31 gennaio 2021

Americana

La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna

Il problema dei problemi Il 27 gennaio Joe Biden ha presentato i primi provvedimenti della sua amministrazione per affrontare la crisi climatica. A fare notizia non sono stati i decreti approvati – che prevedono, tra le altre cose, il blocco delle esplorazioni petrolifere e l’acquisto di auto elettriche per i dipendenti del governo – ma il fatto che il presidente abbia descritto la transizione ecologica come un’opportunità per mettere mano ai principali problemi della società statunitense: le disuguaglianze economiche e razziali, i limiti del sistema sanitario, la marginalizzazione politica delle minoranze. Per spiegarlo, a un certo punto del suo discorso, ha citato un posto chiamato Cancer alley, un’area sulle sponde del Mississippi che va da New Orleans a Baton Rouge, in Louisiana.

La stampa statunitense cominciò a parlarne nel 1987, quando si scoprì che molti abitanti di una strada della cittadina di St. Gabriel si erano ammalati di tumore. La strada, che si chiamava Jacobs drive, fu ribattezzata Cancer alley, il vicolo dei tumori. Presto si scoprì che il problema riguardava anche tante altre comunità lungo il fiume, e il “vicolo” finì per descrivere un’area lunga 136 chilometri. Gli abitanti del posto – in grande maggioranza neri e poveri – accusarono le decine di impianti petrolchimici costruiti da grandi aziende come Shell, Exxon e Dupont. La correlazione tra le emissioni delle fabbriche e la salute degli abitanti non è mai stata dimostrata, perché le autorità locali non avevano le risorse per condurre uno studio approfondito, e ancora oggi vicino al Mississippi continuano a spuntare nuovi stabilimenti. Attualmente sette delle dieci comunità statunitensi dove c’è il rischio maggiore di ammalarsi di tumore si trovano in in quell’area. Non solo: l’esposizione a sostanze tossiche indebolisce anche i polmoni e il sistema immunitario, rendendo le persone più vulnerabili a malattie respiratorie come il covid-19. Ad aprile del 2020, quando sono stati pubblicati i primi dati sulla diffusione del nuovo coronavirus negli Stati Uniti, si è scoperto che St. John the Baptist, nel Cancer alley, aveva il più alto numero di morti pro capite per covid-19 di tutte le altre contee degli Stati Uniti.

Cancer alley, ottobre 2013 (Giles Clarke, Getty Images).

Se il riscaldamento globale, la crisi sanitaria e le disuguaglianze fanno parte di un unico grande problema, la risposta deve per forza essere coraggiosa. L’amministrazione Biden ha intenzione di spendere duemila miliardi di dollari per una transizione energetica che permetta di azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050. È un piano molto più ambizioso di quello che Barack Obama propose nel 2009, e che fallì miseramente davanti all’opposizione dei repubblicani al congresso e dell'industria dei combustibili fossili. Secondo Politico, la buona notizia per Biden è che oggi sono molti di più gli americani preoccupati dagli effetti della crisi climatica, e che la coalizione che sostiene questi sforzi – che comprende i sindacati, gli attivisti per l’ambiente, i gruppi antirazzisti, l’industria automobilistica e il mondo delle imprese – si è allargata e ha molta più influenza sulla politica che in passato. Paradossalmente, la gravità della situazione economica e sanitaria potrebbe dare una mano al presidente: “Biden ha intenzione di legare il suo piano per il clima al programma di aiuti economici, su cui i repubblicani farebbero fatica a giustificare la loro opposizione”.

