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lunedì 27 settembre 2021 - n°60
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EDITORIALE

LE DONNE AFGANE CANDIDATEAL PREMIO SACHAROV 
DEL PARLAMENTO EUROPEO

Come diamo conto nel numero della newsletter di questa settimana, inizia oggi l’iter per l’attribuzione del Premio Sacharov del Parlamento europeo per la libertà di pensiero, riconoscimento divenuto negli anni particolarmente prestigioso, anche per le implicazioni politiche che riveste nei confronti del paese del “laureato” annuale.
Il gruppo socialista e democratico da un lato, e quello dei Verdi dall’altro, hanno scelto di candidare un gruppo di donne afgane, a cominciare dalla presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani Sherazad Akbar. in rappresentanza del settore della società afgana che più subirà le conseguenze nefaste della presa del potere da parte di talebani, dopo vent’anni di pur timide conquiste sociali e civili.
Il gruppo del PPE ha invece preferito la figura di Alexej Naval’nyi, scelta senz’altro valida ma che forse in questo momento storico, anche per il forte impatto mediatico e politico che la vicenda della sua persecuzione e detenzione arbitraria continua ad avere, ha un valore aggiunto minore rispetto alla denuncia delle minacce che pesano sull’insieme delle donne afgane, a cui intanto è già stato impedito anche il semplice andare a scuola.
L’importanza del Premio Sacharov in molti casi è proprio quella, infatti, di contribuire a mantenere i riflettori accesi su una situazione altrimenti destinata prima o poi a venire dimenticata o comunque di destare meno l’attenzione dell’opinione pubblica, e quindi in generale di governi e parlamenti, come mostra già ora la relativa scomparsa di notizie quotidiane su quanto sta accadendo nel paese e, a livello internazionale, sulle misure che si stanno prendendo -  non - per affrontare la situazione. Si è letto, ad esempio, che i talebani hanno chiesto di potersi esprimere alla sessione inaugurale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, senza avere espressa contezza della risposta, da supporre negativa perché l’ONU, sinora, non ha riconosciuto il nuovo governo, e la stessa notizia della messa al bando delle donne dai programmi educativi ha avuto poco risalto, pur essendo lo specchietto di quanto ci si deve aspettare come drammatica regressione della condizione femminile.
Ecco perché Non c’é Pace Senza Giustizia, anche a seguito della battaglia che sta conducendo per ché il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU istituisca una commissione speciale indipendente incaricata di monitorare la situazione dei diritti umani nel paese, appoggia fortemente la candidatura delle donne afgane, che proprio oggi sarà presentata in una riunione congiunta delle commissioni parlamentari competenti, auspicando che possa prevalere in sede di votazione finale.

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LA LONGA MANUS DI UAE E KSA
NELLA CRISI TUNISINA

Nel luglio scorso, Kais Saied presidente della Repubblica Tunisina, ha sospeso la Costituzione e ha assunto formalmente i pieni poteri. A due mesi di distanza, Saied non solo non li ha revocati, ma se ne è concessi di ancora più vasti, avviando una presidenzializzazione totale del sistema politico. 
Ad oggi, è lecito dire che con questa mossa, il presidente Saied ha chiuso la pagina della seconda repubblica tunisina - frutto dalla primavera araba del 2011 - legittimata dall’adozione di una costituzione nel 2014. Proprio quella Carta, adottata otto anni fa per evitare derive del potere personale. aveva creato un ibrido tra il regime parlamentare e quello presidenziale: è questo punto che secondo Saied è responsabile di aver provocato una paralisi del sistema politico del Paese non più sostenibile. Il presidente avrebbe dovuto nominare un primo ministro ma ciò non è ancora avvenuto, il parlamento di fatto non esiste più così come non esiste una corte suprema. Ad oggi, benchè Kais Saied abbia dichiarato, imitando De Gaulle, “non è alla mia età (63 anni) che voglio iniziare una carriera di dittatore” le sue intenzioni non sono chiare. Ciò che invece è chiaro dal 2019, è un allineamento di Tunisi verso gli Emirati Arabi Uniti (UAE), l'Arabia Saudita (KSA) e l'Egitto. 
Ci sono buone ragioni per credere che Saied continuerà a portare la Tunisia ad un sempre maggiore allineamento con Abu Dhabi, Riyadh e il Cairo. Benché sia in dubbio che gli emiratini o i sauditi metteranno in Tunisia tanto denaro quanto ne arrivò in Egitto dopo il colpo di stato del luglio 2013, se Saied continuerà a spingere una politica anti-Ennahda (il partito politico tunisino di orientamento islamista moderato) e a reprimere il partito legato ai Fratelli Musulmani, il sostegno degli Emirati Arabi Uniti in varie forme, soprattutto nei media, continuerà ad essere forte. Per i commentatori filogovernativi negli UAE e in Arabia Saudita Saied ha "salvato" la Tunisia dall'Islam politico.
Come Non c’è Pace Senza Giustizia denuncia da tempo, Abu Dhabi e Dubai non calpestano soltanto i diritti umani; è noto, infatti, che il l’obiettivo degli Emirati sia quello di impedire qualsiasi avanzata democratica nei paesi musulmani vicini: Egitto, Yemen, dove sono co-responsabili insieme all’Arabia Saudita di crimini di guerra e contro l’umanità, Siria, Sudan, Libia. Anche la Tunisia fa ora parte di questa lista.

