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  Newsletter n.47 del 17/12/2021

Dare valore e senso al tempo
 (di Walther Orsi)


Dopo oltre due anni che conviviamo con questa difficile pandemia, penso possa essere utile fare alcune valutazioni su come la situazione di emergenza ci ha cambiati.

Nei primi tempi si diceva che “tutto andrà bene”, ipotizzando che saremmo tornati presto a vivere come prima, o addirittura che questa pandemia ci avrebbe stimolati per un cambiamento positivo. 

A questo proposito nella newsletter n.12 del 20/3/2020 - “Incertezze dell’emergenza ‘Coronavirus’ e nuovi scenari di cittadinanza attiva” si diceva che “questa emergenza, con le sue incertezze, fa comprendere meglio il senso di determinati limiti della società in cui viviamo, ma anche il senso di nuovi scenari possibili che finora abbiamo ignorato, o sottovalutato”.
Circa un anno fa, nella newsletter n.27 del 20/11/2020 - “L’emergenza: uno stimolo per generare nuove reti relazionali” si era inoltre sottolineata la necessità di “un profondo cambiamento culturale ed un risveglio etico dei cittadini e delle organizzazioni” e di “sviluppare  nuovi stili di vita, nuovi atteggiamenti e comportamenti orientati dai valori della solidarietà, dell’inclusione sociale, della tutela del bene comune”.

Oggi, se cerchiamo di interpretare l’attuale situazione, penso emerga una realtà molto più complessa, caratterizzata da luci ed ombre.

In questi due anni abbiamo assistito a grandi cambiamenti, ma anche innovazioni a livello politico, economico, culturale e sociale, che mi limito ad accennare, per estrema sintesi, con alcune parole chiave: il PNRR ha messo in campo non solo nuovi investimenti economici, ma anche nuovi paradigmi culturali e scenari operativi, la COP 26 (Conferenza delle Parti sul clima che si è svolta a Glasgow), come del resto le manifestazioni per il clima in tutto il mondo, sono state le occasioni per risvegliare una maggiore sensibilità sui temi della tutela dell’ambiente e dei rischi legati al cambiamento climatico; il tema delle vaccinazioni ha fatto emergere forti contrapposizioni nella popolazione, fra chi ha creduto nella scienza, nelle istituzioni e nei professionisti  e chi invece non si è fidato delle campagne vaccinali mettendo in evidenza soprattutto rischi, paure, minacce alla libertà; questa emergenza ha maturato comunque nella popolazione la consapevolezza che non tutto dipenda dalle istituzioni e dalle organizzazioni, ma anche dai comportamenti dei singoli cittadini.

In questi due anni abbiamo inoltre vissuto processi involutivi ed incontrato nuovi problemi. Anche in questo caso mi limito ad accennarne alcuni sinteticamente: i movimenti no vax hanno messo in evidenza atteggiamenti e comportamenti a volte irrazionali e violenti, caratterizzati dalla negazione delle evidenze scientifiche e dei dati di realtà; questi movimenti rischiano di mettere in crisi il patto di solidarietà, fra cittadini e istituzioni, su cui si fonda il sistema di welfare; le ultime elezioni amministrative, che sono state caratterizzate da un forte astensionismo soprattutto dei giovani, di cui abbiamo parlato nella newsletter n.46, hanno reso evidente una vera e propria crisi della politica e degli organi di rappresentanza; i limiti relativi alle attività che prevedono forme di aggregazione sociale e manifestazioni in presenza hanno provocato notevoli condizionamenti e limitazioni nelle relazioni interpersonali e quindi a volte anche una maggiore chiusura verso gli altri; l’interruzione di determinate attività economiche e lavorative ha aumentato le situazioni di povertà e di disoccupazione che hanno colpito soprattutto i giovani e le donne. 
Indubbiamente è ancora prematuro fare un bilancio su come l’emergenza abbia  condizionato i movimenti di cittadinanza attiva ed in particolare le buone pratiche sociali delle persone. E’ possibile però individuare alcune ipotesi interpretative che spero possano essere utili per incentivare le motivazioni e valorizzare le capacità dei cittadini, come imprenditori di qualità della vita.

