Copy

Charlie

Una newsletter sul dannato futuro dei giornali

Domenica 20 settembre 2020

Prologo
Anche nel caso dei cambiamenti nell'informazione e nelle aziende giornalistiche, gli Stati Uniti sono il modello principale a cui si guarda. Sia per sapere quello che è probabile avvenga qui dopo che è avvenuto là, sia per immaginare o inventare cose qui che sono già state immaginate o inventate là. Alla fine, nel suo piccolo, lo stesso Post è nato dall'osservazione dei nuovi giornali online americani del primo decennio del Duemila.
Una delle cose che erano successe allora con i nuovi giornali online negli Stati Uniti e che non è mai avvenuta in Italia è la permeabilità con le testate tradizionali rispetto ai nomi dei giornalisti coinvolti. Molto presto i nuovi progetti americani hanno attinto alle redazioni esistenti coinvolgendo giornalisti e reporter a volte anche molto noti, e si è creato un ambiente comune - fatto anche della legittimazione dei nuovi giornali online (HuffPo, Buzzfeed, Politico, Slate) in molti contesti ufficiali -, mentre invece in Italia le redazioni dei nuovi giornali online si sono costruite quasi tutte con giornalisti giovani, poco noti, o con rapporti liberi e discontinui con le redazioni dei giornali di carta. Di fatto contribuendo a conservare presso il grande pubblico un'idea molto anacronistica e infondata di informazione "maggiore" e "minore".

Questo è avvenuto per due ragioni principali: la prima è che l'Italia è stata sempre culturalmente in ritardo - lo è ancora sotto molti aspetti - nei confronti dell'innovazione e dell'adeguamento ai tempi, e gli stessi giornalisti dei giornali tradizionali (peraltro mediamente non giovani) hanno conservato a lungo una convinzione sul maggior prestigio e importanza della "carta". In parte non sbagliando - ma è un'idea che si morde la coda - perché il ritardo riguarda tutto e tutti in Italia, e quel prestigio e importanza maggiori sono considerati tali anche da buona parte dei lettori e delle "classi dirigenti": da cui la comprensibile insistenza di Carlo De Benedetti sul fare un nuovo quotidiano di carta nel 2020, che insieme riflette e perpetua questa condizione.
La seconda ragione di questo scarso interscambio è economica: i nuovi giornali online americani sono nati con cospicui investimenti curiosi e illuminati - frutto a loro volta di una cultura più innovativa anche tra gli investitori - che hanno permesso di competere con i giornali tradizionali sul piano delle offerte di retribuzione ai giornalisti. Quelli italiani non se lo sono potuto quasi mai permettere (forse la sola grossa eccezione è stata Lucia Annunziata, arruolata però allo HuffPo dal grande gruppo che lo possiede).

Questo limite del complesso dell'informazione italiana è ancora piuttosto forte e conosce rare deroghe soprattutto tra i direttori, dei giornali online (quelli di Post, Linkiesta e Huffington Post hanno in misure diverse almeno un decennio di esperienze precedenti con i giornali di carta): ma siamo in un momento in cui le cose potrebbero cambiare, come sarebbe auspicabile. Per tre motivi.
Perché un po' alla volta l'informazione online si è guadagnata maggiore autorevolezza; perché un inevitabile ricambio generazionale fa sì che nelle redazioni ci siano oggi più giornalisti "contemporanei" e indifferenti alla distinzione tra carta e digitale; perché se non sono cresciute tanto le disponibilità economiche dei giornali online, si stanno contraendo molto quelle dei giornali tradizionali, e i loro spazi. E questo rende più competitive le possibili offerte dei giornali online, e più sperabile che anche i più noti e apprezzati giornalisti della carta o della tv partecipino - non solo traslando pigramente le loro produzioni abituali - all'inevitabile cambiamento digitale dell'informazione italiana.

Fine di questo prologo.

