A grande maggioranza, ma con il voto contrario di Lega e Fratelli d’Italia, Il Parlamento europeo ha condannato la legge ungherese anti LGBTIQ, mentre la Commissione ha minacciato di dare parere negative sul Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato dal Governo di Viktor Orban, che metterebbe a repentaglio i 7,5 miliardi destinati al paese.
Dura, logicamente, la reazione magiara nel braccio di ferro infinito che ormai oppone il resto d’Europa all’autocrate di Budapest, che di tutta evidenza ha sbagliato club a cui iscriversi. Se è vero che appartenere all’Unione Europea significa innanzitutto condividere valori comuni, contrariamente all’egemonia di un solo paese cui fu sottoposta per decenni l’Ungheria attraverso il Patto di Varsavia, Orban non può pretendere di potersi sedere da pari a pari con gli altri “soci”; senza rispettare le regole. Tra le regole in vigore vi sono i cosiddetti principi di Copenaghen che specificano che il principio dello stato di diritto debba essere alla base di qualsiasi richiesta di adesione al “club Europa”. Non basta essere situati ad est dello stretto di Gibilterra per poter rivendicare di voler appartenere all’Unione europea che non è, contrariamente ad altri agglomerati regionali, un mero coordinamento di stati sovrani, ma un’entità sovrannazionale, che piaccia o no.
Che l’Ungheria di Orban, insomma, si accontenti di appartenere al Consiglio d’Europa o all’OCSE, istituzioni europee che, pur anch’esse attente ai principi democratici, hanno una diversa configurazione e vocazione. Certo, l’Unione europea oltre ad essere una comunità di valori offre un formidabile sostegno proprio ai paesi dell’ex blocco sovietico, accolti a braccia aperte dopo la caduta della cortina di ferro e le tante iniziative per la loro libertà, tra gli altri, del Partito Radicale i cui esponenti si facevano regolarmente arrestare nelle loro capitali in solidarietà con i tanti militanti locali in carcere. Che oggi qualcuno pensi che si possa andare all’incasso senza pagare pegno, chiudendo le porte tra l’altro all’ingresso di un solo migrante “condiviso” con gli altri palesi membri e, per di più, agendo sempre di più come quinta colonna cinese non è più sopportabile.
Che oggi si debba nuovamente scendere in piazza, a Budapest come a Varsavia, per difendere diritti e libertà non più dai nipoti di Stalin ma dai nuovi oppositori ufficiali di tutto quanto, in tanti anni, l’Unione europea è riuscita ad esprimere trovandosi ad essere decisamente l’area del mondo più avanzata in termini di diritti e libertà individuali, lotta ai cambiamenti climatici, protezione delle minoranze e quant’altro è qualcosa che probabilmente non ci saremmo aspettati. Espellere un paese non si può, come è noto, anche perché c’è sempre la speranza di un cambio di governo. Ma pensare di poter in definitivamente applicare la politica del prendi i soldi e scappa ha le gambe corte e sempre più europei se ne stanno rendendo conto.
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CONTRO I MATRIMONI MINORILI
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RISOLUZIONE DEL PE SULLE CONDANNE A MORTE IN ARABIA SAUDITA
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Durante la sessione plenaria del Parlamento europeo che si è tenuta tra lunedì 5 e giovedì 8 luglio gli eurodeputati, come previsto dall’articolo 144 del regolamento, hanno discusso di diversi casi di violazioni dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto in corso nel mondo.
In particolare, l’emiciclo ha trattato il caso del medico e docente iraniano Ahmadreza Djalali, accusato di spionaggio e condannato a morte in Iran, della repressione ad Hong Kong, e in particolare della forzata chiusura da parte del regime del giornale Apple Daily, nonché della situazione riguardante le condanne a morte perpetrate in Arabia Saudita (KSA) sui minorenni.
Per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani in corso in Arabia Saudita, gli eurodeputati hanno votato una dura risoluzione che condanna le azioni del regno nei confronti di Mustafa Hashemal-Darwish e Abdullah al-Howaiti, due giovani uomini accusati quando erano ancora minorenni - con prove molto deboli e in seguito a confessioni estorte forzatamente - d’aver partecipato a proteste contro il regime. L’esecuzione di Mustafa Hashem al-Darwish, avvenuta il 13 giugno e di cui avevamo parlato in una scorsa newsletter, non è nemmeno stata comunicata alla sua famiglia che l’ha invece tristemente scoperta dai social media.
