28 febbraio 2021

Americana

La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna

Prigionieri del clima La tempesta che ha colpito il Texas, lasciando più di quattro milioni di persone senza elettricità e riscaldamento per giorni, ha rivelato le fragilità delle infrastrutture statunitensi. Ma ha anche ricordato un aspetto spesso ignorato: mentre gli eventi climatici estremi diventano sempre più frequenti, le persone più in pericolo sono i detenuti. Nella maggior parte dei casi, negli Stati Uniti ma anche in altri paesi, vivono in strutture vecchie che non sono costruite per alleviare il caldo o arginare il freddo, figurarsi i fenomeni estremi che hanno colpito di recente il sud degli Stati Uniti. A differenza delle persone in libertà, non possono cercare rifugio altrove né trovare altri modi per scaldarsi o per soffrire meno il caldo. Negli ultimi giorni alcuni giornali hanno pubblicato testimonianze drammatiche dalle prigioni del Texas.

“Fa così freddo che le dita delle mani mi si stanno spaccando e cominciano a sanguinare”, ha scritto al Marshall Project un detenuto di una prigione di Houston che è riuscito a procurarsi un telefono di contrabbando. Molte carceri hanno celle con vetri rotti e buchi nei muri, e quando di colpo le temperature si sono abbassate le autorità penitenziarie non avevano abbastanza coperte per tutti. Molte prigioni sono rimaste senz’acqua, quindi i bagni – sia quelli nelle celle sia quelli comuni – si sono riempiti di escrementi. Nel carcere di massima sicurezza di Polunsky, dove ci sono anche persone condannate a morte, i detenuti hanno cercato di rimediare raccogliendo la neve. Altri hanno dovuto fare i loro bisogni in sacchi di plastica. In tanti casi è stata sospesa la consegna di farmaci essenziali, e il cibo è stato immangiabile.

Una prigione allagata a Lochridge, in Texas, nel 2016 (David J. Phillip, Ap/Lapresse).

La situazione è peggiore in estate. In Texas, lo stato con la più vasta popolazione carceraria degli Stati Uniti (circa 165mila persone), tante strutture si trovano in luoghi dove le temperature superano regolarmente i 37 gradi. Solo 30 delle 109 prigioni dello stato sono dotate di aria condizionata, e negli ultimi 14 anni almeno 22 detenuti sono morti a causa del caldo. Il Guardian ha scritto che nei mesi più caldi aumentano anche i suicidi tra i detenuti. Questa situazione è comune ad altri stati molto colpiti dal riscaldamento globale, come Florida, South Carolina, Arizona e Louisiana. Le conseguenze della crisi climatica sulla detenzione di massa sono evidenti durante la stagione degli uragani, quando le prigioni – che spesso sono state costruite in zone a rischio ai margini delle città – restano completamente isolate. Nel 2017, quando il Texas fu colpito dall’uragano Harvey, più di tremila detenuti restarono per giorni senza cibo né acqua.

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Donne salvavita Qualche settimana fa ho parlato delle travel nurses, infermiere che si spostano da un ospedale all’altro in base alle esigenze, sopperendo alle carenze croniche di personale in molte zone del paese. Rosary Castro-Olega, una donna di origine filippina, era una di loro: per 37 anni ha lavorato al Cedar-Sinai medical center di Los Angeles; nel 2017 è andata in pensione, ma ha continuato a prestare servizio dove c’era bisogno; il 29 marzo 2020 è diventata la prima operatrice sanitaria di Los Angeles a morire di covid-19. La notizia ha sconvolto la comunità filippina locale, non solo perché tutti conoscevano Castro-Ortega, ma anche perché molte donne filippine lavorano come infermiere. Nei mesi seguenti ne sono morte altre. Troppe, secondo Jollene Levid, una ragazza di origine filippina la cui madre lavora in terapia intensiva con pazienti covid. Levid ha fatto delle ricerche e ha scoperto che le donne filippine morte sono il 31,5 per cento delle infermiere che hanno perso la vita negli Stati Uniti, anche se sono il 4 per cento del totale. Come si spiega? Se ne occupa un podcast dell’Atlantic.

È una storia che comincia tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, quando le Filippine si liberarono dal controllo della Spagna e diventarono un territorio statunitense. Per il governo di Washington i filippini erano dei selvaggi che con i loro modi di vita primitivi facilitavano la diffusione di malattie. La civilizzazione doveva passare dalla sanità, così furono create decine di scuole per infermiere (il lavoro era fortemente sconsigliato agli uomini).

Negli anni sessanta del novecento, quando le donne statunitensi si ribellarono all’idea di dover svolgere solo lavori di cura in posizioni subordinate, gli ospedali americani si ritrovarono a corto di infermiere e decisero di attingere alla manodopera che nei decenni precedenti avevano formato nelle Filippine. Le più richieste erano quelle specializzate nella cura dei malati nei reparti di terapia intensiva. Ancora oggi le donne di origine filippina svolgono i compiti più rischiosi negli ospedali, e questo, insieme al fatto che all’inizio della pandemia molti operatori sanitari statunitensi hanno lavorato senza dispositivi di protezione adeguati, potrebbe spiegare i numeri denunciati da Levid.

