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23 giugno 2021

Mediorientale

La newsletter sul Medio Oriente a cura di Francesca Gnetti

Ebrahim Raisi durante una conferenza stampa a Teheran il 21 giugno 2021 (Sobhan Farajvan, Pacific Press/LightRocket/Getty Images)

L’Iran nelle mani dei conservatori Non ci sono state sorprese nel voto per le presidenziali iraniane del 18 giugno. L’ultraconservatore Ebrahim Raisi ha vinto con il 61,95 per cento delle preferenze e l’affluenza ai seggi è stata del 48,8 per cento, la più bassa dalla nascita della Repubblica islamica nel 1979. Ad agosto Raisi, capo dell’autorità giudiziaria, prenderà il posto del moderato Hassan Rohani, che è stato presidente per due mandati dal 2013, e porterà saldamente l’Iran nelle mani degli oltranzisti, complicando le relazioni con i paesi occidentali. Nella sua prima conferenza stampa dopo la vittoria, il 21 giugno, Raisi ha approvato i negoziati con le potenze mondiali per ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015, ma ha detto che devono garantire gli interessi nazionali e non prolungarsi troppo. Intanto a Vienna i colloqui vanno avanti, ma non mancano le tensioni. Il 22 giugno gli Stati Uniti hanno bloccato decine di siti d’informazione vicini al governo iraniano, accusati di diffondere notizie false.

Turbante nero come l’ayatollah Khamenei a indicare che è un sayyid, un discendente del profeta Maometto, Raisi è nato sessant’anni fa a Mashhad, nel nordest dell’Iran, in una famiglia religiosa. Come si legge in un ritratto su Al Jazeera, sarà “il primo presidente iraniano a essere stato colpito dalle sanzioni statunitensi, imposte nel 2019, per il suo presunto ruolo in esecuzioni di massa e nella repressione delle proteste pubbliche”. In particolare è accusato di aver fatto parte della “commissione della morte” che ordinò la cattura e l’uccisione di migliaia di prigionieri politici nel 1988, in seguito a una fatwa emessa del fondatore della repubblica, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, in quello che Radio Farda definisce “uno dei capitoli più neri” nella storia del paese.

In un altro profilo sull’emittente legata a Radio free Europe/Radio liberty, Golnaz Esfandiari sottolinea che con Raisi al potere gli iraniani, già sottoposti a dure limitazioni della loro libertà, probabilmente “subiranno altre restrizioni politiche e sociali”, compresa “una rigida censura su internet e fuori della rete”. Inoltre questa elezione “mette a nudo le divisioni forse ormai insostenibili della società iraniana”, commenta su Iran Wire Maziar Bahari, giornalista, regista e attivista in passato incarcerato dal regime. Decine di milioni di iraniani hanno boicottato il voto “per apatia o disgusto”, mentre altre decine di milioni “sono stati genuinamente contenti di partecipare alla farsa, o in qualche modo si sono sentiti costretti a farlo”. Bahari prevede che gli iraniani che credono nella democrazia non rimarranno in silenzio e che nei prossimi quattro anni potremmo assistere a una ripetizione delle proteste del novembre 2019.

Senza dubbio Raisi eredita un paese spaccato e in preda a una grave crisi economica causata dalle sanzioni imposte dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Una gioventù disillusa e che non crede più nel cambiamento, come nota Soulayma Mardam Bey in un reportage da Teheran su L’Orient-Le Jour, ha disertato in massa le urne (un video pubblicato su Radio Farda mostra i seggi vuoti). E dietro le quinte a tessere le trame della sua successione c’è l’ayatollah Ali Khamenei, che a 82 anni ha voluto garantirsi un erede ideale, un “lealista malleabile che può emulare il suo stesso percorso dalla presidenza al vertice del potere”, scrive sul Guardian Mohammad Ali Shabani. Non esattamente il tipo di cambiamento che molti, dentro e fuori dall’Iran, avevano – anche solo per un momento – sperato.