piesse di questo prologo: da questo mese sono entrati nella redazione del Post due nuovi giornalisti con esperienze di diversi anni rispettivamente al Sole 24 Ore e al Foglio, a piccola dimostrazione che le cose stanno cambiando, e benvenuti.
Sdèng
Secondo un nuovo rapporto della società di consulenza PWC il business globale dei giornali avrà grandi declini per i prossimi cinque anni, con una riduzione del 27% dei ricavi pubblicitari da qui al 2024. Caleranno in misura più contenuta anche i ricavi dalle vendite e dagli abbonamenti, calo attenuato anche da un probabile aumento dei prezzi. Il declino del ricavo pubblicitario sta spingendo molte testate a investire di più sugli abbonamenti soprattutto digitali:
“As print continues its decline, more publishers are re-evaluating their content offerings and reporting that their subscription revenue, boosted by digital growth, has displaced advertising as their most significant revenue stream.”
Abbiamo sbagliato, abbiamo corretto, e il nostro sbaglio è una storia
Il Washington Post si è fatto rifilare una bufala su una inesistente operazione dell'FBI contro due ciarlatani in cerca di pubblicità. Quando ha capito che era una bufala, ha rimpiazzato l'articolo con una breve nota che informava i lettori che si era trattato di una bufala, e ha linkato un nuovo articolo che trattava la bufala come una notizia in sé: "Il Washington Post si è fatto rifilare una bufala".
Come qualunque lettore italiano può percepire, non è un modello seguito mai lontanamente da alcun giornale in Italia (per esempio in casi come questo, questo, o questi).
Come ha fatto il Fatto
Alcuni lettori di Charlie si sono incuriositi - comprensibilmente - alla grossa crescita di diffusione del Fatto degli scorsi mesi, tra i dati che riguardano le copie dei quotidiani che abbiamo citato, e ne hanno chiesto spiegazioni. Detto che i buoni risultati si debbono soprattutto agli abbonamenti digitali, le spiegazioni che si danno al Fatto stesso, riferiamo, sono soprattutto tre. Un investimento pubblicitario importante che c'è stato su diversi mezzi, televisione compresa. Un essersi trovato il Fatto a essere il solo giornale filogovernativo nei mesi in cui il presidente del Consiglio - che il Fatto sostiene da sempre con particolare calore - ha visto molto crescere la sua popolarità. Uno spostamento a sinistra del PD e quindi una diminuita ragione di conflitto con i lettori simpatizzanti del PD (ieri il direttore è tornato a chiedere agli elettori del M5S di votare i candidati del PD alle regionali: "PD tornato a sinistra dopo le sbornie napolitan-renziane"), a cui si è poi aggiunta la ritirata di Repubblica dal ruolo storico di quotidiano dei progressisti, con il simbolico passaggio di Gad Lerner al Fatto a dare esemplare concretezza a questa tendenza.
Contented brand
Da ormai alcuni anni si parla molto - nella ricerca di nuove fonti di ricavo per i giornali online e di carta - di tutto un calderone di formati pubblicitari potenzialmente interessanti per aziende e inserzionisti vari e che hanno preso diverse denominazioni: "native advertisement", "branded content", "progetti speciali", "articoli sponsorizzati" (qui c'è come funziona al Post). Ovvero, in sintesi, spazi pubblicitari in cui la pubblicità si mimetizza nella forma e nei contenuti con gli articoli e gli spazi del giornale (e della cui natura pubblicitaria ogni giornale sceglie quanto rivelare ai lettori: ne abbiamo scritto le scorse settimane).
In questo calderone di possibilità diverse è interessante segnalare l'esperimento particolare (non inedito, ma più raro) fatto da un brand di energia* con il settimanale Internazionale, pubblicando una pagina pubblicitaria di testo che allude esplicitamente al giornale che la ospita e ai suoi tratti peculiari. Insomma un articolo promozionale che cita il giornale, invece che un articolo di giornale che cita l'inserzionista.
"ti dimentichi che, come dimostrano gli articoli che puoi trovare all'interno di questa rivista, la lunghezza è un falso problema".

