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“Tutti vogliono un fenomeno
Ma se poi diventi un fenomeno
Cadi a terra in questo domino.”
Fabri Fibra (2017)

Anche in Italia aumentano gli hikikomori: i giovani che non escono di casa. Dialogo con Marco Crepaldi 
In Giappone sono circa un milione i ragazzi compresi tra i 13 e 27 anni che si rinchiudono. Perdono ogni desiderio di socialità e si barricano in stanza, rompendo i rapporti con tutti, a partire dai genitori. Parliamo degli hikikomori, persone che hanno scelto di “stare in disparte”, salvo qualche debole contatto attraverso il mondo virtuale della rete.
Il fenomeno in Italia è meno accentuato ma comunque in ascesa. La pandemia ha scoperchiato un problema presente e molto complesso che spesso gli stessi psicologi confondono e faticano a inquadrare. L’Associazione Italiana Hikikomori si occupa da anni esclusivamente di questo. Il suo presidente, Marco Crepaldi, ci aiuta a comprendere bene le coordinate della questione: “Parliamo di un disturbo sociale, adattivo, dove il ragazzo si ritira perché soffre il giudizio, si sente non all’altezza di chiunque: genitori, amici, insegnanti. L’hikikomori pensa: ‘Se non mi vedono non mi giudicano’”.
“Questi ragazzi hanno una famiglia molto apprensiva, con alte aspettative sul figlio. Le persone che si ritirano sono spesso maschi, ragazzi cresciuti con una carriera già cucita addosso.”  
Quello dell’hikikomori è un profilo che nel tempo ha acquisito una fisionomia ben precisa. “Questi ragazzi – continua Crepaldi - hanno una famiglia molto apprensiva, con alte aspettative sul figlio. Le persone che si ritirano sono spesso maschi, ragazzi cresciuti con una carriera già cucita addosso. I casi sono molto più numerosi nel nord Italia ma questo non significa che non ce ne siano al Sud”.  
Quando un ragazzo inizia a ritirarsi la famiglia non coglie che si sta aprendo un baratro. In un primo momento pensa sia timidezza o una fase dovuta alla crescita. Quando il problema investe anche la frequenza scolastica, la soglia d’allarme si alza, la tensione aumenta e gli approcci diventano due: prima si cerca un confronto pacato, un compromesso, offrendo la massima disponibilità ad affrontare qualsiasi problema. Poi si passa alle maniere più forti, i toni si esasperano e la tensione genera le prime fratture. Entrambi i tentativi portano a tristi insuccessi. Spesso i padri non accettano il problema, evitano di affrontarlo e scaricano tutto il peso sulla madre che deve allora convivere con i sensi di colpa, sentendosi in gran parte responsabile. L’eventuale presenza di altri fratelli genera un confronto tra i figli dove quelli “sani” denunciano una disparità di trattamento nelle scelte dei genitori. Le famiglie saltano in aria e anche la scuola non comprende il problema. “I problemi con la scuola non sono pochi. Se il Dirigente scolastico e il corpo docente sono professionisti comprensivi, a questi ragazzi è riconosciuto un Piano Didattico Personalizzato anche in mancanza di una diagnosi, dato che per gli hikikomori non esiste una collocazione medica. È il massimo che la scuola può fare. Si tratta, come ho già detto, di un fenomeno sociale ancora non ufficialmente riconosciuto a livello internazionale, malgrado i molteplici studi. Spesso vengono fatte diagnosi affini come ansia sociale, ansia scolare o depressione. Si ignora un problema gravissimo o spesso lo si affronta con strumenti e persone inadeguate”.
“Si tratta di un fenomeno sociale ancora non ufficialmente riconosciuto a livello internazionale, malgrado i molteplici studi.”
(Foto Ansa)
“Serve la collaborazione della famiglia e la sua disponibilità a mettersi in gioco.”
Le conseguenze di un tale problema sono sociali e riguardano tutti. Parliamo di migliaia di persone che spesso arrivano a una vera e propria inattività e necessitano di assistenza sanitaria che negli anni aumenterà e ricadrà sulle casse dello Stato. “In Giappone gli hikikomori sono inseriti nella categoria dei nuovi poveri – continua Crepaldi – quindi percepiscono una pensione di invalidità e anche in Italia si va verso questa direzione. È un fenomeno inarrestabile che dipende da dinamiche macro sociali; possiamo contrastarlo solo cercando di formare professionisti, educatori, insegnanti e fare sensibilizzazione. La nostra associazione rimane praticamente l’unica a livello nazionale che si occupa di questo tema. La percezione sta aumentando ma c’è tanta confusione. In molti pensano che hikikomori sia dipendenza da internet. Questo è un falso mito che abbiamo contribuito a dissolvere in questi anni. Non è così. La dipendenza da internet può essere una concausa o una conseguenza. Difficilmente è la causa del problema visto che quasi sempre l’hikikomori si sfoga con il mondo online, cercando di bilanciare quello che perde con l’isolamento. L’isolamento però è determinato da altri fattori: la difficoltà di inserirsi nel contesto sociale e reggere il giudizio altrui”.
“Gli hikikomori sono delusi dagli adulti di riferimento, dalla società in generale, una delusione che diventa allontanamento da una realtà che non corrisponde.”
All’associazione che Crepaldi presiede giungono quotidianamente lettere di famiglie disperate che hanno cercato aiuto in lungo e in largo senza risolvere il problema. Anche se i medici prendono in carico questi ragazzi, resta la necessità di figure formate specificamente sulla problematica. “I casi di hikikomori sono diversi uno dall’altro: ci sono forme più lievi e forme che spesso sono cronicizzate o hanno sviluppato disturbi psichiatrici. Bisogna fare un’attenta analisi del caso, ovviamente partendo dai racconti dei genitori perché il ragazzo non permette a nessuno (almeno in una prima fase) di avvicinarsi. L’intervento è multidisciplinare: uno psichiatra deve escludere che l’isolamento derivi da altri fattori come la schizofrenia o altre psicosi e deve poi esprimersi sulla necessità di un trattamento farmacologico, nel caso in cui i sintomi siano diventati acuti. Fondamentale è la presenza di un educatore a domicilio che spesso riesce a costruire una relazione amicale con il ragazzo. Sicuramente serve la collaborazione della famiglia, disponibile a mettersi in gioco e capace di fare un percorso che sia prima di tutto di estrema pazienza e attesa”.
Attesa di che cosa? “Della libertà del figlio di iniziare a recuperare la fiducia che ha perso nei confronti degli adulti, perché si tratta di un problema anche di adulti”. In che senso? “Il padre spesso non è una figura affettiva. C’è l’ansia della madre. C’è una crisi degli insegnanti che spesso i ragazzi definiscono bulli. Gli hikikomori sono delusi dagli adulti di riferimento, dalla società in generale, una delusione che diventa allontanamento da una realtà che non corrisponde”.
Essere Hikikomori: la clip del film Sky Original
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A cura di Mario Leone e Carlo Carù, ha collaborato Margherita Giambi
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