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29 novembre 2020

Americana

La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna, della redazione di Internazionale.

Brutti, sporchi e cattivi Nell’autunno di due anni fa feci un viaggio in West Virginia, nel cuore degli Appalachi. Volevo conoscere le persone che, secondo il racconto comune, avevano dato la vittoria a Donald Trump alle elezioni del 2016: quei bianchi poveri, senza lavoro e senza istruzione, tanto arrabbiati da voler trascinare a fondo l’intero paese pur di prendersi una rivincita sulle cosiddette élite. In quel periodo si parlava molto di un libro intitolato Hillibilly elegy, scritto da J. D. Vance, che dopo la vittoria di Trump era diventato una sorta di guida per capire la cultura di quella parte del paese. Vance racconta la sua infanzia drammatica in una comunità pigra e disfunzionale dell’Ohio, e di come è riuscito ad emanciparsi fino a diventare uno studente modello di Yale e poi un investitore di successo.

Notai che il libro piaceva più alle persone che non vivevano nella regione degli Appalachi (tra cui, paradossalmente, proprio quelle élite detestate) che alla gente del posto. Quando provai a intervistare Melissa Nestor, editrice dell’unico giornale della cittadina di Welch, mi chiese: “Perché vuoi parlare di noi? Sei l’ennesimo giornalista che viene qui per dire che siamo poveri e disperati?”. Il fastidio era dovuto al fatto che nel racconto comune non trovavano spazio né i traumi che avevano causato il disagio sociale né gli sforzi fatti – ieri e oggi – per ricucire le ferite. Erano state cancellate le grandi lotte sindacali e ambientaliste, così come il contributo positivo di comunità piccole ma attive, come quella afroamericana. Tolto il contesto storico, restava solo un nichilismo politico difficile da capire.

Sono passati più di due anni, ma il modo di raccontare quella parte degli Stati Uniti non è cambiato. Su Netflix è appena uscito l’adattamento cinematografico di Hillibilly elegy, che l’Atlantic ha definito una descrizione caricaturale di un mondo che Hollywood non riesce a comprendere. Alla lunga la mancanza di empatia nei confronti di questa regione in difficoltà – la speranza di vita è più bassa rispetto alla media nazionale, i livelli di povertà sono più alti e le prospettive economiche sono pessime – creerà un problema politico sempre più grande. Il 3 novembre del 2020 Donald Trump ha perso le elezioni presidenziali, ma in West Virginia ha vinto con il 70 per cento dei voti (è l’unico stato in cui tutte le contee si sono schierate con lo stesso candidato), nonostante la pandemia e la crisi economica. Come ha scritto Frank Bruni, ancora non riusciamo a capire gli elettori di Trump, quindi non riusciamo a capire l’America.

Michael Jones, Brooklyn, New York, 1998. Foto di Amber N. Ford

Non era una pistola Nell’agosto del 1998 Michael Jones, un ragazzo di 16 anni, pedalava di notte per le strade di Brooklyn con un amico quando si trovò di fronte una volante della polizia. Gli agenti erano stati chiamati sul posto da un uomo convinto che Jones avesse una pistola in mano. Gli chiesero di mettere giù l’arma, e quando videro che il ragazzo non ubbidiva gli spararono. Uno dei due agenti svuotò l’intero caricatore, sedici proiettili. Jones fu colpito sette volte ma riuscì a sopravvivere. Quando i poliziotti gli si avvicinarono, videro che in mano aveva una pistola ad acqua. Storie come questa negli Stati Uniti sono abbastanza comuni. Quasi sempre i poliziotti che uccidono o feriscono persone disarmate si giustificano dicendo che il sospettato aveva in mano qualcosa che poteva essere una pistola, e che poi non lo è. La fotografa Amber N. Ford ha ricostruito alcune di queste storie, e poi ha scattato fotografie degli oggetti scambiati per un’arma. 

Stephon Clark, ucciso dalla polizia a Sacramento nel 2018, teneva in mano un telefono. Tamir Rice, un bambino di dodici anni ucciso in un parco di Cleveland nel 2014, stava giocando con una pistola giocattolo. Andre Burgess teneva una barretta di cioccolato, Khiel Coppin una spazzola, Roy Middleton un mazzo di chiavi, Alfred Olango una sigaretta elettronica. Nessuno dei poliziotti coinvolti è stato incriminato. Anche questo è un fatto abbastanza comune. I procuratori tendono a considerarsi parte delle forze dell’ordine, e spesso conoscono di persona l’agente che ha sparato. E, nei pochi casi in cui si arriva a processo, quasi sempre le giurie assolvono i poliziotti perché si convincono che la loro vita fosse in pericolo.

