stati Uniti – possa permettersi di dare lezioni di democrazia.

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