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7 gennaio 2022

Sudamericana

La newsletter sull’America Latina a cura di Camilla Desideri

Giovane e di sinistra Il Cile ha un nuovo presidente. Gabriel Boric, 35 anni, il 19 dicembre ha vinto il secondo turno delle elezioni ottenendo il 55,8 delle preferenze e affermandosi sul candidato di estrema destra José Antonio Kast. Sostenuto dalla coalizione di Apruebo dignidad, un gruppo molto ampio che comprende il Partito comunista fino a formazioni di centrosinistra, l’11 marzo Boric succederà a Sebastián Piñera (centrodestra) diventando il più giovane presidente del paese, rappresentante di una classe politica che è cresciuta e si è formata in democrazia.

Nato nel 1986 a Punta Arenas, nell’estremo australe del Cile, Boric conosce la dittatura di Augusto Pinochet più per quello che ha letto e gli hanno raccontato che per sua esperienza personale. Appartiene a una generazione nata a cavallo della transizione democratica ed entrata in politica nel 2011, con le proteste studentesche scoppiate proprio per criticare i “successi” della transizione, la continuità del modello neoliberista affermatosi durante il regime militare e le profonde disuguaglianze della società cilena.

Gli studenti, allora come oggi, chiedevano un’istruzione libera e gratuita e uno stato che garantisse a tutte e tutti i cileni le stesse opportunità. L’anno successivo Boric era stato eletto presidente della Federazione studentesca dell’Universidad de Chile imponendosi su una delle figure più visibili del movimento, Camila Vallejo. Poi nel 2013, insieme a Vallejo e ad altri due ex dirigenti studenteschi minori di 30 anni, Boric è stato eletto alla camera dei deputati.

Dialogo e alleanze Forse però il momento fondamentale della sua carriera politica è stato nel 2019, durante le manifestazioni scoppiate alla fine di ottobre contro l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana e in poco tempo diventate il più ampio movimento di protesta dal ritorno alla democrazia nel 1990.

Il 15 novembre infatti Boric aveva appoggiato l’accordo per cercare un’uscita politica alla crisi e convocare un’assemblea costituente con il compito di riscrivere la costituzione, eredità della dittatura di Pinochet. È stato criticato da molti compagni e alleati, ma ha guadagnato credibilità istituzionale e politica. Come fa notare la giornalista brasiliana Carol Pires sulla Folha de S.Paulo, ora Boric per governare dovrà fare ulteriori concessioni e tessere nuove alleanze.

Tuttavia proprio questa sua capacità di dialogare in modo poco dogmatico potrebbe essere la sua forza e trasformarlo nel rappresentante di una nuova sinistra latinoamericana: attento alle istanze del movimento femminista e ai bisogni delle minoranze come chiave per costruire una società più giusta, critico con i governi autoritari di Cuba, Venezuela e Nicaragua, deciso a puntare su un’economia verde. Boric è riuscito a ribaltare il risultato del primo turno il 21 novembre, quando Kast aveva ottenuto la maggioranza dei voti, perché ha teso la mano al centro e ai moderati, cercando l’appoggio e il sostegno della Democracia cristiana e del Partido socialista, compreso quello dell’ex presidente Michelle Bachelet (oggi alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani) che in un video aveva invitato le cilene e i cileni ad andare a votare per lui.

Democratizzare la democrazia Boric ha vinto le elezioni cilene promettendo cambiamenti strutturali, facendosi portavoce delle esigenze emerse dalle proteste sociali del 2019 e poi sfociate nell’elezione dell’assemblea costituente, dove gli indipendenti sono la gran maggioranza. Oggi i giovani sanno di vivere in un paese più libero e con maggiori opportunità di quello in cui sono cresciuti i loro genitori, riconoscono i successi della transizione democratica ma denunciano un modello economico che ha portato le famiglie a indebitarsi per la sanità, l’istruzione e le pensioni. Tutti vogliono ricevere i benefici del “miracolo cileno”, che ha costruito un paese con i migliori indicatori economici della regione ma dove la ricchezza è in mano a poche famiglie. L’economista Noam Titelman, studioso del Cile, ha definito il programma di Boric come un tentativo di “democratizzare la democrazia”, riunendo le preoccupazioni sulla “fine del mondo” legata alla crisi climatica all’esigenza di arrivare alla fine del mese, quindi ai diritti sociali.
Tutto l’articolo si può leggere sul sito di Internazionale.

Per approfondire:
  • Il discorso emozionante di Boric subito dopo la vittoria.
     
  • Sul New York Times, in inglese e in spagnolo, un ritratto di Boric e della sua carriera politica dalle manifestazioni studentesche nel 2011 fino alla vittoria alle presidenziali il 19 dicembre 2021.
     
