Pubblicità
21 luglio 2021

Mediorientale

La newsletter sul Medio Oriente a cura di Francesca Gnetti

Sotto controllo L’industria della sicurezza informatica è uno degli orgogli di Israele. Nel paese ci sono più di settecento aziende che godono del prestigio globale e i loro servizi sono richiesti in tutto il mondo. I fondatori sono descritti dalla stampa locale e internazionale come giovani brillanti e intraprendenti, sostenuti da un governo lungimirante. Ma ora il “lato oscuro” del settore dell’alta tecnologia della sicurezza è stato svelato. Il 18 luglio un consorzio composto da diciassette mezzi d’informazione internazionali ha pubblicato un’inchiesta che accusa l’azienda israeliana Nso di aver realizzato un software che ha permesso di spiare 50mila persone in tutto il mondo, tra cui giornalisti, attivisti e oppositori. Il software per smartphone Pegasus sarebbe stato infatti venduto anche a regimi autoritari. L’inchiesta si basa su una lista ottenuta dalle organizzazioni Forbidden stories e Amnesty international.

Come funziona I governi e i servizi segreti inviano ai loro obiettivi un sms contenente un link apparentemente innocuo che una volta aperto installa il software sul telefono, consentendo di registrare le telefonate, di accedere a messaggi, foto e email, e di attivare in segreto i microfoni e le fotocamere. Il Guardian pubblica un video, tradotto sul nostro sito, e una mappa per chiarire il funzionamento di Pegasus, il Washington Post una guida con domande e risposte e la Bbc un articolo con infografica per spiegare chi sono le vittime. Tra loro ci sono anche alcune persone legate a Jamal Khashoggi, il giornalista dissidente ucciso nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018.

Contro i dissidenti In realtà il fatto che gli strumenti di sorveglianza israeliani fossero usati per commettere violazioni dei diritti umani e controllare oppositori e attivisti non è una novità. Già nel 2018 Haaretz aveva pubblicato un articolo dal titolo: “L’industria israeliana di cyber-spionaggio aiuta i dittatori del mondo a dare la caccia a dissidenti e gay”. Mentre un approfondimento uscito a marzo di quest’anno su Rest of world metteva in evidenza il legame inquietante tra le aziende per la sicurezza informatica e l’esercito israeliano. Ma queste denunce non hanno frenato l’ascesa della Nso, che in dieci anni si è imposta come azienda leader del settore, diventando anche uno strumento di soft power per Israele, che l’ha usata per promuovere i suoi interessi geostrategici. Nella sua ricostruzione, Le Monde parla di “simbiosi” tra la Nso e il governo israeliano.

Armi micidiali D’altra parte, per Israele non è una novità neanche il fatto che i prodotti esportati servano a violare i diritti umani in altre parti del mondo. Basta pensare all’altro settore che gode di grande popolarità, quello delle armi. Come sottolinea Amitai Ziv su Haaretz (uno dei giornali del consorzio che ha pubblicato l’inchiesta), da molto tempo Israele vende le armi a dittatori e regimi, che le hanno usate anche per compiere genocidi. Ma le armi informatiche, per certi versi, sono anche più pericolose e problematiche, suggerisce Ziv: sono invisibili, versatili, possono essere duplicate o rubate e la loro esistenza o il loro uso possono essere difficili da documentare. Inoltre il settore della tecnologia informatica è ancora scarsamente regolamentato e, per riprendere ancora Le Monde, “pericoloso e fuori controllo”. Per questo quando le armi informatiche entrano in azione, la democrazia è in pericolo. E lo siamo anche tutti noi.

Attualità

Baghdad, 19 luglio 2021 (Wissam al Okaili, Reuters/Contrasto)

Iraq Il 19 luglio almeno 28 persone sono morte e decine sono rimaste ferite in un attentato suicida avvenuto in un mercato del quartiere sciita Sadr City, alla periferia est di Baghdad, alla vigilia della festività islamica dell’Aid al adha. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo Stato islamico. Il giorno prima centinaia di persone avevano manifestato nella capitale per chiedere la fine dell’impunità in Iraq, dove più di settanta attivisti e oppositori sono stati uccisi o rapiti dopo la contestazione cominciata nell’ottobre del 2019. I manifestanti accusano delle violenze le milizie sostenute dall’Iran, molto potenti nel paese, e rimproverano alle autorità di non fare abbastanza per punire i colpevoli.

Libano L’ex premier Saad Hariri ha rinunciato il 15 luglio, a causa delle divergenze con il presidente Michel Aoun, a formare un governo nove mesi dopo aver ricevuto l’incarico. Aoun ha fissato al 26 luglio la data delle consultazioni per designare un nuovo primo ministro, la cui missione principale sarà guidare un esecutivo in grado di approvare le riforme e sbloccare così gli aiuti internazionali al paese, dov’è in corso una grave crisi economica e sociale. Il 16 luglio la Francia, che guida gli sforzi della comunità internazionale per trovare una soluzione alla crisi, ha annunciato una nuova conferenza “per rispondere ai bisogni dei libanesi”, prevista per il 4 agosto, il primo anniversario dell’esplosione che ha devastato il porto di Beirut.

