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Dopo il Covid, la scuola: annunci e ritardi del commissario inamovibile

Domenico Arcuri si è definito «straordinario», ma nei suoi cinque mesi da commissario ha collezionato critiche e bocciature

Nello Trocchia
1 settembre 2020
  • Il commissario straordinario, Domenico Arcuri, ama raccontarsi come un uomo «in trincea», ma in questi mesi ha spesso “sparato a salve” attirando le critiche di associazioni di categoria e presidenti di regione.
     
  • Durante l’emergenza Covid ha dovuto affrontare il nodo delle mascherine, arrivate in ritardo a ospedali e medici ma anche ai cittadini, e il contestato “costo di stato” per i dispositivi di sicurezza.
     
  • Il commissario ha composto la sua squadra puntando su persone provenienti dai ministeri e dalla società pubblica che dirigeva, Invitalia, e ha scelto come braccio destro Massimo Paolucci, già protagonista della fallimentare stagione commissariale durante l’emergenza rifiuti in Campania.
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Domenico Arcuri (Foto LaPresse)
Nello Trocchia è inviato di Domani. In passato ha firmato inchieste per Il Fatto Quotidiano e L’Espresso. Ha lavorato in tv realizzando reportage per Rai 2 (Nemo), La7 (Piazzapulita) e Nove. Ha scritto diversi libri tra cui Casamonica e Federalismo criminale. L'ultimo è Il coraggio delle cicatrici, scritto con Maria Luisa Iavarone.

Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, l’agenzia per lo sviluppo d’impresa del ministero dell’Economia, è diventato l’uomo per ogni emergenza. Il 18 marzo è stato nominato dal governo commissario straordinario per fronteggiare l’emergenza del Covid-19.

A luglio ha raddoppiato e allargato le sue competenze, diventando commissario per la riapertura delle scuole in sicurezza.

L’ultima impresa di Arcuri riguarda il bando di una gara per l’acquisto di banchi anti Covid con tempi dilatati, esiti riservati e inevitabile caos.

Il commissario ha abituato i cittadini a una sequela di annunci e promesse promulgate con frasario da eroe in trincea. Nel profluvio di dichiarazioni, non ha mancato di giudicare, con la dovuta modestia, il suo lavoro («siamo stati straordinari») arrivando a dire, novello creatore, «ho dovuto decidere dove regalare la vita e dove far rischiare la morte».

Per ripercorrere i suoi cinque mesi da commissario bisogna cominciare dalla squadra che ha creato per fronteggiare l’emergenza. Come braccio destro della struttura ha scelto un esperto di emergenze e di commissariamenti, Massimo Paolucci, già deputato e parlamentare europeo del Pd che nel secondo governo Conte è stato capo segreteria del ministro della Salute, Roberto Speranza.

Paolucci vanta un’esperienza al commissariato di governo per l’emergenza rifiuti in Campania. Ha avuto il ruolo di sub-commissario fra il 2001 e il 2004, quando si è realizzato uno scempio ambientale con lo stoccaggio di milioni di balle di rifiuti in provincia di Napoli e Caserta, in buona parte ancora lì e mai rimosse. Arcuri ha completato il resto della struttura con uomini e donne provenienti da ministeri e, in parte, da Invitalia.

La prima grande impresa che ha affrontato il commissario riguarda l’approvvigionamento di respiratori e mascherine. Era marzo e il paese – prima le strutture sanitarie e poi i cittadini – aveva un enorme bisogno di dispositivi di protezione individuale, mentre le terapie intensive si riempivano di malati.

Arcuri si è trovato a gestire una fase unica nella storia, ma ha collezionato principalmente bocciature. Il 20 marzo Vincenzo De Luca, presidente della regione Campania, ha affidato ai social il suo sfogo: «Qualche giorno fa avevo parlato con Domenico Arcuri per presentargli il quadro. Avevo avuto questo impegno che avrebbero inviato in Campania entro fine marzo 225 ventilatori polmonari e 621 caschi che servono per rendere possibile la ventilazione polmonare. A oggi sono arrivati in Campania cinque ventilatori polmonari». De Luca poi, sinteticamente, ha offerto un aggiornamento dal fronte mascherine: «Per le mascherine anche qui non vi dico quello che ci è arrivato dalla Protezione civile per carità di patria». 

Due giorni dopo Arcuri, dagli studi di Mezz’ora in più, rassicura tutti: «Da domani mascherine per medici in ogni regione. Dalla settimana successiva contiamo di dare a tutti gli italiani i dispositivi di protezione individuale». Cioè entro fine marzo. È una missione difficile che inizia malissimo, un lotto di mascherine non idonee, infatti, viene inviato dalla Protezione civile ai medici di tutta Italia.

Arcuri scrive subito a Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale dell’ordine dei medici. Anelli invia un messaggio alle federazioni locali chiedendo la «sospensione immediata della distribuzione e dell’utilizzo di quanto ricevuto per evitare un dramma». 

È lo stesso Domenico Arcuri, a metà aprile, a voltare pagina: «Le mascherine sono un argomento chiuso, abbiamo riserve». Chiuso, in ritardo, il capitolo mascherine per uso medico, si apre quello per i cittadini. Anche in questo caso il commissario annuncia. A fine aprile firma un decreto e fissa il prezzo delle mascherine chirurgiche a 50 centesimi lanciando una invettiva contro i «liberisti da divano che emettono sentenze con il cocktail in mano».

