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25 marzo 2022

Economica

La newsletter su economia e lavoro a cura di Alessandro Lubello

Lianyungang, Cina, 24 febbraio 2022 (Si Wei, VCG/Getty Images)

La fine della globalizzazione
“L’invasione russa dell’Ucraina ha messo fine alla globalizzazione che abbiamo conosciuto negli ultimi trent’anni”. Lo ha scritto Larry Fink nella lettera annuale agli azionisti della BlackRock, il fondo di gestione patrimoniale di cui è amministratore delegato, il più grande al mondo grazie ai diecimila miliardi di dollari gestiti. L’aggressione del Cremlino, ha spiegato il manager, cambierà l’economia mondiale e farà salire ancora l’inflazione, spingendo le aziende a tirarsi fuori dalle loro catene di produzione globale. Nell’immediato il conflitto ha prodotto l’isolamento della Russia e sta costringendo i paesi occidentali a ridurre o eliminare la loro dipendenza energetica da Mosca. Ma in realtà, ha spiegato Fink, “le aziende e i governi stanno guardando anche ai rapporti con altri paesi. Questo potrebbe indurle a riportare a casa o ad avvicinare le loro attività”. Una delle conseguenze sarà il fatto che bisognerà accettare prezzi più alti per molti prodotti, condizione che metterà in difficoltà chi guadagna meno e quindi spende buona parte del proprio reddito per comprare beni di prima necessità. La crisi energetica legata al conflitto, inoltre, frenerà la transizione ecologica. Un altro aspetto di cui si parla meno, ha aggiunto Fink, è l’accelerazione dell’uso delle criptovalute.

Lo scenario delineato da Fink porta a quella che il Wall Street Journal chiama  “la guerra fredda emergente tra la Russia e la Cina da un lato e gli Stati Uniti e i suoi alleati dall’altro”. Un oriente contro occidente che non ha semplicemente un significato geografico, ma geopolitico. “L’oriente”, spiega il quotidiano statunitense, “è definito da paesi allineati con la Cina, che rappresenta l’unica economia davvero in crescita dello schieramento. La Russia infatti era già un’economia stagnante prima delle sanzioni, mentre gli altri componenti – per esempio il Kazakistan, la Bielorussia, il Pakistan, la Corea del Nord, la Cambogia e il Laos – sono poveri o a crescita lenta, o entrambe le cose. L’occidente, formato dall’Unione europea, dai paesi anglosassoni (Stati Uniti, Australia, Canada, Regno Unito e Nuova Zelanda) e dalle tre grandi e ricche democrazie dell’est asiatico (Giappone, Corea del Sud e Taiwan), forse non cresce rapidamente come la Cina, ma ha un grande vantaggio” in termini di potere finanziario, ricerca avanzata e conoscenze tecnologiche. Ovviamente, sottolinea il Wall Street Journal, l’oriente domina le materie prime e la produzione manifatturiera, ma bisogna ricordare che senza la tecnologia occidentale non potrebbe mantenere questi vantaggi. “Basta fare un esempio: per realizzare un complesso progetto legato al gas naturale liquefatto nel mare Artico, la Russia dipende da aziende norvegesi, francesi e italiane”. Il vantaggio occidentale dipende innanzitutto dalla capacità di garantire alti livelli d’istruzione e di attirare talenti da tutto il mondo. I paesi occidentali non dispongono dello stesso numero di laureati in materie scientifiche della Cina, ma sopperiscono a questa carenza con gli immigrati, a cui garantiscono benessere ma soprattutto libertà. “Da uno studio dell’Institute of international and strategic studies dell’università di Pechino realizzato nel 2021 risulta che il 34 per cento dei miglior esperti cinesi d’intelligenza artificiale lavora in Cina, mentre il 56 per cento si trova negli Stati Uniti, che offrono un ambiente relativamente rilassato e innovativo. Nell’alta tecnologia gli imprenditori sono motivati dalla libertà e dalla ricchezza, entrambe cose che stanno diventando impossibili in Cina e in Russia”.