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La confraternita Negli Stati Uniti milioni di studenti universitari erano già in difficoltà prima che scoppiasse la pandemia, per via delle rette troppo alte e dell’aumento del costo della vita. Negli ultimi mesi la situazione per molti di loro è diventata drammatica, visto che hanno perso i lavori che gli permettevano di mantenersi e i campus sono stati chiusi. Secondo un sondaggio condotto su 38mila universitari, tre quinti di loro vivono in condizioni di semipovertà. Né il governo né gli atenei hanno fatto molto per aiutarli, così gli studenti si sono organizzati da soli: hanno creato gruppi di mutuo soccorso che raccolgono migliaia di dollari a settimana e poi li distribuiscono tramite app a chi ne fa richiesta per pagare l’affitto, per coprire le spese mediche, per comprare libri e cibo. Il gruppo di aiuto dell’università di Georgetown ha raccolto 25mila dollari e ne ha distribuiti 20mila. In alcuni casi, come all’università Vanderbilt di Nashville, vengono messi a disposizione anche degli alloggi temporanei.

Per molti studenti questa rete di sostegno è anche una una forma di organizzazione politica dal basso. Hadeel Hamoud, studente di vent’anni dell’università di Duke, la considera una “risposta ai fallimenti del capitalismo” e dice di essersi ispirato al programma di aiuti creato dalle Pantere nere negli anni sessanta. Neha Tallapragada, che studia all’università Rice di Houston, dice di aver preso spunto dalla deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, che a marzo aveva scritto un manuale per organizzare progetti di mutuo soccorso insieme all’attivista Mariame Kaba.

Atlantic City, 1964

Fannie Lou Hamer davanti alla sua casa in Mississippi, nel 1968. (Al Clayton, Getty Images)

Nell’agosto del 1964 Fannie Lou Hamer, un’afroamericana che per buona parte della sua vita aveva lavorato come mezzadra in una piantagione del Mississippi, pronunciò uno dei discorsi più importanti della storia degli Stati Uniti. Era andata ad Atlantic City, dove si teneva la convention del Partito democratico in vista delle elezioni presidenziali, per contestare il fatto che nella delegazione del suo stato non ci fossero neri. All’epoca i democratici dominavano la politica del Mississippi, ma il partito era controllato da bianchi favorevoli alla segregazione razziale.

Davanti a milioni di telespettatori Hamer, che si era registrata per votare solo dopo i quarant’anni, raccontò dei pestaggi subiti dai poliziotti e parlò dell’omicidio dell’attivista Medgar Evers. A un certo punto si rivolse ai funzionari del partito e chiese: “È questa l’America?”. Il presidente Lyndon Johnson, che non voleva mostrare alla nazione un partito diviso, era così in imbarazzo che organizzò una conferenza stampa solo per interrompere la diretta tv del discorso di Hamer. Ma nelle ore seguenti la testimonianza fu rilanciata più volte dai mezzi d’informazione, e mise in moto una serie di eventi che un anno dopo portarono all’approvazione del Voting right act (la legge che garantì il diritto di voto ai neri). Il discorso di Hamer, ha scritto Time, “dimostra come l’attivismo delle persone comuni può alterare la traiettoria della politica americana”.

Dibattiti

  • Joe Biden ha annunciato le prime nomine della sua amministrazione. Sembra che il suo obiettivo sia ridare agli Stati Uniti il ruolo internazionale che avevano prima di Trump. Ma in molti si chiedono: è una buona notizia per il mondo?
  • La corte suprema, che da un mese ha una maggioranza nettamente conservatrice, ha cancellato le restrizioni imposte dal governatore dello stato di New York per limitare il numero di persone che possono entrare nei luoghi di culto e ridurre le possibilità di contagio da covid-19. Segno che per i giudici la libertà religiosa viene prima di qualsiasi altra cosa, anche della salute.

Consigli

Da leggere Il 26 novembre negli Stati Uniti si festeggiava il giorno del ringraziamento, che celebra l’arrivo dei primi padri pellegrini dall’Inghilterra nel seicento. Ma novembre è anche il mese della cultura dei nativi americani. Come vivono i nativi questo contrasto? L’ha spiegato tempo fa lo scrittore Tommy Orange in questo articolo. Di Orange si può leggere in italiano il suo primo romanzo Non qui, non altrove.
Da guardare Per approfondire la storia di Fannie Lou Hamer, qui c’è un breve documentario sulla sua vita. Qui invece un racconto fotografico della presidenza Trump, per ricordarsi di quante cose sono successe in quattro anni.
Da ascoltare Il New York Times racconta i dieci migliori libri del 2020. Qui la lista.

Questa settimana su Internazionale

Sul settimanale Nella sua nuova rubrica sui podcast, Janathan Zenti parla di Appearances, il nuovo lavoro di Sharon Mashihi. Una recensione de Il riflesso del passato di Dan Chaon, uscito per NN editore. Nelle pagine di economia, Bloomberg Businessweek spiega perché Amazon ha cominciato a vendere anche farmaci, e quali saranno le conseguenze.

Sul sito Pierre Haski spiega come interpretare le nomine di Joe Biden per la nuova amministrazione. L’Atlantic si chiede se Twitter deciderà di espellere Trump quando non sarà più il presidente degli Stati Uniti.

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