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8 gennaio 2021

Sudamericana

La newsletter sull’America Latina a cura di Camilla Desideri

Attiviste a favore della depenalizzazione dell’aborto fuori dal parlamento a Buenos Aires, 29 dicembre 2020. (Emiliano Lasalvia, Afp) 

L’Argentina legalizza l’aborto Con 38 voti favorevoli, 29 contrari e una sola astensione il 29 dicembre 2020 il senato argentino ha approvato il progetto di legge che autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza nel sistema sanitario pubblico entro la quattordicesima settimana di gestazione. La norma permette ai medici di dichiarasi obiettori di coscienza a condizione di indirizzare senza ritardi la paziente in un altro ospedale e stabilisce un limite di dieci giorni tra la richiesta d’interrompere la gravidanza e la data dell’intervento. Nel 2018 il progetto per assicurare alle donne il diritto di scegliere e di abortire in condizioni sicure era passato alla camera, ma era stato respinto al senato. La legge precedente, che risaliva al 1921, autorizzava l’aborto solo se la gravidanza era il risultato di uno stupro e in caso di pericolo per la vita della donna.

Da esempio per gli altri paesi Approvando la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, l’Argentina è diventata il primo grande paese dell’America Latina a garantire un aborto gratuito e sicuro. Finora la possibilità di interrompere la gravidanza era prevista a Cuba, in Uruguay, in Guyana e Guyana Francese, a Città del Messico e nello stato messicano di Oaxaca. La battaglia del movimento femminista argentino, il cui simbolo è il pañuelo verde, il fazzoletto verde, può diventare un esempio per gli altri paesi della regione. Anche se alcuni leader politici, come il brasiliano Jair Bolsonaro, hanno subito condannato la legge, l’agenda progressista dell’Argentina potrebbe essere uno stimolo per i governi sudamericani di sinistra.

Una testimonianza Ho chiesto alla giornalista e attivista argentina Irupé Tentorio, che scrive sul quotidiano Página 12 e sul supplemento femminista Las 12, come interpreta il successo del movimento femminista e quali sono, secondo lei, le battaglie da portare avanti nel prossimo futuro. “Nel 2018 il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto si è imposto in ogni angolo del nostro paese e oggi, dopo aver conquistato la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, sappiamo che è stato il risultato di una lotta territoriale”, mi ha detto. “La prossima sfida è continuare a lottare affinché la legge sull’educazione sessuale integrale diventi obbligatoria in tutte le scuole e università del paese. Inoltre bisogna rafforzare le reti femministe soprattutto nelle città e nelle province dove, per questioni religiose o politiche, la legge sull’aborto sarà più difficile da applicare”.

In breve

Brasile Il 31 dicembre a Manaus, capitale dello stato di Amazonas, 124 persone sono state ricoverate a causa del covid-19 in sole ventiquattr’ore, un record dall’inizio della pandemia. Intanto la prefettura della città ha annunciato la preparazione di nuovi terreni per poter garantire una sepoltura a tutte le vittime. Il 2 gennaio le autorità statali hanno ordinato la sospensione per quindici giorni delle attività considerate non essenziali. Nello stato brasiliano a causa del covid-19 sono già morte più di cinquemila persone e i casi confermati sono duecentomila.

Honduras La notte del 26 dicembre 2020 un gruppo di uomini armati ha ucciso il leader indigeno e attivista per l’ambiente Félix Vásquez a El Ocotal, nel centro del paese. Vásquez faceva parte della comunità lenca e aveva annunciato di volersi candidare in parlamento alle elezioni in programma quest’anno con il partito di sinistra Libertad y refundación (Libre). Secondo l’ultimo rapporto dell’ong Global Witness, l’Honduras è tra i paesi più pericolosi del mondo per chi difende l’ambiente e i diritti dei popoli nativi: nel 2019 sono stati uccisi 14 attivisti, il numero più alto in rapporto alla popolazione. Il 3 marzo 2016 era stata uccisa Berta Cáceres, attivista di fama internazionale che si batteva contro la costruzione della diga di Agua Zarca.