Russia

Pagamenti in rubli
Dopo aver rischiato l’insolvenza, “alla fine la Russia si è allontanata dall’orlo del precipizio”, scrive Le Monde. Il 18 marzo, sia pure con due giorni di ritardo, Mosca ha rispettato una scadenza del suo debito pubblico. Il governo russo doveva pagare interessi per 117 milioni su titoli di stato denominati in dollari. Dopo il congelamento delle riserve estere della sua banca centrale, la Russia aveva annunciato che i creditori dei “paesi ostili” avrebbero ricevuto i loro soldi in rubli, anche se il prestito era in una valuta straniera. Tuttavia il giorno del rimborso Mosca ha cercato di fare un’altra manovra: pagare in dollari, ma usando i soldi bloccati dalle sanzioni. Poteva farlo? A quanto pare sì, almeno stando a una clausola che regola le sanzioni decise dal governo statunitense, spiega il quotidiano francese. Questa norma, infatti, concede fino al 25 maggio un’esenzione sulle operazioni di rimborso del debito pubblico.

Per il momento, conclude Le Monde, “le autorità russe sembrano voler evitare scossoni troppo forti al sistema finanziario del paese”. Mosca ha davanti altri pagamenti in scadenza (solo questo mese più di 600 milioni dollari), ma le cose potrebbero complicarsi. Il 23 marzo il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che il Cremlino accetterà solo pagamenti in rubli per la vendita di gas e ha dato alla banca centrale una settimana di tempo per adattare il sistema. La decisione è studiata per colpire soprattutto i paesi dell’Unione europea, che comprano il 40 per cento delle loro forniture di gas dalla Russia. In realtà potrebbe avere effetti limitati e alla lunga finire con il penalizzare soprattutto la Russia, o più precisamente i suoi cittadini e le sue aziende, rivelandosi solo una mossa propagandistica. Come spiega il Wall Street Journal, oggi non è facile per le aziende occidentali procurarsi e usare i rubli a causa delle sanzioni. Inoltre, potrebbe rappresentare una violazione dei contratti sottoscritti (come hanno subito sottolineato la Germania e l’Italia), spingendo i compratori a continuare a pagare come prima oppure a rivedere gli accordi o addirittura a uscirne. In ogni caso, bisogna ricordare che già adesso tutte le aziende russe sono obbligate a convertire in rubli l’80 per cento dei loro incassi in valuta straniera, una misura escogitata dalla banca centrale russa per sostenere il valore del rublo, che in seguito alle sanzioni si è svalutato di circa il 40 per cento. Ora con il nuovo sistema si passerebbe al 100 per cento, e l’effetto principale sarebbe che l’onere di sostenere il rublo cadrebbe interamente sulle spalle di cittadini e aziende russe, che si ritroverebbero con la valuta nazionale lasciando quella pregiata nelle mani del regime di Mosca. Nel frattempo il cambio del rublo migliorerà, ma alla lunga dovrebbe riassestarsi sui suoi valori reali.

Unione europea

Nuove norme per frenare i colossi digitali
Il 24 marzo il parlamento europeo e la presidenza francese del Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo sul Digital markets act (Dma), un pacchetto di misure che insieme al Digital services act (Dsa) forma la futura regolamentazione del settore digitale nell'Unione europea. Il Dma vieterà alcune pratiche delle aziende digitali considerate “essenziali” e che svolgono il ruolo di “gatekeeper”. È definita essenziale una piattaforma con un valore di borsa di almeno 75 miliardi di euro o un fatturato annuale di più di 7,5 miliardi di euro. I gatekeeper, invece, sono le aziende che forniscono servizi che attirano almeno 45 milioni di utenti al mese nell'Unione europea. “Queste aziende”, spiega la Süddeutsche Zeitung, “sono una sorta di ‘buttafuori’ del web, perché possono sfruttare il loro potere per decidere chi può navigare o per danneggiare la concorrenza. Per questi operatori del settore la normativa introduce regole più severe, che si orientano alle esperienze fatte dalla Commissione europea nei suoi procedimenti antitrust contro colossi come Google, Apple e Amazon”. In futuro, per esempio, Google non potrà più privilegiare i suoi servizi nei risultati delle ricerche online. Un gatekeeper non potrà - come è accusata di fare Amazon – raccogliere i dati dei commercianti che usano la sua piattaforma e usarli per le proprie offerte. La Apple, inoltre, dovrà permettere sui suoi smartphone una maggiore libertà nella scelta delle app da installare. C’è anche l'obbligo per i grandi servizi di messaggistica, come Whatsapp o Messenger, di aprirsi alle piattaforme più piccole.