LA MARCIA DELLE DONNE INDIGENE

A partire da agosto, migliaia di leader indigeni hanno iniziato a riunirsi e a mobilitarsi a Brasilia, la capitale del Brasile, per manifestare contro il tentativo di limitare i diritti alla terra dei popoli indigeni come possibile conseguenza di una sentenza della Corte Suprema Federale. Nel corso della più grande mobilitazione indigena degli ultimi decenni, va notata la notevole partecipazione delle donne, con oltre 5000 attiviste provenienti da circa 170 diverse tribù.
La sentenza della Corte potrebbe stabilire un importante precedente per quanto riguarda la negazione del riconoscimento dei diritti alla terra dei popoli indigeni i cui territori ancestrali sono stati acquisiti dal governo prima del 1988, ovvero l’anno in cui la costituzione brasiliana è entrata in vigore. Le attiviste indigene sostengono che tale precedente legalizzerebbe il furto delle terre indigene e altre attività distruttive per la foresta amazzonica, come l’accaparramento di terre, il diboscamento illegale e l’allevamento su larga scala.
Le marce che si stanno tenendo nella capitale brasiliana rappresentano inoltre un momento storico poiché evidenziano l’emergere delle donne indigene come leader di primo piano che lottano per la conservazione dell’Amazzonia e la protezione dei diritti dei popoli indigeni. Come ha affermato Sônia Guajajara, un’importante leader indigena, “noi donne siamo sempre più spesso in prima linea per la difesa della nostra sacra Madre Terra”. Le donne indigene stanno conducendo in prima linea azioni e lotte per le loro comunità, affermando sempre più il loro ruolo di attrici e leader indispensabili nei movimenti di resistenza contro l'estrattivismo. "Stiamo parlando dell'importanza della nostra lotta per le generazioni future e di come vogliamo organizzare e guidare il nostro popolo come donne. Siamo determinate a proteggere la nostra Madre Terra. Lei ci dà tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere", così ha dichiarato la leader indigena Waorani Nemonte Nenquimo. 
Attualmente la deforestazione della foresta pluviale ha raggiunto proporzioni senza precedenti, gli attacchi ai leader indigeni sono in aumento e le ONG devono fare tutto quello che possono per far aprire gli occhi al mondo sulle molteplici violazioni dei diritti umani che stanno avvenendo nel territorio amazzonico.
Dal 2019 NPSG ha attivato una campagna contro la deforestazione in Amazzonia, per la tutela dei diritti delle sue popolazioni indigene e contro l’impunità dei crimini climatici. NPSG è in prima linea nella difesa della foresta amazzonica e, con il sostegno della Fondazione Peretti, ed in particolare della sua fondatrice, Elsa Peretti, e di partner locali, uno degli obiettivi principali del progetto è quello di aumentare la consapevolezza riguardo gli effetti della deforestazione, dell’inquinamento delle acque e in generale dei crimini climatici. NPSG ha l’obiettivo di dare voce e sostenere le popolazioni indigene e di rendere accountable sia chi in prima persona si macchia di gravissimi e reiterati crimini ambientali sia chi li permette e li avalla.

