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25 febbraio 2022

Sudamericana

La newsletter sull’America Latina a cura di Camilla Desideri

Brasile, 17 febbraio 2022. Vista dall’alto dei danni provocati dall’alluvione a Petrópolis. (Ricardo Moraes, Reuters/Contrasto)

Catastrofe ricorrente Il 15 febbraio la pioggia eccezionale che ha colpito la città di Petrópolis, in una zona montuosa a nord di Rio de Janeiro, ha provocato inondazioni, smottamenti del terreno e frane, causando più di 180 morti e centinaia di dispersi. E purtroppo il bilancio continua ad aumentare. In appena tre ore è caduta più acqua di quella che era prevista per tutto il mese di febbraio. Ci sono stati quasi 260 millimetri di pioggia, la quantità più alta dal 1932 quando l’istituto nazionale di meteorologia ha cominciato le rilevazioni. Nel 1988 e nel 2011 le alluvioni avevano provocato vittime e danni nella stessa zona e già dal 2017 la prefettura era a conoscenza di almeno quindicimila immobili ad alto rischio di essere distrutti a causa delle piogge.

In un editoriale la Folha de S.Paulo parla di tragedia ricorrente e sottolinea che disporre dei servizi di allerta meteorologica, informare le persone del pericolo e avere leggi per gestire queste catastrofi è importante anche se non basta a risolvere il problema. “Dove possono essere trasferiti gli abitanti delle zone a rischio? E come impedire alle persone di occupare nuovamente alcuni terreni insicuri quando gli spostamenti sono gestiti spesso dalle milizie e dalle bande criminali?”. Il quotidiano fa notare che la spesa pubblica per l’urbanistica e i traporti privilegia sempre le zone più ricche. Bisogna quindi mettere in atto un piano di ridistribuzione del patrimonio immobiliare e delle risorse pubbliche, incentivando dalla tassazione progressiva e gli investimenti privati in opere socialmente utili.

Assenza dello stato Per molte persone in Brasile le entrate non saranno mai abbastanza per potersi permettere una casa dignitosa e sicura, ma mancano sia politiche di ridistribuzione della ricchezza sia uno stato sociale che assegni un’abitazione a chi ne ha bisogno. In molti casi le autorità lasciano che le persone costruiscano da sole i propri alloggi, quindi con pochi mezzi e in condizioni di insicurezza. Lo stato si dimostra assente non solo nella prevenzione di catastrofi come quella di Petrópolis, ma anche nella gestione dei soccorsi, come si legge in un’analisi che esce oggi su Internazionale e che i lettori e le lettrici di Sudamericana possono leggere gratuitamente: “In mancanza di squadre specializzate per il soccorso, i sopravvissuti scavano nel fango con bastoni o con le mani sperando di trovare i corpi di parenti e amici. Vogliono dargli sepoltura e affrontare il lutto. Invece di fermarsi per curare le ferite fisiche e psicologiche, gli abitanti cercano di supplire all’assenza di pompieri e di personale della protezione civile”.

Attualità

Diplomazia I paesi alleati di Mosca in America Latina – Venezuela, Nicaragua e Cuba – hanno difeso l’operazione militare lanciata dalla Russia contro l’Ucraina. “Cosa si aspetta il mondo? Che il presidente Putin se ne stia con le braccia incrociate e non agisca in difesa del suo popolo?”, ha detto il leader venezuelano Nicolás Maduro il 24 febbraio in un messaggio trasmesso in tv in cui ha attaccato “la Nato e l’impero statunitense” dichiarandoli responsabili della crisi tra Mosca e Kiev. Il presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha difeso il riconoscimento delle repubbliche del Donbass e ha condannato con forza l’applicazione di sanzioni economiche contro la Russia. Una posizione ferma contro la guerra è arrivata dal Messico, attraverso le parole del ministro degli esteri Marcelo Ebrard, che ha chiesto la fine delle ostilità e la risoluzione del conflitto tramite il dialogo. Il Brasile di Jair Bolsonaro, come racconta un articolo del País, sta cercando un difficile equilibrio per non scontentare né Mosca né Washington, “niente di sorprendente per un paese che si è mantenuto neutrale durante la guerra fredda”. Un rifiuto netto dell’operazione lanciata da Putin è arrivato dal Cile, dove il nuovo presidente Gabriel Boric, che s’insedierà l’11 marzo, ha condannato “l’invasione dell’Ucraina, la violazione della sua sovranità e l’uso illegittimo della forza”.

