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20 dicembre 2020

Americana

La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna

La conquista del west Cosa rispondereste se vi chiedessero qual è il posto più ricco degli Stati Uniti? Molto probabilmente pensereste a Manhattan, alla Silicon valley o magari a un sobborgo di Washington. A nessuno – nemmeno alla maggior parte degli statunitensi – verrebbe in mente il Wyoming, uno stato grande come il Regno Unito ma con gli abitanti della Basilicata. Eppure lì, nella contea di Teton, l’1 per cento più ricco degli abitanti ha un reddito medio di 28,2 milioni di dollari, il più alto delle 3.114 contee degli Stati Uniti. La storia di questo piccolo paradiso per ricchi nell’ovest profondo è raccontata da un articolo uscito sulla New York Review of Books, ed è un concentrato di molte delle cose che non vanno nell’America di oggi.

Negli anni il Wyoming ha attirato persone facoltose diventando la versione statunitense delle isole Cayman e mettendo a disposizione i suoi spazi immensi. Non tassa il reddito né i profitti delle aziende, mentre le imposte sulle vendite e sulla proprietà sono tra le più basse del paese. Ottenere la residenza è molto facile: un abitante ricco del Connecticut (un altro stato con leggi fiscali generose) può comprare una tenuta nella contea di Teton, prendere la residenza e non pagare tasse in nessuno dei due stati. I ricchi vivono in comunità isolate dal resto della popolazione, recintate e sorvegliate da ex agenti dei servizi segreti. Frequentano club dove la quota d’ingresso può arrivare a 400mila dollari. Hanno aerei privati (uno di loro si vanta di aver comprato un jet da combattimento russo). Non sono preoccupati dal cambiamento climatico, se non quando si tratta di preservare il posto dove vivono: nella contea ci sono duecento associazioni non profit – più che in qualsiasi altra zona del paese – che si occupano soprattutto di tutela ambientale. Il risultato è che il valore delle loro proprietà aumenta, e questo fa crescere la domanda di case di lusso e rende ancora più difficile costruire alloggi a costi accessibili.

Nella contea di Teton chi non è ricco guadagna in media 41mila dollari all’anno, molto meno della media nazionale. Una famiglia della classe media che vuole comprare una casa ha bisogno di 125mila dollari, quindi chi lavora nella contea – camerieri, giardinieri che curano i campi da golf, dipendenti delle imprese di pulizie – deve vivere altrove. I milionari impiegano soprattutto immigrati messicani, spesso senza documenti. Il 40 per cento degli ispanici della contea vive sotto la soglia di povertà.

A sinistra: la sequoia chiamata Grizzly Giant, nel parco di Yosemite (George Rose/Getty Images). A destra: una Yucca brevifolia bruciata dalle fiamme nel Joshua tree national park (Alamy).

Giganti in pericolo Gli scienziati la chiamano “megaflora carismatica”. Sono quegli alberi imponenti, con secoli di storia alle spalle, che hanno reso i parchi della California attrazioni turistiche di fama mondiale: la sequoia gigante, la Yucca brevifolia (il Joshua tree) e la sequoia sempervirens (chiamata Coas redwood). Da tempo questi alberi, alcuni dei quali sono vecchi quanto la Bibbia, sono minacciati dalla siccità, dallo sviluppo urbano e dalla cattiva gestione dei boschi, ma il 2020 ha accelerato il declino in modo preoccupante. 

Gli incendi che quest’anno hanno bruciato 1,6 milioni di ettari di vegetazione hanno ucciso milioni di esemplari. Quello che è successo ai Joshua tree rende l’idea della sistematicità con cui il riscaldamento globale altera gli ecosistemi e distrugge le forme di vita: questi alberi crescono in zone desertiche – luoghi dove teoricamente non dovrebbero verificarsi vasti incendi – quindi sono più vulnerabili alle fiamme rispetto ad altre piante. Quando gli incendi senza precedenti hanno colpito la Mojave national preserve, almeno 1,3 milioni di questi alberi sono stati carbonizzati in pochi minuti. È successo il 16 agosto del 2020, lo stesso giorno in cui nella Death valley, non lontano dal parco, i termometri hanno segnato i 54,4 gradi, la temperatura più alta mai registrata sulla Terra.

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Avvelenare i pozzi Alla fine non c’è stata nessuna sorpresa. Il 14 dicembre 2020 i grandi elettori, i delegati che scelgono formalmente il presidente degli Stati Uniti sulla base del voto popolare, si sono riuniti nei rispettivi stati e hanno assegnato la vittoria a Joe Biden. Questo dopo che i tribunali avevano respinto le denunce di brogli presentate da Donald Trump. Il sistema, insomma, ha retto alla minaccia di un presidente uscente che fa di tutto per restare aggrappato al potere. Ma questo non vuol dire che gli Stati Uniti non pagheranno un prezzo per il caos delle ultime settimane. 