Abdullah al-Howaiti si trova in carcere dal 2014 e su di lui, anche se all’epoca dei “fatti” era minorenne e nonostante l’Arabia Saudita abbia firmato la convenzione Onu per i diritti dell’infanzia, pende una sentenza che prevede la sua condanna a morte.
I casi di Mustafa e di Abdullah non sono isolati: quello delle condanne a morte sommarie, delle incarcerazioni arbitrarie e dei trattamenti degradanti nelle carceri rappresentano un modello tipico del giro di vite imposto dal principe ereditario Mohamed Bin Salam (MBS), vero uomo forte del paese. La risoluzione approvata a larga maggioranza (661 voti favorevoli, 3 contrati e 23 astenuti) cita il caso di Jamal Khastoggi, corroborando la consapevolezza che sia stato proprio MBS Il mandante dell’uccisione del giornalista ed il responsabile delle misure a carico di dissidenti come quella riguardante l’éminente studioso Salman al-Odah, tutt’ora in carcere nonostante le sue precarie condizioni di salute, e di Loujain al-Hathloul, celebre attivista per i diritti delle donne che, benché scarcerata, rimane una sorvegliata speciale da parte del regime.
Constatata una volta di più l’inaffidabilità del regno saudita, che promette da tempo riforme nella direzione dei diritti umani senza mai attuarle nella realtà, è di primaria importanza per Non c’è Pace Senza Giustizia che il Parlamento europeo abbia espresso preoccupazione per la pratica delle udienze segrete e abbia insistito sul fatto che durante le missioni diplomatiche (forse anche ricordando la ventilata visita di Charles Michel a Riyadh prontamente cancellata a seguito della protesta di numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani) le istituzioni dell'UE siano accompagnate da ONG internazionali e che siano autorizzate ad assistere alle udienze per accertarsi che siano garantite procedure processuali corrette ed eque nonché sia permesso di visitare le prigioni saudite.
Comunicato stampa NPSG
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ECOCIDIO, UN PASSO AVANTI PER IL SUO RICONOSCIMENTO COME CRIMINE INTERNAZIONALE
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Lo scorso martedì, la fondazione Stop Ecocide ha raggiunto un traguardo importante portando a compimento una prima bozza di configurazione formale del reato di Ecocidio. La bozza presentata contiene anche i suggerimenti di Non c’è Pace Senza Giustizia che nel febbraio di quest'anno ha partecipato proprio alla consultazione internazionale organizzata dalla Stop EcocideFoundation e propedeutica a porre le basi legali per il reato.
In base al testo pubblicato la parola ecocidio fa riferimento a “atti illegali o sconsiderati commessi con la consapevolezza che esiste una probabilità sostanziale di danni gravi e diffusi o a lungo termine all’ambiente da tali atti”. Qualora la definizione predisposta dagli esperti venisse adottata come emendamento allo Statuto di Roma, che regola il lavoro della Corte penale internazionale, il reato di ecocidio acquisterebbe una dimensione legale di “criminalità internazionale” sufficiente per condannare ad esempio la colposa deforestazione dell’Amazzonia e la relativa uccisione di specie animali e vegetali protette.
Dal 2019 Non c’è Pace Senza Giustizia porta avanti una campagna dedicata all’Amazzonia oltre che progetti - come Seja Legal a Amazônia - che ha come obiettivo proprio quello di sensibilizzare governi e istituzioni così come il grande pubblico proprio sulle violazioni ambientali e dei diritti umani – configurabili come ecocidio - che vengono compiute in particolare nel territorio amazzonico brasiliano.
Nella consueta rubrica che Non c'è Pace Senza Giustizia tiene su Radio Radicale, Nicola Giovannini ha intervistato l’europarlamentare on. Eleonora Evi del gruppo Europa Verde e componente della commissione parlamentare europea per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI). la puntata è dedicata ad uno speciale sulla lotta per la difesa e preservazione dell’ambiente e della biodiversità, con un focus particolare sugli aspetti legati alla giustizia ambientale all’introduzione nella giurisdizione europea e internazionale del reato di ecocidio oltre che di altre iniziative che richiedono un impegno sia istituzionale che civico, sia al livello nazionale che internazionale.