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Perù Il 30 dicembre la polizia ha usato la violenza contro i manifestanti del settore agroindustriale che da settimane bloccavano la strada Panamericana per chiedere condizioni di lavoro più stabili e stipendi più alti. Due persone, tra cui un minorenne, sono morte. Il giorno dopo, la diffusione di una foto che mostra un agente in abiti civili mentre punta la pistola ad altezza d’uomo, ha spinto il ministro dell’interno, José Elice, a condannare i fatti. Il 1 gennaio il governo peruviano ha annunciato l’apertura di un dialogo con i rappresentanti dei lavoratori. Secondo il Coordinamento nazionale per i diritti umani del Perù, dal 2003 a oggi 160 persone sono morte durante le proteste sociali nel paese.

Colombia Per far fronte all’aumento dei contagi e alle persone ricoverate nei reparti di terapia intensiva degli ospedali di Bogotá, le autorità della capitale colombiana hanno stabilito nuove misure di confinamento fino al 18 gennaio, scrive El Espectador. Le restrizioni riguarderanno soprattutto tre zone della città, Suba, Usaquén y Engativá, dove vivono tre milioni di persone. Per chi si è allontanato dalla capitale durante le feste, al ritorno è stata stabilita una settimana di isolamento obbligatorio.

Elezioni Nel 2021 molti paesi dell’America Latina, una delle regioni del mondo più duramente colpite dalla pandemia e dalle sue conseguenze, saranno chiamati alle urne. Secondo alcuni analisti politici, è probabile che il voto sarà una bocciatura per i leader in carica, di destra o di sinistra. I primi appuntamenti elettorali saranno in Ecuador a febbraio, dove i cittadini dovranno decidere il successore del presidente Lenín Moreno, e il prossimo aprile in Perù, dove le istituzioni sono deboli e corrotte e l’instabilità politica ha portato, nel 2020, a cambiare tre presidenti in pochi giorni.

Venezuela Il 5 gennaio la guida del parlamento è passata al Partito socialista unito del presidente Nicolás Maduro, che ha vinto le elezioni legislative di dicembre, segnate da un’alta astensione e boicottate da gran parte dell’opposizione. Juan Guaidó, il leader dell’opposizione riconosciuto nel 2019 presidente ad interim del Venezuela da più di cinquanta paesi, ha promesso di resistere e di assicurare la continuità dei lavori parlamentari. Ma il piano di Guaidó sembra difficile da realizzare, scrive El País: il dirigente venezuelano affronta divisioni interne sempre più gravi e una denuncia di corruzione contro due collaboratori a lui vicini.

Città

Città del Messico, 19 dicembre 2020. (Alejandro Cegarra, Bloomberg via Getty Images)

Per gli abitanti di Città del Messico e dello stato del Messico le festività natalizie sono trascorse all’insegna dell’isolamento. Dal 18 dicembre fino alla metà di gennaio la capitale e la zona della Valle de México, dove vivono circa 23 milioni di persone, un quarto della popolazione del paese, sono in lockdown. Il cosiddetto semaforo rosso è stato deciso dalla sindaca, Claudia Sheinbaum, e dal governatore dello stato, Alfredo del Mazo, per rispondere all’impennata di contagi ed evitare che gli ospedali si riempiano. “In realtà”, mi ha detto al telefono la giornalista Alejandra Sánchez Inzunza, cofondatrice e direttrice del progetto giornalistico Dromómanos, “il semaforo rosso non obbliga i cittadini a stare in casa. È un invito delle autorità a non uscire inutilmente, i negozi non essenziali devono rimanere chiusi ma la gente può circolare liberamente e non è previsto nessun tipo di sanzione per chi non rispetta le regole. Per questo durante le feste la città ha rallentato il suo ritmo abituale, ma non si è mai fermata realmente. Inoltre”, ha aggiunto Sánchez Inzunza, “i provvedimenti sono stati presi troppo tardi, quando i casi confermati nella capitale avevano già superato i 330mila e gli ospedali, sia privati sia pubblici, erano già pieni. Per riuscire a essere ricoverate molte persone sono andate fuori dalla capitale”. Il primo fine settimana del 2021 la capienza ospedaliera ha superato l’85 per cento e, a differenza della prima ondata della pandemia, questa volta a essere più colpiti sono i quartieri della classe media, Coyoacán, Cuauhtémoc e Miguel Hidalgo. A peggiorare la situazione, mi ha spiegato Sánchez Inzunza, c’è il comportamento delle autorità, a cominciare dal presidente Andrés Manuel López Obrador, che ha non ha mai chiuso del tutto il paese e spesso compare senza mascherina.