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Numeri

4,4%

Negli Stati Uniti i salari delle donne crescono a un ritmo superiore a quelli degli uomini, un cambiamento significativo rispetto al periodo precedente la pandemia di covid-19. Secondo l’Atlanta federal reserve, uno degli istituti che compongono la Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti), a febbraio i salari femminili sono cresciuti del 4,4 per cento, contro il 4,1 per cento di quelli maschili. È il sesto mese consecutivo che viene registrato un risultato simile, sottolinea il Wall Street Journal.

Nonostante i recenti progressi, il divario salariale di genere negli Stati Uniti resta ampio: nel 2021 il salario settimanale mediano per lavoratrice a tempo pieno era pari all’83,1 per cento di quello degli uomini. La causa principale resta il fatto che nel paese le donne prevalgono nei settori che offrono lavori pagati meno. Costituiscono infatti il 75 per cento dei dipendenti in otto delle venti occupazioni con il salario settimanale mediano più basso. Inoltre, coprono il 62 per cento dei lavori part-time. Molte donne statunitensi, infine, sono costrette a lasciare il lavoro quando scelgono di avere un figlio, e durante la pandemia si sono dimesse per occuparsi dei figli.

Irlanda

Dublino circumnaviga la Brexit
L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, la cosiddetta Brexit (decisa con un referendum nel 2016 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2021), ha rotto i ponti tra Londra e l’Europa continentale, ma anche quelli con l’Irlanda. Un’ulteriore prova del fatto che l’allontanamento da Bruxelles, dipinto come la via verso un futuro libero e radioso, stia presentando ai britannici un conto salato dopo essersi scontrato con la realtà (cosa che succede alla maggior parte della proposte di stampo populista). In passato, scrive la Neue Zürcher Zeitung, le aziende irlandesi sono passate dai porti del Regno Unito per realizzare i loro scambi commerciali con i paesi dell’Europa continentale. Ma con la Brexit questa strada è diventata difficile da percorrere: le aziende devono infatti sbrigare numerose pratiche amministrative e pagare dazi doganali. Oggi, quindi, per restare in contatto con i mercati dell’Unione europea e risparmiare tempo e denaro, è diventato più conveniente il collegamento diretto con il continente, che un tempo era poco sviluppato e assorbiva appena un terzo del traffico. Nel 2019 c’erano solo sei rotte dirette tra l’Irlanda e l’Europa continentale, oggi sono raddoppiate e in gran parte si dirigono verso i porti della Francia. Tra il gennaio e l’ottobre del 2021 le merci passate per queste rotte erano già più alte del 50 per cento rispetto a quelle scambiate nell’intero 2019. I porti britannici che un tempo ricevevano le navi cargo irlandesi –soprattutto quelli gallesi – adesso stanno subendo una drastica riduzione del traffico. Anche di quello destinato al mercato interno del Regno Unito, che ora privilegia i porti dell’Irlanda del Nord, come Belfast e Warrenpoint, che offrono dazi doganali più bassi.

Questa settimana su Internazionale

Sul settimanale

  • Il governo ucraino sta usando le criptovalute per raccogliere finanziamenti. Secondo il Financial Times, la crescita del settore potrebbe essere uno degli effetti collaterali inattesi dell’aggressione russa.
  • Il conflitto in Ucraina sta spingendo le multinazionali a riscoprire la produzione locale, scrive Rana Foroohar.

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