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Attualità

Egitto Il 22 giugno la polizia ha arrestato Haneen Hossam, una star di TikTok di vent’anni, che due giorni prima era stata condannata a dieci anni di carcere per traffico di esseri umani e dissolutezza. Insieme a lei erano state condannate a sei anni l’influencer Mawada al Adham e altre tre persone accusate di sfruttare le loro apparizioni sul social network per arricchirsi. Hossam ha avuto la pena più dura perché non si è presentata in tribunale. Gli attivisti per la difesa dei diritti umani denunciano l’aumento della repressione delle autorità egiziane contro ragazze famose online, con accuse che violano i loro diritti alla privacy, alla libertà di espressione, alla non discriminazione e a decidere del proprio corpo.

Libano L’esercito libanese non è in grado di pagare adeguatamente i suoi soldati e ha chiesto aiuto alla comunità internazionale per superare la crisi economica. Il 17 giugno una ventina di paesi hanno deciso durante una conferenza organizzata dalla Francia di destinare decine di milioni di euro per finanziare l’acquisto di generi alimentari, medicinali, carburante e pezzi di ricambio di attrezzature. La comunità internazionale subordina il sostegno economico al Libano alla realizzazione di riforme strutturali e alla creazione di un nuovo governo, che tardano a concretizzarsi. D’altra parte, però, considera l’esercito del paese come un contrappeso fondamentale al potere di Hezbollah, il movimento sciita vicino all’Iran.

Cultura Si è aperto il 20 giugno a Londra il Shubbak festival, il più importante evento biennale sulla cultura araba nel Regno Unito. Fino al 17 luglio sarà possibile seguire, per la prima volta anche in streaming, il programma ricco di arte, film, musica, teatro, danza, letteratura e dibattiti. Tra gli appuntamenti più attesi ci sono il ritorno del suonatore di oud e compositore palestinese Adnan Joubran, la collaborazione tra due dei più importanti talenti dell’hip-hop in lingua araba, il rapper palestinese giordano The Synaptik e l’artista statunitense egiziano Felukah, che presenteranno due nuovi singoli durante una performance live, e il debutto al London’s king’s place del London Syrian ensemble, un’orchestra di siriani in esilio diretti dal compositore Louai Alhenawi. Quest’anno si celebrano anche i dieci anni dalla prima edizione del festival, in concomitanza con il decennale delle primavere arabe.

Yemen Nuovi combattimenti tra le forze governative e i ribelli sciiti huthi per la città strategica di Marib hanno provocato la morte di 47 persone il 19 giugno. Nel frattempo l’Arabia Saudita, che conduce un’operazione militare contro gli huthi dal 2015, ha intercettato dieci droni lanciati dai ribelli in direzione del regno. Qualche giorno prima, il 15 giugno, Martin Griffiths, l’inviato speciale dell’Onu per lo Yemen, ha constatato davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu il fallimento dei tentativi di mettere fine alla guerra civile nel paese. Gli huthi hanno lanciato a febbraio la loro offensiva per impossessarsi di Marib, l’ultima roccaforte delle forze governative nel nord dello Yemen, e dei campi petroliferi circostanti. La zona era stata risparmiata dalla guerra e aveva accolto due milioni di sfollati negli ultimi sei anni, come ricorda un pezzo su The National.

Giordania Il 21 giugno è cominciato il processo contro l’ex capo della corte reale e un lontano parente del re Abdallah II nonché suo ex inviato speciale in Arabia Saudita, accusati di aver cercato di rovesciare il sovrano a favore del suo fratellastro, il principe Hamza. Bassem Awadallah e Sharif Hassan bin Zaid, che si sono dichiarati non colpevoli, erano stati arrestati ad aprile per aver agito contro la sicurezza della società e aver incitato alla sedizione. Rischiano fino a vent’anni di prigione. Il principale protagonista della vicenda, il principe Hamza, non è imputato nel processo: dopo aver giurato pubblicamente fedeltà alla corona è stato messo agli arresti domiciliari.

Informazione Il canale televisivo israeliano i24News ha annunciato che aprirà una sede a Dubai. È il primo mezzo d’informazione a prendere questa decisione da quando Israele ed Emirati Arabi Uniti hanno normalizzato i loro rapporti nell’agosto del 2020. L’emittente, che trasmette programmi d’informazione tutto il giorno, ha precisato che concluderà una serie di accordi nel paese, tra cui uno scambio di contenuti con il quotidiano in lingua inglese Gulf News e annunci pubblicitari del ministero del turismo degli Emirati.