Accanto ad una crescente consapevolezza del potere della cittadinanza attiva, in questo periodo si è sviluppata però una crisi, legata alla chiusura di tante attività economiche, culturali e sociali, che in qualche modo ha condizionato la cura delle relazioni interpersonali e quindi può avere frenato  lo sviluppo di buone pratiche sociali.

Questa crisi non ha prodotto solo condizionamenti nella cittadinanza attiva, ma ha anche provocato situazioni di disagio, malessere  e violenza che, nel perdurare dell’emergenza, diventa più difficile contrastare. Mi riferisco ad esempio ad alcuni fenomeni in costante aumento: dalla violenza alle donne alla partecipazione dei minorenni a bande giovanili (secondo l’Osservatorio nazionale adolescenza il 6,5% dei minorenni fa parte di una banda; fenomeno che viene segnalato in crescita dalla Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza), dalle malattie mentali ai fenomeni di dipendenza, dalla violenza nelle piazze alle situazioni di disagio e conflitto familiare, dall’abbandono scolastico precoce all’elevata percentuale di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti “Neet”), dalle situazioni di indebitamento alle nuove povertà, dai problemi economici che hanno investito soprattutto le donne all’aumento del fenomeno della disoccupazione femminile, a causa di licenziamenti e totale assenza di assunzioni.

Di fronte a questa nuova situazione che si è venuta a creare, a causa della pandemia, credo non sia sufficiente augurarci di superare presto i limiti ed i vincoli che oggi ci condizionano notevolmente (dalla mascherina al green pass, dalle paure di frequentare luoghi con assembramenti alle rinunce ai viaggi, ecc…), proiettandoci in un futuro ancora molto incerto,  ma sia necessario sperimentare, già da oggi, nuovi percorsi di riflessione per rigenerare le motivazioni e le condizioni di una cittadinanza attiva.
Per iniziare a procedere in questa direzione vorrei partire da alcune considerazioni, che ho potuto sviluppare in questi ultimi mesi, dovendo riorganizzare il mio tempo di vita stando più spesso in casa. Ebbene questa nuova situazione, caratterizzata anche da tempi vuoti, per me si è rivelata come una formidabile occasione di riflessione proprio sul valore e sul senso del tempo.

In questa società centrata sul consumismo non sempre abbiamo la consapevolezza che, oltre a consumare beni e servizi, consumiamo tempo.

Prima della pandemia spesso mi dicevo: “Vorrei fare quell’attività, ma non ho tempo; appena avrò tempo lo farò; quante cose vorrei fare, ma non ho tempo”.

Le conseguenze erano caratterizzate a volte da: stress, frustrazione, senso di inadeguatezza.

Le modalità di utilizzo del tempo spesso erano legate ad un consumo eccessivo di beni e servizi, non sempre indispensabili, attraverso ad esempio: uno shopping crescente, un esagerato utilizzo di internet, dei social e dei mass media, l’accumulo di oggetti spesso inutili, un’attività turistica compulsiva.


E’ possibile iniziare a prendere consapevolezza di chi  e come ci ruba tempo 
In questo periodo, in qualche modo ancora condizionato dai vincoli dell’emergenza, penso sia possibile individuare i consumi di tempo non indispensabili,  o che stanno sacrificando altri tempi  importanti. Ad esempio: il tempo eccessivo del lavoro spesso ruba quello da dedicare alle relazioni affettive ed amicali; un tempo esagerato per i social (quando emergono anche fenomeni di dipendenza) può rubare quello per altre opportunità, come la formazione, la cultura, lo sport, le relazioni interpersonali, ecc...  

I consumi di tempo si possono riequilibrare
Penso quindi  sia possibile sperimentare un percorso di riduzione dei tempi non indispensabili, nella prospettiva di dedicarli agli ambiti di tempo che ritengo  prioritari.

