Magubane, L'Occhio Dell'africa
di Stefano Romano
“Fu attraverso gli occhi,
il coraggio e la penna dei neri
che il mondo intero poté vedere
Soweto in fiamme.”
(Peter Magubane)
In questi anni recenti sono tornati, purtroppo, di cronaca episodi di violenza subita dalla popolazione afro-americana, con le città di tutto il mondo in rivolta per le uccisioni di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio del 2020 e Rayshard Brooks ad Atlanta. Come una marea si è alzato il grido di protesta in America, e non solo, contro le disuguaglianze razziali che suonavano assurde ai tempi dell'apartheid e lo sono ancora di più al giorno d'oggi. Questi accadimenti mi hanno portato alla mente la storia di un fotografo, Peter Magubane, non molto famoso ma la cui vita è esemplare e racconta di come le cose non siano cambiate poi tanto.
“Funerale di un ragazzo di 13 anni, prima vittima dei disordini del 1976”
©Peter Magubane
Magubane nasce a Johannesburg nel 1932 e ben presto si appassiona alla fotografia, con il sogno di poter collaborare con la rivista “Drum”, una sorta di “Life” del Sud Africa, gergale e chiassosa ma capace di dare voce all'Africa dei neri. Riuscì ad entrare nella redazione della rivista e fare praticantato in ambito fotografico: voleva essere uno dei fotografi di punta. “A quei tempi – gli anni cinquanta – il fotogiornalismo era per i neri una novità assoluta. Quando se ne presentò l'occasione, però, sapemmo farlo al meglio”, così racconta Magubane. E la sua carriera iniziò proprio con l'entrara in vigore dell'apartheid. Il suo primo incarico per “Drum” fu la convenzione del 1955 dell'African National Congress. Da allora capì che quello era il suo destino: fotografare e documentare per dare voce al popolo africano, al punto di dormire nella redazione, mandare a rotoli il suo matrimonio, e rischiare la vita moltissime volte; per non dire di tutte le circostanze in cui fu arrestato e picchiato dalla polizia per il suo lavoro che dava molto fastidio.
“Peter Magubane arrestato”, 1958 ©Jurgen Schadeberg
Si può affermare che, molto probabilmente, Magubane è stato uno dei fotografi più malmenati nella storia della fotografia, senza arrivare – per fortuna – alla morte, come accadde per il grande Eugene Smith. “Una volta ci fu un grosso processo politico a Zeerust e alla stampa fu vietato di riferire del suo andamento. Decidemmo invece che il servizio l'avremmo fatto, sia per la cronaca sia per le fotografie. Alla fine pensammo di nascondere una Leica IIIG, con grandangolo regolato in precedenza, in una mezza pagnotta. Fingendo di mangiare il mio pane, fotografai due scene: l'ingresso degli imputati nell'aula e l'aggiornamento dell'udienza. Quando non potei più continuare questo trucco, nascosi l'apparecchio in un cartone del latte e ripresi a fotografare.” Un'altra volta, nascose una piccola macchina fotografica nelle pagine tagliate di una Bibbia, sempre per aggirare i divieti alla stampa.
“Nomzamo Mandela” ©Peter Magubane
Ma anche di entare ed uscire dalla carceri. Fino al momento più terribile della sua vita, quando nel 1970 fu costretto al confino per cinque anni, senza poter fotografare e rischiando quasi la pazzia. “Non sei più un essere umano, la gente ti evita, è come se avessi la lebbra”, scrisse. Sarà costretto a inventarsi nuovi lavori, venderà tappeti, vestiti, mobilio. Ma la polizia non lo lasciava in pace. Nel 1971 fu di nuovo arrestato, interrogato in cella con le mani e le caviglie incatenate ad un palo. Fu rinchiuso 98 giorni in isolamento, concentrandosi sul canto degli uccelli per non pedere il senno. Ci impiegò un anno per tornare a fotografare, e di nuovo in mezzo alle rivolte, agli scontri, con i tumulti di Soweto nel 1976: con la città in fiamme e le persone uccise per strada dal fuoco della polizia. Fu picchiato ancora, gli agenti gli spaccarono il naso, ma nonostante tutto nel 1976 vinse il prestigioso premio dell'Enterprising Journalism Award, il massimo riconoscimento giornalistico sudafricano. Nel 1977 si trasferisce a New York dove vive tuttora, tornando altre volte nel suo paese, anche se ancora le autorità sudafricane rifiutano di rilasciargli in tesserino stampa. Si è sposato di nuovo con un Alto Commissario delle Nazioni Unite per i profughi a Lusaka, nello Zambia, e ha pubblicato molti libri.
Magubane non passerà alla storia come uno dei Maestri della Fotografia, ma di certo il suo impegno sociale e la sua vita sono stati d'esempio, di come la passione può diventare il desino di un'intera esistenza, anche a rischio della stessa. È un esempio per capire come, nonostante il mondo abbia fatto dei progressi, la mentalità di molte persone sia rimasta ancorata a quel periodo e a quelle fotografie. Per questo ho voluto raccontare la sua storia, affinché alla statue abbattute in America si possano innalzare i simboli di vite che furono percosse e imprigionate ma che non smisero mai di urlare la loro protesta e la loro richiesta di uguaglianza.
Anche solamente con un clic dentro una pagnotta.
Dal Blog: https://soccamacha.blogspot.com/p/magubane-locchio-dellafrica.html
|