Pubblicità

Parole in libertà Un aspetto che distingue gli Stati Uniti da qualsiasi altro paese democratico è l’idea che la libertà d’espressione sia il diritto da cui derivano tutti gli altri diritti. Quando scrissero il primo emendamento della costituzione, dopo la guerra d’indipendenza, i padri fondatori stabilirono che lo stato non deve approvare leggi che possano limitare la “libertà di parola e la libertà di stampa”. L’idea di fondo era che qualsiasi restrizione alla libertà d’espressione fosse incompatibile con la democrazia. Nel corso del novecento quest’idea è stata smentita varie volte: i paesi europei, soprattutto quelli che avevano vissuto sotto regimi autoritari, hanno cercato un modo per bilanciare la libertà di parola con la necessità di arginare le idee pericolose, e nonostante questo – o forse proprio per questo – sono riusciti a preservare la democrazia; anche altrove, per esempio in Canada e in Sudafrica, sono stati introdotti provvedimenti per punire i discorsi d’odio.

Gli Stati Uniti, invece, hanno continuato ad alzare l’asticella su quali parole possono essere considerate una minaccia per la società (nel 1964 la corte suprema stabilì che un leader del Ku klux klan non poteva essere punito per aver organizzato un raduno in cui si invocava una “vendetta” contro neri ed ebrei). Così il primo emendamento è diventato una sorta di religione, e anche la fonte di una crisi da cui il paese sembra incapace di uscire. Lo racconta bene un articolo di Emily Bazelon sul New York Magazine.

Le contraddizioni sono esplose durante la presidenza Trump, quando i social network si sono riempiti di account legati ai gruppi di estrema destra; a mano a mano che la tensione nel paese cresceva, si è capito che quei gruppi non servivano solo a scambiarsi messaggi ma anche a organizzare azioni terroristiche, incoraggiate dal presidente degli Stati Uniti; le aziende della Silicon valley sono state accusate di non fare abbastanza per contrastare le idee pericolose, e quando alla fine hanno deciso intervenire cancellando migliaia di account, compreso quello di Trump, in molti si sono lamentati (giustamente) del fatto che i privati hanno troppo potere. “Gli statunitensi sono a disagio all’idea che il governo regoli spazi che sono diventati essenziali nel dibattito democratico. Ma non vogliono nemmeno che a farlo siano gli amministratori delegati della Silicon valley. Ma pensano anche che qualcuno debba fare qualcosa. È una situazione complicata”. Ma c’è un precedente che fa intravedere una possibile via d’uscita: “Quando la radio e la tv alterarono radicalmente il panorama dell’informazione, il congresso approvò delle leggi per incoraggiare la concorrenza e il pluralismo, e per garantire che gli operatori seguissero criteri di interesse pubblico”.

Hilton Head, 1863

Due ritratti di Harriet Tubman. A sinistra nel 1868, a 46 anni (Benjamin Powelson, Library of Congress). A destra nel 1911, a 89 anni  (Library of Congress).

Qualche giorno fa l’amministrazione Biden ha detto di voler cambiare la banconota da venti dollari, sostituendo la faccia di Andrew Jackson, considerato il primo presidente populista della storia (tra il 1829 al 1837), nonché proprietario di schiavi, con quella di Harriet Tubman, attivista per l’abolizione della schiavitù. La proposta per la verità era già stata fatta dall’amministrazione Obama nel 2016, ma fu subito accantonata quando Donald Trump arrivò alla Casa Bianca. Tubman sarebbe la prima persona afroamericana a comparire su una banconota e la prima donna in più di cento anni (Martha Washington, moglie di George Washington, vi comparve tra il 1891 e il 1896). Tubman è una delle figure più importanti del movimento per la liberazione dei neri e per il diritto di voto delle donne. Nata in schiavitù nel Maryland nel 1822 con il nome di Araminta Ross, scappò dalla piantagione nel 1849 per rifugiarsi in Pennsylvania, uno dei primi stati ad abolire la schiavitù. Negli anni seguenti condusse almeno tredici missioni segrete nel sud per liberare almeno settanta schiavi,  guadagnandosi il soprannome di Mosè degli afroamericani.

