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the moony files #14

Buongiorno, bentornato nella fanzine digitale di Lunetta11.

The moony files è la newsletter dedicata alla nostra arte, ai nostri artisti e al nostro territorio.

 

Che cos'è che fa sì che un essere umano inizi a collezionare? Si tratta di una passione, di una ossessione? Il gesto della raccolta è un gesto antico, che riporta indietro ad ataviche sensazioni. Scegliere per godere, per custodire, per respirare un piacere in solitaria contemplazione nella propria stanza fisica e mentale. E un attimo dopo mostrarla al mondo, agli amici, per sentire nell'altro un simile accadere.
I collezionisti e i collezionisti d'arte in particolare sono persone estreme. Vivono sulla tensione del "o ora o mai più" dell'acquisto e allo stesso tempo modellano un gusto collettivo, aiutano artisti, li incoraggiano. Plasmano il proprio stile di vita sulla base di un mercato da seguire e talvolta da inseguire.

Oggi vi portiamo da Giovanni Scarzella originario del nostro territorio e detentore assieme alla moglie Camilla Previ di una collezione che nel 2022 compie dieci anni, la Collezione Scarzella. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a New York dove proprio in questi giorni si trova in occasione di un viaggio "da collezionista" che da tempo pianificava. Ci siamo fatti raccontare come sia nata la loro collezione e il bello e il difficile di essere un giovane collezionista in Italia oggi. 

Buona lettura!
p.s. Al fondo dopo la sezione Local Tips una sorpresa per voi, una nuova sezione che inauguriamo con un amico!
 

People from Lunetta - Collezione Scarzella

Ciao Giovanni, inizierei con una domanda di rito: quando e come hai iniziato il tuo percorso di collezionista?

Sono collezionista da una decina d’anni. Ho sempre avuto la passione per l’arte contemporanea, fin dai tempi dell’università, e l’ho sempre seguita in vari modi. La scintilla per il collezionismo è scattata ad Arte Fiera di Bologna nel 2012; lì ho cominciato a guardare l’arte con un occhio da collezionista, pur non conoscendo nulla di quel mondo sono rimasto folgorato e ho comprato le mie prime due opere di Fabrizio Cotognini - dalla Prometeo Gallery. Da lì è iniziato quel percorso che oggi porta la collezione ad annoverare circa ottanta pezzi. Poi con Fabrizio è nata una grande amicizia e questo è uno degli aspetti più interessanti: al di là dell’acquisto, quello che il collezionismo ti regala dal punto di vista di esperienze umane eccezionali.


C’è stata un’opera o un artista in particolare che ti hanno fatto scattare la scintilla?

Non c’è stata un’opera in particolare, è stato più il percorso nella sua interezza, in generale. Sono entrato in quel meccanismo, soprattutto relativo alle fiere e poi subito dopo frequentando le gallerie. I miei viaggi li ho iniziati ad organizzare a seconda delle mostre, da lì è partito il tutto. È stato un avvicinamento generale all’arte. I primi quattro e cinque anni ho cercato di esplorare il sistema, capire come funzionasse, comprando tanta arte italiana contemporanea giovane che ancora oggi è appesa ai muri di casa mia. Ci sono stati errori ovviamente ma con il tempo impari a riconoscere con chi vale la pena avere rapporti.

Nel processo di conoscenza di un’artista che emozioni provi quando visiti i loro studi? Che ruolo ha quell’esperienza?

Fare visita ad uno studio è una delle emozioni più belle che può regalare il percorso come collezionista. In moltissimi casi ho comprato opere perché mi sono innamorato della meticolosità di certi artisti. Ad esempio Rodrigo Hernandez : andai a casa sua a Lisbona e mi innamorai dei suoi sketch book, da quello ho apprezzato molto di più i suoi lavori e ho finito poi per comprarne uno. Penso che se ci fossero più studio visit si venderebbero molte più opere, perché finisci per innamorarti del processo. Adesso per esempio sono qui a New York proprio per fare questo, per esplorare il covo di diversi artisti; sono due anni che cerco di organizzare questo viaggio.

Ci racconti in generale il bello e, se c'è, il brutto del tuo percorso, con qualche episodio magari?

Inizio da cosa può andare male: una galleria che sparisce e di conseguenza i suoi artisti che spariscono con lei. Una cosa che mi è successa agli inizi. Dopo due o tre anni una galleria di Bari ha chiuso e io quegli artisti non li ho più incontrati, è una cosa che mi ha deluso, perché fai degli investimenti ma poi finisci per scoprire che dall’altra parte il progetto non è serio. Questo mi ha insegnato che bisogna stare molto attenti al luogo e alla serietà, dove e come si fanno gli acquisti. Un episodio bello in senso molto generale invece è quando compri artisti all’inizio del loro percorso per poche migliaia di euro e dopo un po’ ti accorgi che girano a ben altri prezzi. In quel momento ti rendi conto che hai fatto bene il tuo lavoro e che hai lavorato con gente seria.