Newark, 1967

Durante le rivolte di Newark, luglio 1967 (Don Hogan Charles, The​ New York Times/Contrasto).

In settimana sono uscite le prime due puntate di Renegades: Born in the Usa, il podcast di Barack Obama e Bruce Springsteen. La più grande rockstar vivente e il politico più popolare del mondo si raccontano a vicenda le loro vite così diverse – un bianco cresciuto nella provincia povera del New Jersey, un nero nato in una perla nel Pacifico e cresciuto in Indonesia – per scoprire di essere entrambi degli outsider e di avere una visione del loro paese molto simile: una lucida consapevolezza dei problemi accompagnata da una fiducia incrollabile negli ideali americani. I momenti migliori sono quelli in cui parlano di rapporti razziali, soprattutto per via di quello che racconta Springsteen. Nella prima puntata Obama gli chiede cosa ricordi delle rivolte di Newark del 1967, che cominciarono dopo il pestaggio di un nero da parte della polizia e si conclusero quattro giorni dopo con 26 morti e 1.500 arresti. All’epoca Springsteen aveva 17 anni e viveva a Freehold, una cittadina di diecimila abitanti a meno di un’ora da Newark.

Il suo punto di vista – quello dei bianchi della classe operaia nelle città di provincia – raramente trova spazio nel racconto delle rivolte degli anni sessanta. Ma è fondamentale per capire quanto fossero profonde le tensioni in tutto il paese. Quasi ogni città aveva il suo carico di conflitti non risolti, e quasi tutte hanno avuto il momento della resa dei conti. Springsteen descrive l’episodio che fece scoppiare le rivolte razziali a Freehold, e che ha raccontato in una delle sue canzoni più belle, My hometown: “Una sparatoria a un semaforo. Una macchina piena di ragazzi bianchi che sparano in una macchina piena di ragazzi neri. Un mio amico perse un occhio”. Quelle rivolte – e le politiche repressive contro le minoranze attuate negli anni seguenti – causarono delle ferite che non si sono ancora rimarginate. “Freehold e Asbury Park non si sono mai riprese”, dice Springsteen.

Le altre sei puntate del podcast usciranno nel prossimo mese e mezzo, una a settimana.

In breve

  • Non saranno incriminati gli agenti che nel marzo del 2020 hanno causato la morte per soffocamento dell’afroamericano Daniel Prude a Rochester, nello stato di New York. Prude, in preda a un episodio di disagio psichico, è stato incappucciato e tenuto schiacciato in terra per almeno due minuti.
  • Ad Antioch, in California, è morto in circostanze simili Angelo Quinto, un uomo di trent’anni di origine latinoamericana. Secondo le ricostruzioni, il 23 dicembre del 2020 Quinto era stato colpito da una crisi e la sorella aveva chiamato la polizia. Due agenti l’avrebbero immobilizzato tenendogli il ginocchio sulla schiena per cinque minuti. Quinto era morto tre giorni dopo in ospedale. La settimana scorsa la famiglia ha presentato un reclamo contro la città.
  • Il 25 febbraio il Joe Biden ha ordinato il primo attacco aereo da quando è presidente. Gli Stati Uniti hanno colpito le milizie appoggiate dall’Iran in Siria, in risposta a un attacco compiuto il 15 febbraio contro la base statunitense di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Le vittime dell’attacco statunitense sarebbero almeno 22.

Consigli

Vedere Il 22 febbraio è morto il poeta Lawrence Ferlinghetti: il New York Times racconta la sua vita e la sua eredità. La Virginia è diventato il primo stato del sud ad abolire la pena di morte: sull’argomento si può guardare qui un documentario in due puntate.
Da ascoltare Un bel podcast di Espn racconta come l'ascesa dell'Atalanta e la crisi sanitaria si sono intrecciate a Bergamo durante la pandemia.
Da leggere Perché gli Stati Uniti sono più avanti dell’Europa sui vaccini? Un grande articolo su ogni presidente degli Stati Uniti.

Su Internazionale questa settimana

Sul settimanale Un editoriale del Washington Post su come potrebbero evolvere i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. L’Economist spiega perché il Texas è rimasto paralizzato per giorni. L’Atlantic su Judah and the black messiah, il film di Shaka King su Fred Hampton, leader delle Pantere nere di Chicago ucciso nel 1969.
Sul sito L’Atlantic scrive che il governo statunitense sbaglia a prendere di mira gli scienziati cinesi. Pierre Haski sul tentativo di Joe Biden di indebolire il principe ereditario saudita.

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