Il suo contributo principale alla fine della schiavitù arrivò durante la guerra civile. Nel 1861, su richiesta di John Andrew, governatore del Massachusetts, Tubman andò a Hilton Head, una cittadina del South Carolina che era passata sotto il controllo del nord nelle prime fasi della guerra. Per mesi lavorò come lavandaia, cuoca e infermiera nell’esercito nordista. Quando nel gennaio del 1863 il presidente Lincoln firmò il proclama che liberava gli schiavi negli stati del sud, il ministro della guerra le chiese di guidare una rete di spie per raccogliere informazioni sui territori controllati dal nemico. Tubman era analfabeta, quindi non poteva appuntarsi le informazioni che recuperava e teneva tutto a mente. Alcune di quelle informazioni aiutarono l’esercito nordista a catturare la città di Jacksonville, in Florida. A giugno guidò l’assalto armato a Combahee Ferry, che permise di liberare 700 schiavi e di reclutare cento nuovi soldati. In seguito chiese più volte di essere pagata per il servizio prestato. La richiesta fu negata perché era una donna.

In breve

  • Il dipartimento della sicurezza nazionale ha detto di temere nuovi attacchi da parte dei gruppi di estrema destra. Intanto si è scoperto che tra le persone arrestate per l’attacco al congresso del 6 gennaio 2021, uno su cinque ha prestato o presta ancora servizio nell’esercito.
  • I contagi di covid-19 sono in calo, ma i morti sono ancora più di tremila al giorno. Finora 21,7 milioni di statunitensi hanno ricevuto la prima dose del vaccino, quattro milioni hanno ricevuto entrambe le dosi. Intanto l’Oklahoma sta cercando di rimandare indietro le sue scorte di idrossiclorochina, comprate dopo che Donald Trump e altri politici avevano sostenuto, senza prove, che il farmaco fosse efficace contro il covid-19.
  • I senatori repubblicani hanno fatto capire che non voteranno per condannare Donald Trump nella procedura d’impeachment.

Consigli

Da vedere A febbraio, il mese dedicato alla storia degli afroamericani, Npr trasmetterà tredici concerti di artisti neri. Foto scattate con i droni mostrano i centri di detenzione per migranti gestiti dai privati; tra il 2015 e il 2018 il numero di persone in queste strutture è cresciuto del 50 per cento.
Da leggere Per il 125° anniversario della sua rivista di libri, il New York Times ha raccolto 25 recensioni scritte da grandi autori e da personaggi famosi, tra cui Toni Morrison, John Kennedy, Vladimir Nabokov, Tennessee Williams, Joan Didion e Stephen King.
Da ascoltare Canary è un podcast investigativo del Washington Post: racconta la storia di una donna dell’Alabama che decide di denunciare un importante giudice per abusi sessuali, e le conseguenze della sua scelta.

Su Internazionale questa settimana

Sul settimanale Vice spiega il piano di Joe Biden per rispettare gli accordi sul clima di Parigi. Rebecca Solnit su come i movimenti sociali sono cresciuti durante la presidenza di Donald Trump. Un fumetto di Frank Santoro da Pittsburgh. La giornalista Francesca Mari racconta la storia del padre e del suo negozio a San Francisco. 

Sul sito Le Monde su come un gruppo di utenti del social network Reddit ha fatto perdere miliardi di dollari ai fondi d'investimento di Wall street. Pierre Haski sulla strategia internazionale di Joe Biden. Francesco Peloso su come la nuova amministrazione divide i vescovi statunitensi.

Compra questo numero o abbonati
per ricevere Internazionale
ogni settimana a casa tua.

I quattro dibattiti dell’appuntamento di gennaio del festival di Internazionale a Ferrara si possono vedere qui.

Per suggerimenti e segnalazioni scrivi a americana@internazionale.it

Qui ci sono le altre newsletter di Internazionale.

Sostieni Internazionale. Aiutaci a tenere questa newsletter e il sito di Internazionale liberi e accessibili a tutti, garantendo un’informazione di qualità.

Visita lo shop di Internazionale.