Alla lunga le istituzioni non possono sopravvivere se metà dei politici e degli elettori considera gli avversari come una minaccia alla propria sopravvivenza. Gli Stati Uniti sembrano scivolare verso questo scenario. Di recente il Partito repubblicano dell’Arizona ha mandato un’email ai suoi sostenitori chiedendo se sono disposti a morire per ribaltare il risultato delle elezioni, e i grandi elettori si sono dovuti riunire in un luogo segreto per timore di attacchi. In Wisconsin i delegati sono entrati nell’aula da una porta laterale. Peggio ancora, il rifiuto di Trump di accettare la sconfitta è ormai una pratica comune tra i repubblicani: un mese e mezzo dopo le elezioni locali, in alcuni stati i candidati conservatori non hanno ancora accettato la vittoria degli avversari democratici, con le stesse argomentazioni del presidente uscente, anche in distretti dove la loro sconfitta era ampiamente prevista. Naturalmente non pensano davvero di poter ribaltare l’esito del voto, ma la strategia è più ambiziosa e pericolosa: delegittimare in modo preventivo le amministrazioni democratiche a tutti i livelli e mandare in crisi l’intero il sistema.

Cleveland, 1969

Il fiume Cuyahoga in fiamme nel marzo del 1952 (Bettmann/Getty Images).

La mattina del 22 giugno 1969 il fiume Cuyahoga prese fuoco. Gli abitanti di Cleveland non si stupirono: era già successo, tredici volte. Il corso d’acqua era pieno di rifiuti sversati dalle fabbriche, e sulla superficie c’era costantemente uno strato di combustibile (“Chi ci cade dentro non annega, si decompone”, scherzava la gente del posto). L’incendio non fu uno dei più gravi, ma diventò il simbolo dell’inquinamento che affliggeva gli Stati Uniti e diede nuovo slancio al movimento ecologista. Da quel momento i giornali cominciarono a occuparsi sistematicamente di questi problemi e il governo si diede da fare: nel 1970 fu creata, per iniziativa di Richard Nixon, l’Environmental protection agency, a cui ancora oggi sono affidate le decisioni più importanti sulla tutela dell’ambiente. In quel periodo non era strano che i conservatori si preoccupassero di questioni ambientali, e neanche che collaborassero con la sinistra per risolverle. Le cose cambiarono negli anni novanta, quando la base del Partito repubblicano si spostò definitivamente in stati – nel sud e nell’ovest – dove la difesa dell’ambiente si scontrava con gli interessi delle compagnie petrolifere e minerarie. Negli anni duemila l’amministrazione di George W. Bush cancellò decenni di progressi.

In breve

  • I contagi, i morti e i ricoveri da covid-19 hanno toccato (di nuovo) livelli senza precedenti. Intanto è cominciata la somministrazione del vaccino.
  • Il congresso è vicino all’accordo per un pacchetto di aiuti economici da 900 miliardi di dollari. Da giugno 2020 otto milioni di persone sono finite sotto la soglia di povertà.
  • Il 17 e il 18 dicembre 2020 il governo ha eseguito due condanne a morte. Ci saranno altre tre esecuzioni prima che Donald Trump lasci la Casa Bianca, il 20 gennaio 2021.

Consigli

Da vedere Su Amazon Prime Video è uscito Time, documentario premiato al Sundance festival: racconta la battaglia di una donna per far uscire di prigione il marito, condannato a sessant’anni.
Da ascoltare Un’intervista a Melissa del Bosque, una delle giornaliste da seguire su immigrazione e frontiere.
Da leggere Ogni anno Bloomberg Businessweek pubblica la “lista della gelosia”, un elenco dei migliori articoli usciti su altri giornali. Qui la lista del 2020.
Numeri Venti infografiche per capire il 2020.

Questa settimana su Internazionale

Sul settimanale Bhaskar Sunkara critica i ministri della futura amministrazione Biden. Rana Foroohar sulla causa del governo degli Stati Uniti contro Facebook. Nelle pagine di cultura, i cento migliori libri dell’anno secondo il New York Times.

Sul sito Pierre Haski commenta il grande attacco informatico contro il governo degli Stati Uniti. L’Economist spiega perché l’omicidio della soldata Vanessa Guillén potrebbe cambiare l’esercito statunitense.

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