  • Una bella riflessione dello scrittore cileno Alejandro Zambra (classe 1975) sul rapporto tra padri e figli, nella vita personale e in quella politica: “La generazione di Gabriel Boric, i nostri fratelli minori, ha ucciso davvero il padre. Ha formato partiti propri e si è rifiutata di farsi carico dei nostri traumi. Si merita ammirazione, gratitudine e affetto”.
     
  • “Ha vinto la memoria”, scrive la peruviana Gabriela Wiener in una column sul Diario.es.
     
  • Nonostante la vittoria di Boric, la destra in Cile ha ottenuto molti voti e il paese resta diviso. Un articolo uscito su Revista Anfibia.

Gabriel Boric dopo la vittoria a Santiago del Cile (Cristobal Olivares, Bloomberg/Getty Images)

Attualità

Haiti Il 1 gennaio 2022, in occasione dell’anniversario dell’indipendenza di Haiti, il primo ministro Ariel Henry ha partecipato alla messa in una chiesa della città di Goïnaves, nel nord dell’isola, un gesto che nessuna autorità aveva fatto negli ultimi quattro anni, scrive il quotidiano le Nouvelliste. Intorno al posto c’erano transenne ed erano state disposte delle misure di sicurezza straordinarie. Tuttavia Henry non ha potuto pronunciare il suo discorso a causa di una sparatoria fuori dalla chiesa che ha provocato la morte di almeno una persona e ne ha ferite altre. La situazione della sicurezza ad Haiti è precipitata negli ultimi mesi, soprattutto dopo l’omicidio del presidente Jovenel Moïse lo scorso luglio.

Argentina Il 30 dicembre 2020 il senato argentino approvava il disegno di legge che ha reso legale l’interruzione volontaria di gravidanza entro la quattordicesima settimana di gestazione. Un anno dopo, scrive il quotidiano Página 12, è importante fare i primi bilanci. Dopo lunghe lotte e mobilitazioni, la soddisfazione per aver ottenuto una legge che garantisce a tutte le donne un aborto legale, sicuro e gratuito resta grande, ma l’applicazione della norma è molto disuguale nel territorio nazionale. In alcune province – come Misiones, Corrientes, San Juan, San Luis, Mendoza, Catamarca, La Rioja – si continua a negare il diritto all’interruzione di gravidanza ed è complicato trovare un ospedale o un medico che pratichi l’aborto. Inoltre ci sono ancora carenze nella preparazione del personale medico e sanitario e nell’accoglienza psicologica per le pazienti che decidono di abortire, spesso colpevolizzate per la loro scelta e trattate con aggressività. In alcune zone dell’Argentina molte donne ignorano perfino che l’aborto è diventato legale. Sul supplemento Las 12, la giornalista Laura Rosso racconta la storia di Rocío, una ragazza di 16 anni che vive a 250 chilometri dalla città di Bahia Blanca e che aveva deciso di abortire senza comunicarlo alla famiglia. Una serie di ostacoli burocratici e di disattenzioni mediche, però, l’hanno spaventata e convinta a portare avanti la gravidanza. Per fornire assistenza psicologica a tutte le donne, in particolare le più giovani e quindi più fragili, secondo Rosso è fondamentale rivolgersi alle associazioni femministe dislocate in tutto il territorio nazionale.

Un gruppo di donne segue le votazioni per legalizzare l’aborto fuori dal parlamento a Buenos Aires, 30 dicembre 2020 (Mario De Fina, Anadolu Agency/Getty Images).

Cuba Il 27 dicembre Walnier Luis Aguilar Rivera, un ragazzo di 21 anni residente a La Güinera, un quartiere popoloso e povero dell’Avana, è stato condannato a 23 anni di carcere per aver partecipato alle manifestazioni antigovernative dell’11 luglio 2021. Rivera era stato arrestato dopo le proteste e per tre mesi i familiari non avevano avuto sue notizie. Secondo i dati forniti da Justicia11J, un gruppo indipendente sulle detenzioni per motivi politici nato dopo le contestazioni della scorsa estate, dalla metà di dicembre 150 persone sono state processate per ragioni legate alle proteste. La maggior parte è stata accusata di sedizione e ha ricevuto condanne fino a trent’anni di carcere. Settecento persone sono ancora in prigione. “Non c’è dubbio”, scrive il giornalista cubano Abraham Jiménez Enoa sul Washington Post, “la parola d’ordine nell’isola nel 2021 è stata repressione. E ora, con la maggior parte degli esponenti della società civile in esilio o in carcere, il movimento cubano a favore della democrazia deve per forza reinventarsi per non abbandonare la lotta per i diritti. Qualsiasi nuovo percorso dovrà essere il frutto di un processo collettivo, non solo della leadership individuale”.