Economia Gli stati dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) e i loro dieci alleati hanno raggiunto un accordo il 18 luglio per continuare ad aumentare moderatamente la loro produzione a partire da agosto, mettendo fine a uno stallo che aveva evidenziato la crescente rivalità tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. In base all’accordo i ventitré paesi del gruppo aumenteranno la produzione di 400mila barili al giorno ogni anno, in modo da contribuire ad alimentare la ripresa economica mondiale.

Siria Il presidente Bashar al Assad ha prestato giuramento il 18 luglio per un quarto mandato di sette anni durante una cerimonia a Damasco con più di seicento invitati. Aveva ottenuto il 95 per cento dei voti alle elezioni del 26 maggio, criticate dall’occidente e dall’opposizione siriana. L’insediamento ha coinciso con i bombardamenti del regime nella regione di Idlib, l’ultima roccaforte dell’opposizione nel nordovest della Siria. Secondo l’ong Osservatorio siriano dei diritti umani sono morte sette persone, tra cui tre bambine.

Palestina Le forze israeliane hanno picchiato e arrestato vari fedeli musulmani riuniti alla moschea Al Aqsa il 18 luglio, per consentire l’ingresso a centinaia di coloni ebrei per una commemorazione annuale. Secondo i mezzi d’informazione palestinesi, sono stati usati gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili rivestiti di gomma per disperdere i palestinesi che, ha riferito la polizia israeliana, avevano lanciato pietre in direzione delle forze dell’ordine. I fedeli ebrei si erano raccolti per celebrare il Tisha bav, il giorno del lutto, che ricorda la distruzione di due templi, il primo a opera dei babilonesi nel 586 aC., il secondo dei romani nel 70 dC.

Iran Il 13 luglio il dipartimento della giustizia statunitense ha annunciato l’incriminazione di quattro agenti dei servizi segreti iraniani accusati di aver pianificato il rapimento di Masih Alinejad, una giornalista iraniana, oggi cittadina statunitense, che vive a New York. L’obiettivo era attirare Alinejad in un paese terzo, dove avrebbe dovuto essere rapita per poi essere trasferita in Iran. Masih Alinejad è una femminista che ha dato origine al movimento contro il velo in Iran. Fuggita dal paese e rifugiata negli Stati Uniti, ha continuato a criticare il regime di Teheran, in particolare le sue politiche nei confronti delle donne. La sua autobiografia, Il vento fra i capelli, è stata pubblicata in Italia dal progetto editoriale Nessun Dogma nel settembre del 2020, con la traduzione di Maria Sofia Buccaro.

Cultura Dopo essere stata quasi completamente distrutta nell’esplosione del 4 agosto 2020, all’inizio di luglio la galleria Tanit di Beirut ha riaperto, presentando un’esposizione collettiva di diciassette artisti residenti in Libano. La mostra, che dura fino al 7 agosto, ha il titolo significativo di Togetherness (stare insieme), un modo per ridefinire attraverso l’arte il concetto di solidarietà e di comunità. La galleria si trova a meno di seicento metri dal porto di Beirut e la sua riapertura, in seguito a mesi di lavori per ricostruire le pareti e le vetrate andate in frantumi, è un segnale importante per la vita culturale del Libano.

Pubblicità

Una buona notizia

La giornalista e attivista egiziana Esraa Abdel-Fattah, una dei simboli della rivoluzione del 2011, è stata liberata il 18 luglio, dopo aver trascorso quasi ventidue mesi in detenzione preventiva. Era stata arrestata nell’ottobre del 2019, con l’accusa di “diffondere informazioni false” e “collaborare con un gruppo terroristico”. Lo stesso giorno, alla vigilia della festa dell’Aid al adha, una delle più importanti del calendario islamico, le autorità egiziane hanno liberato altri cinque giornalisti e attivisti: l’avvocata per i diritti umani Mahienour el Masry, i giornalisti Moataz Wadnan, Gamal el Gammal e Mustafa el Aasar, e il politico Abdel Nasser Ismail. Le accuse contro di loro però restano in sospeso.

Abdel-Fattah, 43 anni, ha una lunga storia di attivismo politico. È stata una delle prime egiziane a usare i social network per organizzare manifestazioni antigovernative, creando nel 2008 la pagina Facebook 6 aprile per sostenere i lavoratori in sciopero e chiedere riforme politiche.

Ma in Egitto la repressione non si ferma e una buona notizia è spesso accompagnata da altre nefaste. Lo stesso 18 luglio è stato arrestato il noto giornalista Abdel Nasser Salam, ex direttore del quotidiano di stato Al Ahram, che la settimana prima aveva criticato il presidente Abdel Fattah al Sisi su Facebook. Il 14 luglio invece il giornalista Hossam Bahgat, che nel 2016 ha vinto il premio Anna Politkovskaja ed è direttore dell’ong Iniziativa egiziana per i diritti della persona, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver insultato l’autorità elettorale egiziana e aver diffuso false informazioni. Lo stesso giorno è stata rinnovata di altri 45 giorni la custodia cautelare di Patrick Zaki, l’attivista egiziano e studente all’università di Bologna in carcere dal febbraio del 2020.