Michelle Uckotter, Em As Far I Am Aware, collezione Scarzella

Tua moglie Camilla è una storica dell’arte. Come funziona il rapporto tra di voi nell’ottica della scelta delle opere, della costruzione della collezione?

Con lei condivido tutte le scelte, costruiamo la collezione insieme. Si potrebbe dire che lei è l’anima più razionale, io quella più emotiva - impulsiva. Anche se ormai ci siamo dati criteri precisi condivisi per gli acquisti: tendenzialmente pittori nati dopo il ’90, che seguono un certo tipo di linee. Lei mi ha aiutato ed è stata trainante soprattutto all’inizio, ora sono io che la trascino un po’ di più soprattutto sulle cose contemporanee. Tendenzialmente facciamo o faccio scelte condivise.

C’è un filo conduttore che unisce la vostra collezione? Tematico, stilistico etc?

Per i primi quattro o cinque anni abbiamo collezionato molto disegno, scultura, arte concettuale italiani. Poi ho cambiato metodo grazie all’acquisto di Maxwell Alexander un artista brasiliano molto giovane. Fa figure molto stilizzate che raccontano la vita nelle favelas brasiliane. Rimasi molto affascinato e riuscì a comprarlo per il rotto della cuffia dopo aver parlato con la galleria che lo rappresentava. Da allora abbiamo iniziato a collezionare pittura, pittura giovane e tendenzialmente vivace, potente, forte. Tutt’ora sono innamorato della pittura, l’anno scorso ho comprati venti dipinti. Sono entrato in questo mondo che per anni mi ha affascinato, ma che forse, essendo legato al classicismo italiano e ai nostri stilemi stilistici, all’inizio ho fatto un po’ di fatica a penetrare.

Alexandre Maxwell, "Febre dourada", Collezione Scarzella

Perché questo focus sulla pittura giovane? 

Perché mi piace scoprirli, se lavorano già con gallerie blasonate non fanno più per me. Mi piace comprarli in fase iniziale: è più rischioso e più facile sbagliare, ma mi diverto anche di più. Cerco di comprare opere che siano già importanti e mature, non troppo piccole e soprattutto che siano significative di quell’artista. Comprando artisti giovani è una cosa a cui prestare attenzione questa della maturità, altrimenti ti ritrovi con prototipi di lavori più che con opere vere e proprie. Poi invece per quanto riguarda tecniche e stile non c’è un vero filo rosso, spaziamo molto.

Secondo te cosa c’è ancora di frainteso nel ruolo del collezionista in Italia, sia dal pubblico che dalle istituzioni?

A me piacerebbe che tutti potessero avere la stessa passione che io provo quando vado in giro per fiere e gallerie, quando compro un’opera, quando insomma curo questo percorso nella sua interezza. Per poter far sì che succeda è indispensabile che ci sia modo di parlare al pubblico, esporre le proprie opere, invitare direttamente le persone a casa. È un lavoro di tutti i giorni questo, esce sempre fuori qualcosa da seguire, da curare. È un modo di vivere dietro alla collezione che è entusiasmante. Vivo a Milano da parecchi anni ma sono piemontese e mi piacerebbe molto fare qualcosa per la mia terra natia; esporre la mia collezione, portarla al pubblico che poi sono i miei amici, le persone con cui sono cresciuto. Non so quanto si possa già spoilerare ma c'è un progetto nell'aria, che verrà realizzato in un paese dell'Alta Langa, con una galleria della zona (!), un progetto in puro spirito di divulgazione. L’idea da promuovere è che in questo territorio non ci sono solo cibo e vino, ma anche cultura e arte.

In quest’ottica quindi come hai percepito la nascita di Lunetta11?

Lunetta è una realtà che mi ha folgorato, una delle più promettenti del panorama italiano. Nella provincia di Cuneo è il primo e unico progetto serio di arte contemporanea che abbia mai visto. Loro hanno preso e sono andati vivere lì, per interagire con il territorio: troppo facile stare seduti a Milano e fare una mostra così, una tantum, fuori. Loro sono partiti e stanno intessendo relazioni vere con i territorio, i comuni, le persone, la politica locale. In questo modo sì che si costruisce in modo reale qualcosa di duraturo. Poi umanamente ci siamo trovati subito e spero (e credo) che collaboreremo di più nel prossimo futuro.

Local Tips - Uri Sapori Condivisi

Abbiamo più volte parlato di come il nostro territorio negli ultimi anni si stia rinvigorendo grazie alla nascita di nuovi progetti, spesso per mano di persone provenienti da tutto il mondo. Oggi parliamo di una storia che dal punto di vista del nostro palato abituato alla cucina piemontese tradizionale ha dell'incredibile, il ristorante Uri.