Da leggere

 
  • Non esiste un solo Brasile, ma esistono i “Brasili”, racconta Eliane Brum, abitati da popoli e gente invisibile. Da questo Brasile sconosciuto e multiplo traggono origine le storie della giornalista, ora raccolte in Le vite che nessuno vede e tradotte da Vincenzo Barca per Sellerio. Collaboratrice del País e del Guardian, attivista per i diritti civili e tra le voci principali contro Jair Bolsonaro, Brum racconta di un facchino dell’aeroporto di Porto Alegre o dei profughi João e Raimunda, cacciati dalla loro terra per far posto alla diga di Belo Monte. La loro epopea di senza terra racconta il volto più vero e disincantato del paese. È il consiglio di lettura di Alberto Riva giornalista e scrittore esperto di Brasile.
 
  • “Una delle grandi virtù del romanzo Cent’anni di solitudine è di servire come archetipo di situazioni storiche che si ripetono più o meno uguali, perché le trappole del potere sono sempre le stesse. A destra o a sinistra, non fa differenza”, scrive su El Faro lo scrittore nicaraguense Sergio Ramírez. Come in un episodio del romanzo di Gabriel García Márquez, il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha negato la repressione delle proteste antigovernative, che nel 2018 hanno provocato più di trecento morti e decine di feriti. Per lui, il Nicaragua è un paese felice e quelle violenze non sono mai avvenute. La denuncia di Ramírez, sentita e lucida, serve a non dimenticare quello che succede in Nicaragua.

Da ascoltare

  • Ad aprile a Coita, in Messico, un popolo intero è uscito di notte con lanterne, pietre e fucili per dare la caccia a un uomo lupo. Luna llena sobre Chiapas è un episodio di Radio Ambulante (un podcast narrativo che racconta le storie dell’America Latina in spagnolo) e forse il mio preferito della stagione che si è appena conclusa. Per chi fosse interessato alla relazione speciale che da sempre lega gli esseri umani al regno animale e al fenomeno che in Messico e in altri paesi della regione è chiamato nahualismo consiglio questo programma della Revista de la Universidad de México.

Da vedere

  • Cinque donne, madri sole e venditrici ambulanti nelle strade del Salvador trovano nel teatro un’occasione di riscatto e un’opportunità per riflettere sulla loro vita, denunciare la violenza maschilista, la maternità forzata e gli abusi contro i minori. Cachada, il primo documentario diretto dalla regista spagnola Marlén Viñayo, racconta la loro esperienza teatrale e, attraverso le voci delle attrici, restituisce un affresco della situazione generale delle donne salvadoregne. Cachada (una parola usata per indicare un affare imperdibile) si può vedere fino al 15 gennaio sulla piattaforma Mowies. I soldi raccolti andranno alle protagoniste: per loro, come per tutte le lavoratrici e i lavoratori del settore informale, il 2020 non è stato un anno facile.

Questa settimana su Internazionale

Sul sito Haiti è in mano a un governo autoritario e alle bande criminali, scrive Mediapart in un articolo sulla preoccupante situazione politica e sociale del paese.

Sul settimanale La giornalista peruviana Gabriela Wiener commenta la vittoria del movimento femminista in Argentina per la depenalizzazione dell’aborto e analizza la situazione degli altri paesi latinoamericani, con un’attenzione particolare al Perù. Un’analisi uscita sul Diario.es.

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