IL PREMIO SACHAROV 2021

Il Premio Sacharov per la libertà di pensiero, assegnato per la prima volta nel 1988 a Nelson Mandela e ad Anatolij Marčenko, è il massimo riconoscimento che l’Unione europea (UE) conferisce agli sforzi compiuti a favore dei diritti dell’uomo. Viene conferito ogni anno dal Parlamento europeo nel corso di una seduta plenaria solenne che ha luogo a Strasburgo verso la fine dell'anno. È attribuito a singoli, gruppi e organizzazioni che abbiano contribuito in modo eccezionale a proteggere la libertà di pensiero.  Il Premio promuove in particolare la libertà di espressione, i diritti delle minoranze, il rispetto del diritto internazionale, lo sviluppo della democrazia e l'attuazione dello Stato di diritto. Diversi vincitori, tra cui Nelson Mandela, Malala Yousafzai, Denis Mukwege e Nadia Murad, sono stati successivamente insigniti del Premio Nobel per la pace. Oggi, dalle 13.45 durante una riunione congiunta, i deputati della Commissione Affari Esteri (AFET), della Commissione Sviluppo (DEVE) e della Sottocommissione per i Diritti Umani (DROI) si riuniranno per valutare le candidature presentate per il Premio Sakharov di quest'anno.
In seguito, i membri di tali commissioni si riuniranno di nuovo il 14 ottobre per restringere la lista dei candidati a una rosa di tre candidati. Il vincitore del 2021 sarà annunciato il 21 ottobre dalla Conferenza dei Presidenti del Parlamento (Presidente e leader dei gruppi politici) e premio sarà consegnato nel corso di una cerimonia di premiazione nella sessione plenaria del 15 dicembre prossimo.
Lo scorso anno il premio Sakharov è stato assegnato all'opposizione democratica in Bielorussia, rappresentata dal Consiglio di coordinamento, un'iniziativa di donne coraggiose e di personalità politiche e della società civile ed è stato consegnato a Sviatlana Tsikhanouskaya e Veranika Tsapkala.

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Comunicati stampa

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05 Sep 2021 Indigenous women can have a key role in the fight against climate change and structural discrimination and violence
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19 Aug 2021 In Colombia, deforestation is now a crime!
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Radio Radicale

NPSG conduce una rubrica settimanale di approfondimento su Radio Radicale ogni mercoledì alle 23.30 e in replica il venerdì alle 06.00 per fornire notizie e informazioni sulle nostre attività. Nel consueto appuntamento settimanale, dopo le principali notizie della settimana presentate da Valerio Demontis, la puntata è dedicata ad un focus su una serie di temi di attualità, sia in termini di diritti umani che di lotta per la preservazione dell’ambiente, attraverso l’impegno specifico del Parlamento europeo in merito. Per illustrare questi temi e questo impegno istituzionale, Nicola Giovannini intervista l’onorevole Pierfrancesco Majorino, europarlamentare del PD, e successivamente Laura Schirru, che segue per conto di NPSG il lavoro delle istituzioni europee e monitora i rapporti di collaborazione con esse. 

Ascolta qui la puntata
 

Eventi
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Poiché la pandemia non ha arrestato la necessità di tenere alta l'attenzione anche sui diritti umani e la democrazia, come alcune vicende internazionali purtroppo dimostrano, NPSG si è impegnata ad organizzare degli approfondimenti, conferenze e webinar che possono essere seguiti tramite i nostri social network. Per riascoltare i nostri eventi passati clicca qui.

Aperta la campagna iscrizioni 2021 a Non c'é Pace Senza Giustizia

Se condividi gli obiettivi e le campagne di Non c'é Pace Senza Giustizia, se hai a cuore la difesa e la promozione dei diritti umani e della democrazia ovunque nel mondo, se ritieni giusto sostenere e rafforzare gli strumenti di giustizia penale internazionale esistenti, se pensi anche tu che chi distrugge la foresta amazzonica debba finire sotto processo, iscriviti a non c'é Pace Senza Giustizia, sostieni e fai tue le sue iniziative.

Per iscriversi è necessario versare la quota di iscrizione, che è di minimo 50 euro, a mezzo bonifico bancario IBAN: IT24E0832703221000000002472, BIC: ROMAITRR oppure attraverso Paypal dal sito www.npwj.org e fornire i propri dati anagrafici completi di recapiti.

Diventando Iscritto, riceverai un bollettino periodico delle attività e parteciperai all'Assemblea degli associati, che elegge gli organi e contribuisce a determinare annualmente la politica di Non c'è Pace Senza Giustizia.

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