*disclaimer: il brand in questione è anche inserzionista del Post .
Bernardo Valli, Repubblica e tutto il resto
Nei giorni scorsi si è molto parlato, tra i giornalisti e i collaboratori dei quotidiani, dell'abbandono di Repubblica da parte di Bernardo Valli, uno dei più stimati e importanti reporter e inviati italiani di sempre. Il Manifesto aveva riferito pubblicamente per primo di una lettera di Valli diretta a Repubblica, i cui contenuti sono stati interpretati da diversi siti di news a partire da alcune deduzioni (in alcuni casi inventando dei virgolettati di Valli): Valli ha comunque 90 anni, ma scriveva ancora sul giornale e sull'Espresso, e la decisione avrebbe potuto essere stata legata solo a questo.
Le deduzioni però non riguardano solo Valli ma più in generale un tema molto presente nelle discussioni recenti sul giornalismo italiano: ovvero dove stia andando Repubblica. È noto infatti il dissenso di Valli rispetto ad alcune posizioni (in particolare favorevoli all'attuale governo israeliano) assunte dal direttore di Repubblica Molinari, e si raccontano aneddoti di irriguardosi interventi del direttore su un articolo di Valli. Insomma, il suo abbandono - benché più discreto di quelli che lo hanno preceduto - è con buona certezza un altro pezzo della storia del progressivo stravolgimento recente di Repubblica (che domenica scorsa il fondatore Eugenio Scalfari ha provato a minimizzare scrivendo che quello che conta ora per Repubblica è avere un editore con le spalle economicamente larghe). L'ulteriore palese conferma della delicatezza del caso Valli è l'indifferenza con cui invece Repubblica - che lo aveva appena celebrato, un attimo prima che arrivasse il nuovo direttore - ha deciso di ignorare l'abbandono di uno dei giornalisti che l'hanno fatta e costruita come Valli. Indifferenza segnalata ieri da Adriano Sofri sul Foglio.
E quindi, Domani
Non sono senza palesi collegamenti con il paragrafo sopra le notizie che riguardano il nuovo quotidiano Domani, infine uscito questa settimana dopo lunghi battage. A cominciare dalla nuova intervista del suo editore Carlo De Benedetti - storico editore di Repubblica, ma rimandiamo qui per tutta la storia - uscita ieri sul Corriere della Sera, che ha mostrato ancora l'anomalia di un editore che è il più frequente rappresentante pubblico del suo giornale. Per quanto riguarda i maggiori interessi di noi che qui parliamo concretamente di futuro dei giornali, De Benedetti ha detto:
«Il nostro successo lo si vedrà abbastanza presto. Con 30 mila lettori, tra copie vendute e abbonamenti digitali, saremo ampiamente in utile»
Intanto, dicevamo, Domani è uscito e ha completato la sua prima settimana, tra molti auguri e benevolenze iniziali. Un'impressione prematura - ma prendetela come una ristrettissima impressione, ognuno avrà le sue - è che abbia finora ricevuto più apprezzamenti dai potenziali lettori (preziosi) che dai colleghi o addetti ai lavori, tra i quali è finora circolata un'unanime impressione di discreti contenuti giornalistici senza guizzi, invenzioni, o novità rispetto ai quotidiani esistenti o alla stessa Repubblica con cui vuole mettersi in competizione. Non sembra insomma finora legittimata la frase di De Benedetti "abbiamo fatto una cosa del tutto nuova", né si è manifestata molto la pretesa priorità del digitale. Ma ripetiamo, sono pezzetti di impressioni di una prima settimana, che valgono quel che valgono. Alla fine conteranno i numeri di cui parla De Benedetti.
Linkiesta e la sua buona idea, nel 2019
Il quotidiano ItaliaOggi ha pubblicato sabato un breve report su come sia andato il 2019 (siamo a settembre 2020 e molte cose sono cambiate, intanto) per il sito di news Linkiesta. Malgrado una certa inclinazione compiaciuta di ItaliaOggi a enfatizzare e drammatizzare gli aspetti di maggior fatica economica dei giornali online (ne sa qualcosa il Post, dato spesso per moribondo su quelle pagine: e prendetela come una sincera dichiarazione di diffidenza), dai conti emerge che la novità con maggior potenziale di migliorare i conti del sito (chiusi con 237mila euro di perdite e un aumento degli utenti unici del 28%) era stata nel 2019 - anno in cui si è insediato il nuovo direttore Christian Rocca - il lavoro sugli eventi, con un festival a Milano che aveva portato 135mila euro di nuovi ricavi.
Notizia che è un ulteriore esempio di quanto queste nuove prospettive di ricavo di giornali grandi e piccoli stessero diventando importanti, prima di diventare le vittime principali - con gli eventi quasi azzerati nel 2020 - del coronavirus.
E a questo proposito, Talk del Post
Il Post era arrivato più in ritardo di tutti, e dopo un esperimento sostanzialmente in pareggio economico un anno fa a Faenza, aveva ricevuto le attenzioni di ben sei città italiane per ospitare le edizioni del suo progetto di "festival di un giorno" (o "tour del Post") nel 2020, con investimenti promettenti di sponsor locali e nazionali. Anche quelli sono stati accantonati, ma Talk prova a ricominciare da dove lo avevamo lasciato: ovvero da Faenza, dove sono stati i più insistenti a ripetere la soddisfacente esperienza dell'anno passato. Quindi si fa Talk sabato prossimo, 26 settembre: e ci sarà, per quel che riguarda più direttamente i temi di questa newsletter, la rassegna stampa I giornali spiegati bene, con Luca Sofri e Francesco Costa.
Michele Serra, coscienza critica
Con la comprensibile e rispettosa attenzione a non fare nomi di testate - soprattutto quella di cui è leale dipendente e ospite - Michele Serra torna ciclicamente a criticare nella sua rubrica su Repubblica storture e depravazioni dell'informazione giornalistica italiana, che a volte gli sono molto contigue. Il tutto genera un effetto di incoerenza - del giornale più che dell'autore - ma tra avere qualcuno che dice i disastri dei quotidiani su un quotidiano e non averlo, molto meglio la prima.
"Urge una moratoria delle foto dei fratelli Bianchi, quotidianamente e ovunque seminudi, con il muscolo turgido e l'occhio torvo a bordo di oneste piscine di provincia"
Basta con gli endorsement
Secondo il giornale online americano The Hill, la pratica degli endorsement ufficiali da parte dei giornali nei confronti dei candidati alle elezioni, che negli Stati Unti è molto più frequente che da noi, è meglio abbandonarla. Intanto perché ha raramente le ricadute desiderate: le testate influenzano molto meno il cambiamento delle opinioni, e di recente gli endorsement hanno soprattutto perso. E poi perché vanno molto a detrimento della credibilità dei giornali in tempi in cui quella credibilità è in precipitoso declino. Funzionano di più e sono utili e convincenti, sostiene l'articolo, nei casi di testate locali dedicate a elezioni locali.
Spazio polemiche
Non solo sui quotidiani più grandi si svolgono movimenti cospicui di simpatie politiche: lo stesso direttore del giornale Linkiesta citato sopra, ex importante e noto giornalista del Foglio della prima era (e, per spiegare la successiva allusione, titolare un tempo di una rubrica dedicata al più famoso ospite del Grande Fratello di sempre), ha scritto per difendere Marco Pannella da un articolo del fondatore del Foglio Giuliano Ferrara (il quale ha risposto poi così), dando en passant un giudizio sia affezionato che drastico sulle attuali posizioni del suo ex giornale.
"La ricostruzione di Ferrara è un po’ così, surreale, riflette il momento confusionario del miglior giornale italiano, Il Foglio, diventato improvvisamente e inspiegabilmente l’organo della bufala dei barbari europeizzati e di Casalino anziché di Taricone".