Iraq Un razzo ha colpito il 20 giugno la base aerea di Ain al Asad, che ospita truppe statunitensi nell’ovest del paese. Dall’inizio dell’anno sono 43 gli attacchi che hanno preso di mira le basi irachene dove si trovano i soldati statunitensi, l’ambasciata di Washington a Baghdad o convogli iracheni che trasportavano materiali di sostegno logistico. Gli Stati Uniti accusano le milizie legate all’Iran. Intanto il 9 giugno è tornato in libertà Qassem Musleh, un leader delle Forze di mobilitazione popolare, un’alleanza di milizie sostenute da Teheran, che era stato arrestato il 26 maggio perché sospettato di aver ordinato l’uccisione di diversi attivisti ed esponenti della società civile. Il suo arresto aveva provocato le proteste dei gruppi armati e il rilascio è dovuto all’insufficienza di prove.

Emirati Arabi Uniti Alaa al Siddiq, nota attivista per i diritti umani e dissidente emiratina, è morta in un incidente di auto a Londra il 19 giugno. Aveva 33 anni e dirigeva l’ong Al Qst, che si batte per ottenere maggiori libertà e il rispetto dei diritti umani negli Emirati e in tutta la regione del Golfo. Suo padre, l’attivista Mohammad al Siddiq, è in carcere negli Emirati dal 2013. Alaa al Siddiq aveva ottenuto asilo nel Regno Unito nel 2018, insieme all’ex marito Abdulrahman Omar, dopo essere fuggita dal paese durante una campagna di repressione contro i dissidenti tra il 2011 e il 2012. Inizialmente si era rifugiata in Qatar.

Dalla Palestina

Un colono ebraico e un palestinese si scontrano nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, il 21 giugno 2021 (Marcus Yam, Los Angeles Times/Getty Images)

Anche se non compaiono più nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, le violenze e le tensioni in Israele e in Palestina non si sono fermate. Ecco gli ultimi aggiornamenti:

  • La sera del 21 giugno gruppi di coloni ebraici si sono scontrati con alcuni palestinesi a Shiekh Jarrah, il quartiere di Gerusalemme Est dove diverse famiglie palestinesi rischiano l’espulsione e dove si è accesa la miccia che ha portato al conflitto del mese scorso. Durante la notte la polizia israeliana ha usato granate stordenti e idranti per allontanare i manifestanti palestinesi. Una gallery fotografica di Al Jazeera.
  • Il 18 giugno dieci palestinesi sono stati arrestati in seguito agli scontri con la polizia israeliana sulla spianata delle moschee, a Gerusalemme Est, e nove sono stati feriti. Circa mille palestinesi si erano riuniti dopo la preghiera del venerdì e avevano lanciato delle pietre verso gli agenti, che poi hanno fatto irruzione nel sito religioso.
  • Lo stesso giorno l’Autorità Nazionale Palestinese ha annullato un accordo con Israele per ricevere un milione di dosi di vaccino Pfizer, considerate troppo vicine alla data di scadenza.
  • Nella notte tra il 17 e il 18 giugno, per la seconda volta dall’entrata in vigore del cessate il fuoco tra Hamas e Israele il 21 maggio, l’aviazione israeliana ha bombardato degli obiettivi del movimento nella Striscia di Gaza, in risposta al lancio di palloni incendiari verso il sud d’Israele. Un video del Guardian.
  • Il 17 giugno un poliziotto israeliano è stato incriminato per l’uccisione nel maggio del 2020 di Eyad Hallaq, un palestinese di 32 anni disarmato e affetto da disturbo dello spettro autistico. Hallaq è stato ucciso mentre andava nella sua scuola per persone con bisogni speciali a Gerusalemme Est. Lo racconta un articolo della New York Review of Books.
  • Il 16 giugno Mai Afanah, 29 anni, è stata uccisa dai soldati israeliani vicino alla città di Hizma, a nordest di Gerusalemme. Secondo la ricostruzione dei militari, Afanah aveva cercato d’investire un gruppo di soldati e poi era uscita dall’auto con un coltello in mano. Un video di Quds News Network.

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Femminismi

Twittare al femminile
Dal 15 giugno le utenti arabe di Twitter hanno la possibilità di scrivere messaggi usando la loro lingua nella forma al femminile. Il social network infatti ha introdotto un’opzione che permette di configurare la piattaforma in arabo scegliendo il genere grammaticale che si preferisce. Per accompagnare questa novità, ha lanciato l’hashtag #FeminineArabic (arabo al femminile). 