Persone

Ibrahim al Hussein. Atene, 2 giugno 2021 (Angelos Tzortzinis, Afp)

Ibrahim al Hussein
Da piccolo Ibrahim al Hussein sognava di partecipare alle Olimpiadi. Figlio di un istruttore di nuoto, cominciò a nuotare a cinque anni nel fiume Eufrate, che scorreva attraverso la sua città di origine, Deir Ezzor, nell’est della Siria. Quando Al Hussein aveva 23 anni in Siria scoppiò la rivoluzione, presto degenerata in una guerra civile. La sua famiglia fuggì subito, ma lui rimase nel paese. Nel 2012 mentre soccorreva un amico ferito fu colpito dall’esplosione di una bomba alla gamba destra, che dovette essere amputata dal ginocchio in giù. Due anni dopo attraversò illegalmente il confine tra Siria e Turchia su una sedia a rotelle e nel febbraio del 2014 raggiunse la Grecia a bordo di una barca di fortuna con altre 80 persone. Arrivato ad Atene, entrò in contatto con un medico greco che gli procurò una protesi e nel 2015 ottenne l’asilo.

Dopo aver trovato lavoro e aver cominciato a rimettere insieme i pezzi della sua vita, tornò in piscina. Vinse varie competizioni per atleti con disabilità in Grecia e poi fu scelto dal Comitato olimpico greco per portare la torcia dei giochi di Rio de Janeiro del 2016 attraverso il campo profughi di Eleonas, ad Atene. Il Comitato paralimpico internazionale gli offrì la possibilità di far parte della prima squadra di rifugiati alle Olimpiadi di Rio e di sventolare la sua bandiera nello storico stadio Maracanã. Partecipò alle gare dei 50 e dei 100 metri stile libero maschile.

Oggi insieme ad altri cinque atleti rappresenta la squadra paralimpica di rifugiati alle Olimpiadi di Tokyo. “Non nuoto per me stesso”, ha detto alla Reuters, “ci sono 80 milioni di profughi al mondo. Nuoto per loro”. Ha rifiutato varie offerte di gareggiare per la Siria e dice che non tornerà nel suo paese fino a quando la guerra non finirà: “Non posso indossare la cuffia e il costume che hanno la stessa bandiera degli aeroplani che lanciano bombe sulla popolazione”. Il suo ritratto in un podcast della Bbc e un video della squadra paralimpica di rifugiati.

Pubblicità

Consigli

Da vedere Sul sito del canale tv francotedesco Arte è disponibile il documentario Il generale Soleimani. Lo stratega dell’Iran. Un ritratto di Qasem Soleimani, uomo forte della geopolitica del mondo musulmano, punto di riferimento del regime di Teheran, ucciso da un drone statunitense all’aeroporto di Baghdad il 3 gennaio 2020.

Da leggere Il libro della scomparsa, della scrittrice e giornalista palestinese Ibtisam Azem, è uscito a maggio nella collana La stanza del mondo della casa editrice hopefulmonster. Racconta della scomparsa misteriosa e improvvisa di tutti i palestinesi dal territorio israeliano e riflette sul fenomeno della creazione di un nemico per sfuggire alle proprie responsabilità. La traduzione è di Barbara Teresi.

Da ascoltare e vedere L’Arab studies institute, in collaborazione con il Program on Arab reform and democracy dell’università di Stanford, ha lanciato Mofeed-19, un podcast video di diciannove minuti in cui si discutono l’impatto della pandemia di covid-19 sul mondo arabo e la risposta della politica e della società. Nel primo episodio, andato in onda il 7 luglio, Amaney Jamal, che insegna scienze politiche all’università di Princeton ed è tra le fondatrici della rete di ricerca Arab Barometer, analizza il comportamento dei cittadini arabi nei confronti dei governi e degli sforzi per realizzare i piani vaccinali.

Questa settimana su Internazionale

Sul sito Sul progetto Pegasus ci sono un articolo di Le Monde e il video del Guardian.

Sul settimanale Un reportage a fumetti di 33 pagine di Zerocalcare tra i curdi che vivono nel campo profughi di Makhmour, nel nord dell’Iraq. Un articolo dal sito Raseef22 sulle libanesi che non possono più permettersi i prodotti per le mestruazioni.

Compra questo numero o abbonati
per ricevere Internazionale
ogni settimana a casa tua.


Mediorientale va in vacanza, torna il 25 agosto.

Per suggerimenti e segnalazioni scrivi a mediorientale@internazionale.it

Qui ci sono le altre newsletter di Internazionale.

Sostieni Internazionale. Aiutaci a tenere questa newsletter e il sito di Internazionale liberi e accessibili a tutti, garantendo un’informazione di qualità.

Visita lo shop di Internazionale.