Invece, c'è stata una breve e piuttosto attonita risposta di Concita De Gregorio - su Twitter - al direttore dell'edizione tornese del Corriere della Sera che aveva commentato con spiazzante acidità un suo intervento televisivo.
Il non detto sul caso Palamara e i giornali
È successa nei mesi scorsi una cosa illuminante sul rapporto tra giornali e magistrati, poco raccontata ai lettori per comprensibili ragioni: nelle intercettazioni che riguardano il cosiddetto caso Palamara e che - come accade spesso - i quotidiani sarebbero stati pronti a pubblicare in grande abbondanza e in spregio al loro maggiore o minore rilievo pubblico e alle presone coinvolte, si sono trovati i nomi di alcuni giornalisti. È una cosa in parte normale: i giornalisti che lavorano soprattutto alla cronaca giudiziaria intrattengono spesso conversazioni e rapporti coi magistrati, per fare il loro lavoro. Ed è una cosa in parte anormale: in molti casi gli interessi reciproci - di giornalisti e magistrati - creano una consuetudine e dei meccanismi in cui la buona informazione dei lettori è la prima vittima. Molta parte del giornalismo "processuale" italiano è prodotta dagli interessi dei pubblici ministeri a diffondere o non diffondere determinate informazioni, e dall'interesse dei giornalisti a servire questo interesse, per ottenere appunto informazioni che dovrebbero rimanere riservate. E così capita che alcuni intrattengano rapporti di complicità e accettino scambi assai poco professionali.
Ci sarebbe da scriverci libri, ma qui ci limitiamo a raccontare come nel caso Palamara si sia creato un corto circuito e i quotidiani si siano mossi in parte tacendo i coinvolgimenti di giornalisti nelle registrazioni telefoniche, e in parte selezionando e pubblicando le citazioni dei giornalisti dei giornali "nemici". Il Post ne aveva scritto qui.
La questione è riapparsa - anzi è riscomparsa - quando l'imputato Palamara ha presentato questa settimana un'istanza per contestare l'imparzialità dei suoi attuali giudici che fa in particolare riferimento alla trasmissione di notizie da parte di un magistrato a Repubblica, per un articolo scritto da Carlo Bonini. Dettaglio però quest'ultimo taciuto da praticamente tutti i quotidiani che hanno dato notizia della richiesta (a eccezione del Riformista, che ha una sua bellicosa posizione su queste questioni).
Un'ultima cosa
Grazie molte delle mail e di tutti i complimenti, e delle citazioni sui social network. La scorsa edizione di Charlie ha ottenuto ancora un 74,3% di aperture (era stato l'83,4% al suo primo numero, ma eravamo ancora pochi): che è un numero eccezionale per una newsletter. Fate girare.
Epilogo
Se ti hanno inoltrato questa newsletter, o insomma se non sei ancora iscritto, puoi iscriverti qui e riceverla ogni domenica mattina.
Se vuoi leggere le precedenti edizioni.
Qui invece ci sono le altre newsletter del Post.
E perché questa si chiama Charlie.
Se poi vuoi anche tu essere tra quelli che partecipano al progetto del Post per creare un modello di informazione accurata, utile a tutti, e capace di sostenersi economicamente, puoi diventare un abbonato qui.
Copyright © 2020 Il Post, All rights reserved.

Puoi controllare i tuoi dati o non ricevere più questa newsletter
E puoi inoltrare questa newsletter a chi vuoi, oppure iscriverti qui se te l'ha inoltrata qualcuno. Grazie.