Come in molte altre lingue, tra cui l’italiano, in arabo il maschile è usato anche per rivolgersi a un pubblico neutro o misto. E i verbi si accordano al genere del soggetto. Così, per esempio, finora il comando per inviare un messaggio in arabo su Twitter appariva nella forma maschile gharrid. Con il cambio d’impostazioni è diventato gharridi, al femminile. Allo stesso modo estakchef (esplorare) ora si può usare nella forma femminile estakchfi

L’azienda ha chiarito che l’iniziativa è un tentativo di “riflettere le voci che modellano le conversazioni che si svolgono sul nostro servizio”. È il primo social network a farlo, anche se Arab News sottolinea che ad aprile Aramex, una società di logistica globale con sede a Dubai, aveva preso una decisione simile. Rasha Fawakhiri, a capo del settore comunicazione per il Medio Oriente e il Nordafrica di Twitter, ha precisato che l’azienda sta lavorando su altri progetti per garantire una maggiore sensibilità alle tematiche di genere. Non c’è ancora la possibilità di scegliere un linguaggio non binario, per esempio. 

La novità è stata accolta con favore sui social network e anche diverse attiviste per i diritti delle donne l’hanno definita “bella”, “unica”, “geniale”, commentando che fa onore alla lingua araba e alla sua ricchezza. Al Araby al Jadid tuttavia nota che nonostante il tentativo di migliorare la sua rappresentazione, recentemente Twitter si è mostrato poco sensibile ad altri temi importanti per i suoi utenti arabi, come la questione palestinese. Access now, un’organizzazione che si occupa di diritti digitali, ha accusato Twitter e altri social network, tra cui Facebook, Instagram e TikTok, di aver censurato le voci palestinesi in occasione delle proteste e delle violenze di maggio. Il centro arabo per il controllo dell’attività online 7amleh ha documentato 55 violazioni di contenuti palestinesi su Twitter tra il 6 e il 19 maggio.

Consigli

Da ascoltare Sulla repressione in Egitto c’è anche una puntata del podcast del Guardian Today in focus, che racconta la storia di Karim Ennarah e Jess Kelly. Ennarah è direttore del settore di giustizia criminale dell’Egyptian initiative for personal rights, e a novembre è stato arrestato con l’accusa di diffondere notizie false insieme ad altri due esponenti dell’ong egiziana. Kelly è la moglie britannica e nei quattordici giorni in cui il marito è rimasto in carcere ha lanciato una campagna internazionale per la sua liberazione. Ora Ennarah è stato rilasciato e continua il suo lavoro, ma non può allontanarsi dal paese e i suoi beni sono stati congelati. I due raccontano come stanno cercando di portare avanti la loro vita insieme nonostante tutto. Il podcast è uscito nel cinquecentesimo giorno di carcere di Patrick Zaki, l’attivista egiziano e studente all’università di Bologna arrestato al Cairo il 7 febbraio 2020 e da allora in detenzione preventiva. Zaki lavorava con l’Egyptian initiative for personal rights ed era amico di Ennarah, che ricorda cosa ha provato quando ha saputo del suo arresto.

Da vedere Una gallery fotografica di Emilienne Malfatto sul New York Times racconta le paludi mesopotamiche del sudest dell’Iraq. Campo di battaglia durante la guerra con l’Iran tra il 1980 e il 1988, prosciugate da Saddam Hussein per punire la rivolta degli sciiti all’inizio degli anni novanta, abbandonate negli anni duemila, ultimamente le paludi sono state in parte recuperate. Ma oggi devono affrontare nuovi pericoli: la crisi climatica, la mancanza di attenzione ai problemi dell’ambiente delle autorità locali e soprattutto la costruzione di dighe in Turchia, in Siria e in Iraq che rischiano di farle scomparire.

Questa settimana su Internazionale

Sul sito Zuhair al Jezairy sulla politica irachena lontana dai giovani. Pierre Haski riflette sull’astensione il giorno delle presidenziali in Iran. Un articolo da Newlines magazine sui giovani siriani reclutati da Russia e Turchia e poi abbandonati.

Sul settimanale Tre pagine di analisi e commento sul nuovo governo e le divisioni d’Israele.

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