Repubblica Dominicana Il 20 febbraio è cominciata la costruzione di un muro nell’isola caraibica di Hispaniola, che la Repubblica Dominicana condivide con Haiti. Il presidente dominicano Luis Abinader ha inaugurato l’opera nella città di Dajabón e ha detto che la barriera ridurrà drasticamente l’immigrazione irregolare e il contrabbando di armi e sostanze stupefacenti. Il muro, che dovrebbe coprire un po’ meno della metà dei quasi 400 chilometri di confine tra i due paesi, sarà alto circa quattro metri e sormontato da una rete metallica. Inoltre, sarà dotato di fibra ottica, sensori di movimento, telecamere e droni. Lungo il suo percorso ci saranno almeno settanta torri di controllo. Il progetto della barriera era stato annunciato il 27 febbraio 2021, giorno in cui la Repubblica Dominicana celebra la sua indipendenza da Haiti. Negli ultimi tempi l’emigrazione da Haiti al paese vicino è aumentata e di pari passo sono cresciute le espulsioni e le misure contro i migranti adottate dal governo di Santo Domingo, che le giustifica sottolineando l’aggravarsi della crisi politica ed economica nel paese vicino. I settori dove gli haitiani cercano impiego sono soprattutto quello agricolo ed edile.

Diritti Il parlamento dell’Ecuador ha approvato il 17 febbraio, dopo un lungo dibattito e una serie di negoziazioni, il progetto di legge che depenalizza l’aborto nel caso in cui la gravidanza sia il risultato di uno stupro. La proposta fissa il limite per abortire a dodici settimane di gestazione per le maggiorenni e a diciotto settimane nel caso di bambine e ragazze con meno di diciott’anni. È stato proprio il limite massimo per l’interruzione di gravidanza a creare maggiori dissidi tra i partiti. “Noi donne ecuadoriane", ha detto la deputata di Izquierda democrática Johanna Moreira, “ci siamo sacrificate per le bambine che subiscono violenza nel paese, ma soprattutto per le donne delle comunità rurali e native che non hanno mezzi né risorse per poter abortire e spesso non realizzano di essere incinte prima della ventesima settimana. Questa purtroppo è la realtà”. Secondo la giornalista ecuadoriana Isabela Ponce, che sul sito Gk si occupa di femminismi e diritti delle donne, il progetto di legge è una sconfitta, perché la maggior parte dei parlamentari si è comportata come se i diritti si potessero negoziare al mercato, cercando di mettere ostacoli su ostacoli sul cammino che porta tante donne vittime di violenza alla difficile decisione di abortire.
 

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Cultura Un’enorme statua moai il 21 febbraio ha lasciato il Museo di storia naturale di Santiago del Cile, dov’era ospitata dal 1870, per tornare all’isola di Pasqua. La scultura, che pesa più di settecento chili, sarà trasportata in camion fino al porto di Valparaíso, dove sarà imbarcata su una nave per arrivare cinque giorni dopo sull’isola che si trova a oltre tremila chilometri dalla costa cilena. La ministra della cultura Consuelo Valdés, che ha partecipato alla cerimonia e al difficile imballaggio e trasporto della scultura, ha detto che è la prima volta che una statua lascia il continente per tornare sull’isola di Pasqua (Rapa Nui nella lingua locale). Inoltre, ha aggiunto, l’evento fa parte di un progetto più ampio per devolvere collezioni e oggetti alla loro terra natale. Per il popolo rapa nui i moai rappresentano lo spirito dei loro antenati e sono quindi trattati con venerazione e rispetto.

Perù È cominciato il 21 febbraio il processo contro l’ex presidente Ollanta Humala e sua moglie Nadine Heredia. Entrambi sono accusati di corruzione e di aver ricevuto finanziamenti illeciti dal governo venezuelano e dall’azienda edile brasiliana Odebrecht per le campagne elettorali del 2006 e del 2011. L’accusa ha chiesto vent’anni di carcere per Humala e 26 per la moglie. Entrambi si dichiarano innocenti. Tra le persone chiamate a deporre ci sono altri due ex presidenti peruviani, Pedro Pablo Kuczynski e Alejandro Toledo, anche loro accusati di affari illeciti con la compagnia. Toledo si trova negli Stati Uniti in attesa che il dipartimento di stato dia il via libera alla sua estradizione per essere processato in Perù, mentre Kuczynski, agli arresti domiciliari, è in attesa di giudizio per aver ricevuto tangenti dalla Odebrecht.