Come investire in qualità della vita una parte del tempo recuperato 
Diventa allora stimolante investire il tempo recuperato in uno degli ambiti che più direttamente può determinare qualità della vita.  Ad esempio dedicando questo tempo per delle letture, per un corso on line di formazione, per coltivare un hobby, per una serie di interventi nella casa finalizzati al risparmio energetico, per condividere con amici un programma di iniziative culturali, anche condotte a distanza, per attività sportive da effettuare nel parco vicino a casa, per attività di volontariato e di cittadinanza attiva, ecc….


Come condividere il senso del tempo recuperato
Per valorizzare quello che è cambiato nelle mie relazioni ed azioni, grazie al tempo recuperato, ma anche per valutare se c’è stato un conseguente  miglioramento della qualità della vita è importante da un lato rappresentare tale cambiamento con un’immagine, o una parola chiave, dall’altro condividere il senso di questa innovazione nella mia rete sociale di riferimento (come ad esempio: famigliari, amici, conoscenti, colleghi, vicini).
E’ possibile valorizzare questo tempo recuperato per sviluppare una buona pratica sociale.

Una modalità particolarmente significativa di utilizzo del tempo recuperato è quella dell’elaborazione, condivisione e gestione di una buona pratica sociale.

In questa prospettiva può essere utile individuare  quali sono le aree di interesse a cui posso fare riferimento. Il sito delle buone pratiche sociali fornisce un elenco di tali aree particolarmente ricco, fra cui si può scegliere quella più coerente con i propri valori, esperienze e conoscenze. Si va dalle attività culturali, sportive e di socializzazione alla solidarietà abitativa, dalla condivisione di beni e servizi per uso sociale alla cura delle aree verdi, dall’educazione e sostegno scolastico dei ragazzi, alla promozione di una comunità educante, dalla valorizzazione della storia del territorio al turismo sociale. 

Una volta scelta l’area di interesse è importante porsi degli obiettivi di miglioramento che tentino di conciliare il proprio benessere con la promozione della  qualità della vita nella comunità e nel territorio. Ad esempio: il mio interesse per curare le piante, per mettere a dimora nuovi alberi nell’area adiacente la mia residenza, si potrebbe conciliare con la possibilità di valorizzare e migliorare il parco vicino a casa, per renderlo più attraente e fruibile dai  cittadini.

Il passo successivo è quello di ipotizzare tempi e risorse personali, da dedicare a tale iniziativa di cittadinanza attiva, ma anche individuare i possibili alleati (come: amici, vicini, colleghi, conoscenti, reti sociali, associazioni)  che potrebbero essere interessati e coinvolti per elaborare insieme una possibile buona pratica sociale (anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie comunicative), condividendo obiettivi, risorse ed attività.
Per avere ulteriori idee e suggerimenti, su gli ambiti e le modalità di sviluppo di  una buona pratica sociale, Vi consiglio di consultare il sito Buone Pratiche Sociali.
Sono molto interessato a ricevere le Vostre idee ed osservazioni critiche, le Vostre esperienze e proposte, che mi potete inviare attraverso:
•   il gruppo facebook Buone pratiche sociali
•   il profilo Instagram buonepratichesociali_er
•   mail al seguente indirizzo: buonepratichesociali@cittadinanzattiva-er.it 

 
   Tanti Affettuosi Auguri di Buon Natale e Buone Feste
Per conoscere le buone pratiche sociali di cittadinanza attiva:

https://buonepratichesociali.cittadinanzattiva-er.it/
Guarda i video dei seminari sulle buone pratiche sociali dei cittadini a Bologna sul nostro canale Youtube:

https://www.youtube.com/channel/UCz18I362U8en5jOjNipI-pg
 
#buonepratichesociali di Cittadinanzattiva Emilia Romagna
un progetto di Walther Orsi

con la collaborazione di
Irene Amendola, Anna Baldini, Francesca Capoccia, Salvatore Condorelli, Paola Cuzzani, Claudia D'Eramo, Corinna Garuffi, Angelica Leoni, Francesco Scotece, Lorenzo Patera, Anastasiia Vitiuk
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