Pochi giorni dopo promette, ai microfoni del Tg1, che le mascherine ci saranno per tutti e al prezzo giusto. Le mascherine a prezzo «di stato», ancora a metà maggio, però, sono quasi introvabili con i farmacisti che lamentano il mancato invio. Così Arcuri fa marcia indietro: «Non distribuisco io le mascherine». E aggiunge: «La colpa non è mia, ma di distributori e farmacisti».

Arcuri finisce anche al centro di un approfondimento giornalistico di Report. La trasmissione Rai scova un documento firmato dal commissario che, al contrario delle indicazioni dell’agenzia delle Dogane, invitava a sbloccare le esportazioni dei ricambi per i ventilatori di un’azienda statunitense, la Medtronic, e a evitare in futuro requisizioni per «superiori interessi nazionali». Arcuri archivia il caso spiegando: «Se io mi dovessi accorgere che questo materiale è scarso domani, domani faccio un’ordinanza e sequestro di nuovo i beni. Evidentemente questo momento non è accaduto perché questi pezzi sono disponibili». Ma è la conclusione della conferenza stampa che svela il carattere e il “modello Arcuri”. Alla giornalista, che ha posto le domande, non risponde e chiede: «Lei è della Roma o della Lazio? È più forte Totti o Correa?» Prima di chiosare: «Tu tifi per la Roma, io per la Lazio».  

C’è un altro capitolo che riguarda, più in generale, la trasparenza dei dati relativi a gare e affidamenti. A inizio aprile Arcuri promette: «Presto metteremo online anche tutti i dati sui nostri acquisti, con fornitori, quantità sconti, modalità di ingaggio dei fornitori». “Presto” è diventato “chissà quando”. Sul sito del governo non c’è traccia di questa annunciata trasparenza.

L’associazione Openpolis ha fatto richiesta di accesso agli atti, ma non ha ottenuto alcuna risposta. Sollecitato nuovamente a inizio agosto, il commissario ha risposto con un diniego. Arcuri, a oltre cento giorni dalla promessa di rendere noti tutti gli atti, in un articolo del Corriere della Sera ha ammesso di non aver pubblicato i dati fornendo una spiegazione con annesso inevitabile annuncio: «Lo faremo quando saremo certi di evitare che vengano strumentalizzati per polemiche politiche».

La trasparenza, in realtà, diventa fondamentale perché il regime commissariale consente deroghe, procedure straordinarie e poteri speciali in un quadro normativo che ha fortemente limitato il potere di intervento degli organi di controllo, come la Corte dei conti.  

Proprio i magistrati contabili, lo scorso luglio, hanno notificato ad Arcuri un atto di costituzione in mora per interrompere gli effetti della prescrizione che incombeva. Una storia che non riguarda in alcun modo il suo ruolo di commissario, ma che è diventata pubblica in piena emergenza.
Secondo la ricostruzione della Corte dei conti, da manager di Invitalia, Arcuri e gli altri membri del consiglio di amministrazione avrebbero, per alcuni anni, percepito stipendi più alti di quelli stabiliti dalla legge che ne aveva disposto la riduzione. Arcuri si è detto pronto a spiegare tutto: «Offro la mia totale collaborazione alla Corte dei conti in modo da chiarire l’assenza di qualunque errore da parte mia o di Invitalia. Non vi è stata alcuna violazione».

La cifra non è stata restituita. Per Arcuri è pari a 1.467.200 euro, e ora la Guardia di finanza, su delega del vice procuratore generale Massimo Lasalvia, si occuperà di raccogliere dati e documenti. 

Dopo gli (in)successi sul fronte Covid, da ultimo, per Arcuri è arrivato l’incarico di commissario alla riapertura delle scuole in sicurezza. La sua “ultima fatica” è quella dei banchi anti Covid. Inizialmente la consegna era prevista per il 31 agosto, ma il termine è stato prorogato. A fine luglio Arcuri è stato ascoltato dalla commissione Cultura della Camera, e ha fissato l’8 settembre come termine per «l’avvio delle consegne dei banchi prolungabile al massimo fino al 12 settembre». In realtà proprio il giorno dell’aggiudicazione della gara Arcuri ha annunciato in maniera informale un’ulteriore proroga della consegna a fine ottobre.

Un ritardo che nasconde un timore, quello di un possibile rinvio dell'inizio della scuola, una eventualità che preoccupa il governo perché ne minerebbe la credibilità. Un timore confermato dalla decisione di alcuni presidenti di regione che hanno già annunciato la decisione di rinviare l’apertura delle scuole prevista per il 14 settembre. Arcuri ha detto al Sole 24 Ore che «i riferimenti contrattuali saranno pubblicati sul sito del commissario nei tempi previsti dalla legge, ovvero nei 30 giorni successivi alla loro sottoscrizione».

Quando qualcuno ha provato a evidenziare qualche aspetto critico il premier Conte ha subito archiviato la polemica. «Se lei ritiene di poter far meglio di Arcuri la terrò presente», ha detto a un giornalista. E così lo straordinario Arcuri è diventato inamovibile.

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