Uri nasce ed è curato da Federica, figlia di contadini piemontesi e Kim, cittadino dell’immensa Seoul. La loro cucina fonde i prodotti tipici delle langhe (spesso direttamente coltivati da loro nell’orto) con le tecniche e le tradizioni coreane. Due anime sapientemente mescolate dalle mani dello chef Kim in un ambiente accogliente ma elegante gestito da Federica, direttrice di sala. Uri in coreano significa “insieme”, una parola che descrive bene l’esperienza sensoriale ricercata nella loro cucina.


La loro storia è avvincente. Si conoscono tra i vapori delle cucine di chef stellati ( Massimo Camia, Cannavacciuolo , Davide Palluda ), scoprono passioni comuni e grande affinità, si innamorano e iniziano a immaginare una cucina fatta a modo loro. Per un anno lasciano tutto e viaggiano tra Stati Uniti e Spagna. Per poi tornare e...

Un altro progetto giovanissimo (Federica è del ’94, Kim del ’91) che porta una ventata d’aria fresca nel nostro territorio usando un approccio allo stesso tempo rispettoso e impenitente. Legato alle tradizioni, ma proiettato verso un futuro che per forza di cose è sempre più legato al concetto di melting pot culturale e generazionale cui il mondo (e il nostro territorio) sembrano aprirsi sempre di più. Un percorso da seguire, una metodologia che ci appartiene, ci affascina e che sicuramente è una chiave di volta per far sì che il nostro territorio trovi sempre più una centralità e freschezza culturale cui sembra essere ormai destinato.

Video Killed the Radio Star

Lunetta11 è animata da un innegabile e fondamentale dna musicale. Vogliamo iniziare a riflettere di più questa caratteristica nei nostri progetti e nella nostra newsletter, così abbiamo deciso di avvalerci dei consigli di amici e persone che stimiamo per questa nuova rubrica dedicata ai video musicali. Ci è sembrato infatti naturale pensare al video musicale come ad una delle forme che uniscono in modo più stimolante ed immediato arte e musica, una comunicazione tra espressioni diverse ma collegate da un filo rosso che, nei migliori casi, danno vita ad un qualcosa di completamente nuovo ed eccitante.

 

La prima scelta è stata affidata ad un amico di Lunetta11, Samuel Umberto Romano, meglio conosciuto come Samuel. Leader dei Subsonica, membro dei Motel Connection e titolare di una ricchissima carriera solista e come collaboratore di alcuni dei nomi più importanti della scena musicale italiana. Proprio in questi giorni è uscito il suo nuovo singolo "Elettronica" accompagnato da un video, a firma di Ivan Cazzola, dove una Torino notturna che non esiste più si riprende la scena. Il video lo potete vedere qui.

Per la nostra nuova rubrica Samuel ha scelto “Come to Daddy” di Aphex Twin, video diretto da quel gigante di Chris Cunningham. Un video lisergico e folle: una gang di bambine con la faccia dello stesso Aphex Twin distrugge e terrorizza un quartiere popolare, aizzate da una figura mostruosa che prende vita nello schermo di un televisore rotto e che finisce per emergerne in tutta la sua affascinante disgustosità, assumendo anch’essa il volto del produttore britannico. Un perfetto specchio delle sonorità claustrofobiche e allo stesso tempo creativamente esplosive del brano, tra elettronica sperimentale, accenni di hardcore continuum e suoni demoniaci lanciati nel brano a tutto a velocità come un treno nella notte. Buon ascolto/ visione!

 

Through the keyhole - i consigli di zia

Un articolo

Osservatorio Futura, una delle realtà più avvincenti nate in questi ultimi anni, invita Giacinto Di Pietrantonio a raccontare il mestiere del curatore, dall'origine risalente ad una manciata di decenni fa fino ad oggi. Qui.


Un magazine

E' uscito il nuovo numero di Ligabue Magazine! Dai bastoni dell'Oceania in mostra a Palazzo Franchetti a Venezia, alla storia dei semi di mela che giunsero in occidente percorrendo la via della Seta.
Lo trovi qui.



Due recensioni per due libri 

Su Doppiozero un bellissimo pezzo di Emanuele Coccia su un libro uscito più di un anno fa: Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni dell'urbanista Giovanni Attili (Quodlibet, 2020). Le città del mondo occidentale stanno morendo, Civita, città italiana in provincia di Viterbo ne è un presagio?
La recensione, qui.


Su Antinomie la recensione del libro di Lucilla Lijoi Il sognatore sveglio (Mimesis, 2021). Una approfondita ricerca su Alberto Savinio e il suo percorso artistico durante decennio 1933-1943. Uno dei rari casi in cui studi di giovani ricercatori italiani, frutto di ricerche dottorali, approdano sugli scaffali di librerie non solo universitarie. 
La recensione, qui.

 

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