Ecuador Il presidente Guillermo Lasso ha annunciato il 22 febbraio un provvedimento di grazia per cinquemila detenuti con l’obiettivo di ridurre il sovraffollamento nelle prigioni del paese. Il governo ha anche presentato un piano per trasformare il programma di riabilitazione sociale e mettere fine alla grave crisi carceraria che vive l’Ecuador. Nel 2021 più di 320 persone sono morte nelle violenze scoppiate nelle carceri. Circa 39mila persone sono attualmente detenute, il 30 per cento in più rispetto alla capienza massima. Secondo il governo le violenze scoppiate nelle prigioni del 2021 sono state causate da una guerra tra bande che si disputano il potere e il controllo del traffico di droga, ma sono emersi problemi di sovraffollamento, mancanza di fondi, scarsa manutenzione delle strutture e corruzione delle autorità.

Lingue native

Puerto Williams, Cile, aprile 2017. Cristina Calderón, a sinistra, insieme a una nipote. (Martin Bernetti, Afp)

La chiamavano la abuela, la nonna. Cristina Calderón, ultima rappresentante del popolo nativo degli yagán, è morta in Cile il 16 febbraio a 93 a causa di complicazioni legate al covid-19. Gli yagán erano un popolo nomade che si spostava in canoa e che per seimila anni ha abitato la Terra del Fuoco, nell’estremo sud dell’America. Calderón era l’ultima parlante nativa della lingua yamana (una lingua con più di trentamila parole, secondo la compilazione che fece il missionario britannico Thomas Bridges alla fine dell’ottocento) e la custode di una cultura che a poco a poco è andata perdendosi per il contatto con altri popoli nativi e la popolazione bianca locale. Anche se Calderón ha lasciato sette figli e quattordici nipoti, nessuno conosce la lingua come lei. “Dopo la morte di mia sorella nel 2003 sono rimasta sola, senza nessuno con cui parlare”, raccontò Calderón al quotidiano spagnolo El País nel 2014. “Ho imparato un po’ di spagnolo all’eta di nove anni. A quei tempi tutti parlavano yagán, poi la gente ha cominciato a morire e sono rimasta solo io. I bambini non volevano impararlo, si vergognavano perché i bianchi ridevano di loro”. Come ha spiegato la figlia Lidia González, Calderón compilò insieme a una nipote un dizionario e un libro di leggende originarie. Per fortuna si può ancora sistematizzare la lingua e salvarla dall’estinzione.

Lontano da Cuba

In questa newsletter ho citato spesso Abraham Jiménez Enoa, un giornalista cubano indipendente, tra i fondatori del sito El Estornudo e osservatore attento della realtà politica dell’isola, di cui ha denunciato abusi e ingiustizie. Da poche settimane Enoa ha lasciato il paese e in un testo personale pubblicato nella sezione in spagnolo del Washington Post racconta cosa lo ha spinto a prendere questa decisione: “Sono partito soprattutto perché non volevo più essere perseguitato per il mio lavoro, ma anche perché non volevo più vivere la vita a cui sono costretti oggi molti cubani. È difficile sopportare una quotidianità fatta di assenza di libertà e carestia. Alla repressione del governo si è aggiunta la situazione in cui è precipitata l’isola. Dopo l’illusione di una distensione diplomatica con gli Stati Uniti, una catena di eventi ha fatto precipitare la crisi economica e sociale: le più di duecento sanzioni commerciali e finanziarie imposte dall’amministrazione Trump, la pandemia di covid-19 e il conseguente crollo del turismo, le riforme economiche del presidente Díaz-Canel che avrebbero dovuto rilanciare l’economia e invece hanno finito di distruggerla”. Tutto questo ha provocato una scarsità di generi alimentari, medicine e prodotti di base che a Cuba non si vedeva dagli anni novanta, quando venne meno l’aiuto fondamentale dell’Unione Sovietica.