Colombia Il 3 gennaio il ministero della difesa ha annunciato che almeno 23 persone sono morte nei combattimenti tra gruppi armati rivali nel dipartimento nordorientale di Arauca, vicino al confine venezuelano. A scontrarsi sarebbero stati elementi dell’Eln, l’ultimo gruppo ribelle ancora attivo nel paese, e dissidenti delle Farc contrari all’accordo di pace del 2016. I due gruppi si contendono il controllo delle rotte del traffico di droga in Colombia e in Venezuela.

Una buona notizia

Il 23 dicembre il governo del Salvador ha ordinato la liberazione di tre donne che hanno passato in carcere tra i sei e i quindici anni per aver interrotto volontariamente la gravidanza. Erano state condannate per omicidio. Secondo varie organizzazioni femministe e per la difesa dei diritti umani, le donne avevano abortito in modo spontaneo a causa di complicazioni ostetriche. “Tre delle diciassette donne ingiustamente incarcerate per aver sofferto di complicazione sanitarie durante la gravidanza sono state liberate”, ha scritto in un comunicato l’ong Nos faltan Las 17 (Ci mancano le 17) che si batte per la giustizia sociale e i diritti delle donne nel Salvador, uno dei paesi latinoamericani con le leggi più severe sull’aborto: è vietato in ogni circostanza, anche quando la gravidanza è un pericolo per la vita della donna. Leggi ugualmente restrittive ci sono in Nicaragua, Honduras e Repubblica Dominicana. “Grazie al nostro potere collettivo tre donne potranno trascorrere il Natale con le loro famiglie. Il mio cuore trasuda allegria e gioia, sono sicura che è solo l’inizio di un percorso”, ha scritto Paula Avila, direttrice del Women’s equality center. Il 30 novembre 2021 la Corte interamericana per i diritti umani ha stabilito che El Salvador ha violato i diritti di una donna identificata come Manuela, arrestata nel 2008 e condannata a trent’anni di prigione per omicidio aggravato dopo aver avuto un aborto spontaneo. Manuela era morta due anni dopo in carcere a causa di un tumore non adeguatamente diagnosticato né curato, lasciando due figli.

Da leggere

  • Era la sera del 27 novembre 1983 quando il volo 747 della compagnia Avianca, partito da Parigi, si schiantò vicino a Madrid dove avrebbe dovuto fare scalo prima di proseguire per Bogotá, in Colombia. Su quel volo c’erano vari scrittori sudamericani, imbarcati per partecipare al convegno della cultura ispanoamericana nella capitale colombiana, tra cui il peruviano Manuel Scorza, l’argentina Marta Traba e il messicano Jorge Ibargüengoitia. Quest’ultimo, nato nel 1928, è l’autore dei capolavori Le morte e Due delitti, pubblicati anche in Italia in diverse edizioni. Transfuga in Francia, Ibargüengoitia era un caustico cronista del suo tempo, dei fatti politici del suo paese e non solo. Torna il 13 gennaio in libreria, nella storica traduzione di Angelo Morino per l’editore Nuova Frontiera, Ammazzate il leone (1969). Lo scrittore immagina un’isola dei Caraibi dove nel 1926 il presidente maresciallo Belaunzarán, ormai alla fine del suo quarto e ultimo mandato vuole modificare la costituzione per non lasciare il potere e l’unico modo di liberarsene per i suoi avversari è organizzare un improbabile complotto. Ibargüengoitia evita il romanzo storico e ne fa invece una satira esilarante sul potere, che a distanza di cinquant’anni non è invecchiata, e tutto si deve allo stile raffinato e a un’intelligenza di sguardo che ha fatto scuola, vedi Osvaldo Soriano e Roberto Bolaño. Purtroppo, tutti scomparsi prematuramente. È il consiglio di lettura di Alberto Riva, giornalista e scrittore.

Jorge Ibargüengoitia. (Dr)

Su Internazionale

Sul sito

  • Un reportage del quotidiano francese Le Monde dal sud del Messico ragiona sui vantaggi e i problemi di Sembrando vida, il programma di punta del governo del presidente Andrés Manuel López Obrador per aiutare milioni di contadini a uscire dalla povertà.

Sul settimanale
  • In un articolo uscito sul quotidiano cileno El Mostrador, Patricio Fernández scrive che il successo del mandato di Gabriel Boric come presidente del Cile è legato a quello dell’assemblea costituente. E in un commento pubblicato sulla Tercera Daniel Matamala sostiene che la vittoria di Boric non è una rottura con il passato, ma il risultato di un lungo processo di transizione cominciato nel 1988 con il referendum su Augusto Pinochet.

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