Ascolta qui l'intervista
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SITUAZIONE UMANITARIA IN YEMEN
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Non c’è Pace Senza Giustizia è lieta che, ancora una volta, la drammatica situazione umanitaria in Yemen sia stata al centro delle preoccupazioni del Parlamento europeo. Già nel febbraio scorso il P.E. ha approvato una risoluzione che verteva proprio sulla situazione politica e sociale nel Paese martoriato da una guerra che si protrae da più di cinque anni. Il testo approvato si appella a punti molto specifici che NPSG ha sostenuto con forza, tra tutti: il divieto di esportazione delle armi utilizzate nel conflitto; la menzione specifica di KSA e UAE come responsabili del disastro umanitario; la necessità che i crimini di UAE e KSA possano essere giudicati di fronte alla Corte Penale Internazionale (CPI), così come resi accountables anche attraverso altri meccanismi dell'UE, ad esempio il nuovo Regime globale di sanzioni per i diritti umani, sanzioni mirate, divieti di viaggio e congelamento dei beni.
A cinque mesi di distanza dall’approvazione della risoluzione, martedì 12 luglio, la sottocommissione per i diritti umani del parlamento europeo (DROI) in associazione con la delegazione per le relazioni con la Penisola Araba (DARP) dedicherà una hearing speciale alla situazione dei diritti umani in Yemen.
Gli eurodeputati discuteranno con esperti come Radhyai Almutawakel (cofondatore di Mwatana, un'organizzazione indipendente yemenita nata nel 2007), Kamel Jendoubi (presidente del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sullo Yemen) e Gabriel Munuera Vinals, (capo della divisione “Penisola araba e Iraq” del Servizio europeo per l'azione esterna) delle violazioni su larga scala dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale che hanno caratterizzato la guerra civile yemenita, così come la diffusa impunità di tutte le parti coinvolte nel conflitto - Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti in primis - e la necessità di garantire la giustizia internazionale e di portare la legalità nella regione.
Sarà possibile seguire l’incontro che si terrà lunedì12 luglio p.v. dalle ore 13.45 alle ore 14.45 via streaming al cliccando sul seguente link
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09 Jul 2021 Saudi Arabia: NPWJ welcomes European Parliament’s resolution condemning use of death penalty in a context of widespread human rights violations
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01 Jul 2021 Joint Open Letter to the High Commissioner for Human Rights calling for a Fact-Finding Mission in Afghanistan
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25 Jun 2021 Human rights and environmental defenders at risk: the case of Ecuador
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NPSG conduce una rubrica settimanale di approfondimento su Radio Radicale ogni mercoledì alle 23.30 e in replica il venerdì alle 06.00 per fornire notizie e informazioni sulle nostre attività. Nel consueto appuntamento settimanale, dopo le principali notizie della settimana presentate da Eleonora Pastorino, la puntata è dedicata ad uno speciale sulla lotta per la difesa e preservazione dell’ambiente e della biodiversità, con un focus particolare sugli aspetti legati alla giustizia ambientale e altre iniziative che richiedono un impegno sia istituzionale che civico, sia al livello nazionale che internazionale. Per un confronto sull’urgenza di queste sfide e azioni per affrontarle, Nicola Giovannini intervista l’eurodeputata Eleonora Evi di Europa verde e membro della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo.
Ascolta qui la puntata
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Poiché la pandemia non ha arrestato la necessità di tenere alta l'attenzione anche sui diritti umani e la democrazia, come alcune vicende internazionali purtroppo dimostrano, NPSG si è impegnata ad organizzare degli approfondimenti, conferenze e webinar che possono essere seguiti tramite i nostri social network. Per riascoltare i nostri eventi passati clicca qui.
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Aperta la campagna iscrizioni 2021 a Non c'é Pace Senza Giustizia
Se condividi gli obiettivi e le campagne di Non c'é Pace Senza Giustizia, se hai a cuore la difesa e la promozione dei diritti umani e della democrazia ovunque nel mondo, se ritieni giusto sostenere e rafforzare gli strumenti di giustizia penale internazionale esistenti, se pensi anche tu che chi distrugge la foresta amazzonica debba finire sotto processo, iscriviti a non c'é Pace Senza Giustizia, sostieni e fai tue le sue iniziative.
Per iscriversi è necessario versare la quota di iscrizione, che è di minimo 50 euro, a mezzo bonifico bancario IBAN: IT24E0832703221000000002472, BIC: ROMAITRR oppure attraverso Paypal dal sito www.npwj.org e fornire i propri dati anagrafici completi di recapiti.
Diventando Iscritto, riceverai un bollettino periodico delle attività e parteciperai all'Assemblea degli associati, che elegge gli organi e contribuisce a determinare annualmente la politica di Non c'è Pace Senza Giustizia.
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