Oltre alla crisi economica, i cubani stanno facendo i conti con un inasprimento della repressione: a gennaio sono cominciati i processi contro i manifestanti che lo scorso luglio avevano partecipato alle proteste antigovernative in più di quaranta città e centri minori dell’isola. Decine di persone sono state condannate – tra queste secondo gli attivisti ci sono anche dei minorenni – e molti hanno ricevuto pene superiori ai vent’anni. “Oggi potrei essere sul banco degli imputati senza aver commesso nessun delitto. Invece sono in salvo a Barcellona e mi chiedo quando finirà la disgrazia che viviamo noi cubani. Speriamo presto, in modo che nessuno debba più lasciare il paese per sentirsi una persona”.

Un disco

Nel vivace scenario rap brasiliano degli ultimi anni il nome di Baco Exu do Blues si è affermato con due dischi, Esú (2017) e Bluesman (2018). Nel 2020 era atteso un nuovo disco ma il rapper, al secolo Diogo Moncorvo, lo ha bloccato anche se era già pronto e ha pubblicato delle tracce digitali intitolate Não tem bacanal na Quarantena. Adesso invece arriva il nuovo cd intitolato Quantas vezes você já foi amado? (Quante volte sei già stato amato?) con un’infornata di ospiti che raccontano con efficacia la scena della musica attuale, dalla drag queen Gloria Groove (Samba in Paris) all’attrice e compositrice Musa Maya (Sei partir) alla “vecchia guardia” rappresentata da Gal Costa. Nei suoi pezzi Baco, che ha 26 anni e viene da Bahia, affronta temi che riguardano il pregiudizio etnico, lo stigma sul corpo (lui stesso pratica boxe, dopo aver sofferto perché giudicato sovrappeso), ma nel nuovo disco indaga di più il lato sentimentale, con un’onda melodica che strizza l’occhio al pop danzabile. Talento eclettico, molto attento al lato visuale, il lungo clip tratto dal disco Bluesman nel 2019 ha vinto il Primo premio al festival della pubblicità a Cannes. Ne aveva parlato Giovanni Ansaldo in un articolo sul sito di Internazionale. È il consiglio di ascolto di Alberto Riva, giornalista e scrittore.

Baco Exu Do Blues. (Dr)

Eventi

Una donna si confronta con la sua infanzia segnata da un problema alla nascita: un neo bianco sulla cornea che l’ha costretta a portare per anni un grosso cerotto sull’occhio sinistro. La bambina, immersa in un universo fatto di suoni nitidi e di immagini sbiadite, sviluppa fin da piccolissima un profondo senso di estraneità nei confronti del mondo che la circonda. Sullo sfondo, il Messico degli anni settanta, la scuola Montessori, i figli degli esuli politici e i suoi genitori in una relazione aperta. Poi, con gli anni ottanta, tutto viene spazzato via: la famiglia si disgrega, il padre sparisce e la madre vola in Francia per proseguire gli studi lasciando la giovane protagonista, e il fratello, a casa di una nonna un po’ bigotta. Il corpo in cui sono nata è il secondo romanzo della scrittrice messicana Guadalupe Nettel, che La Nuova Frontiera ripropone nella traduzione di Federica Niola (Einaudi lo aveva pubblicato anni fa). Un libro che parla del corpo, della diversità e dell’idea fragile di normalità, dell’infanzia, di come si guarda il mondo e ovviamente del Messico. In occasione dell’uscita del romanzo Nettel torna in Italia per presentarlo. Andrà in diverse città, da Roma a Milano, da Torino a Venezia. Qui potete trovare il programma completo di tutti gli incontri. Consiglio, a chi può, di andare ad ascoltarla.

Su Internazionale

Sul sito

  • Un articolo sullo sfruttamento dei bambini venezuelani alla frontiera con la Colombia, dalla Liga Contra el Silencio. Molti, per aiutare le famiglie, sono costretti a lavorare e spesso finiscono nelle reti delle bande criminali attive nella zona.
  • E poi, il giornalista Carlos Dada riflette sulle ripercussioni dell’arresto dell’ex presidente dell’Honduras e della richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti, dove dovrebbe essere processato per narcotraffico.

Sul settimanale
  • Dopo le alluvioni a Petrópolis, nello stato di Rio de Janeiro, la risposta delle autorità statali è stata insufficiente. Un’analisi del sito brasiliano Uol.
  • In apertura, una foto da Ciudad Juárez, in Messico, tristemente famosa per la violenza contro le donne.

Foto di Nanna Heitmann (Magnum/Contrasto)
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